Data: 2014-05-22 18:03:45

Grandi strutture in Sicilia - sentenza 15 maggio 2014

Grandi strutture in Sicilia - sentenza 15 maggio 2014
CGA, SEZ. GIURISDIZIONALE - sentenza 15 maggio 2014 n. 292

N. 00292/2014REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 970 del 2013, proposto da:

Società Bon.Di.Al. S.r.l.(Quale Incorporante della Sic. Al. Siciliana Alimentari S.r.l.), rappresentata e difesa dagli avv. Giuseppe Sciuto e Andrea Scuderi, con domicilio eletto presso Luca Di Carlo in Palermo, via N. Morello n. 40;

contro

Comune di Villafranca Tirrena, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Saitta, con domicilio eletto presso Andrea Piazza in Palermo, via Gioacchino Ventura n. 4;

nei confronti di

Fidal S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Catalioto, con domicilio eletto presso Antonio Atria in Palermo, via G. Daita N. 15;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. SICILIA - SEZ. STACCATA DI CATANIA - SEZIONE II n. 02408/2013, resa tra le parti, concernente cessazione attività di vendita di prodotti non alimentari;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Villafranca Tirrena e di Fidal S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2014 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti gli avvocati G. Sciuto, G. Rossitto su delega di A. Scuderi, S. Giambò su delega di A. Saitta e A. Catalioto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società dante causa dell’odierna appellante ha ottenuto in data 26.6.2012 l’autorizzazione comunale per l’apertura di una grande struttura di vendita (supermercato) per il settore alimentare. A seguito di esposti presentati da Ditta concorrente il comune, accertato che nel predetto supermercato erano posti in vendita articoli inerenti la categoria merceologica dei prodotti per igiene e pulizia della casa e della persona, ha intimato alla società di rimuovere tali articoli dagli scaffali e di cessarne la vendita.

Analoga diffida è stata adottata dal comune a seguito di comunicazione mediante la quale la società aveva reso noto di aver ampliato la superficie di vendita ai sensi della pertinente normativa regionale, dedicando l’ampliamento ai prodotti in questione.

Le diffide sono state impugnate dalla società con separati ricorsi al TAR Catania.

Da ultimo, dopo l’entrata in vigore del D.L. 201 del 2011, la società ha presentato al comune una D.I.A. significando l’intenzione di procedere alla vendita dei prodotti non alimentari sopra menzionati.

Con provvedimento dirigenziale del 3 ottobre 2012 il comune ha però dichiarato inammissibile la citata dichiarazione.

La società ha quindi impugnato il provvedimento comunale avanti al TAR Catania, chiedendone l’annullamento con risarcimento dei danni patrimoniali ingiustamente patiti.

Con la sentenza in epigrafe indicata l’adito Tribunale etneo ha però respinto il ricorso rilevando – in sintesi – da un lato che l’apertura o l’ampliamento di una grande struttura di vendita sono tuttora subordinati a valutazioni dell’amministrazione circa l’impatto urbanistico e ambientale da essi derivante, con conseguente necessità di una autorizzazione espressa; dall’altro che allo stato permane la distinzione tra il settore merceologico dei prodotti alimentari e quello dei prodotti non alimentari.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dalla soccombente la quale ne chiede l’integrale riforma tornando a dedurre le censure infruttuosamente versate in primo grado.

Si è costituito in resistenza il comune di Villafranca Tirrena.

Si è costituita la Ditta controinteressata la quale domanda il rigetto dell’appello.

All’Udienza del 19 marzo 2014 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello non è fondato e va pertanto respinto.

Il provvedimento col quale il comune di Villafranca Tirrena ha dichiarato inammissibile la D.I.A. presentata dalla società oggi appellante (al fine di iniziare la vendita di prodotti per la pulizia della casa e l’igiene della persona nel proprio supermercato alimentare) poggia su due distinti ma concomitanti rilievi.

Infatti il comune per un verso ha affermato che – stante la permanente distinzione tra i due settori merceologici di base – la autorizzazione alla apertura di un supermercato alimentare non consente la vendita di prodotti non alimentari; per altro verso il comune ha affermato che solo in base a specifica autorizzazione – e non quindi mediante mera dichiarazione di inizio attività – la società avrebbe potuto intraprendere una iniziativa commerciale sostanzialmente innovativa rispetto a quella già autorizzata.

Con il motivo di impugnazione che conviene prioritariamente esaminare la appellante sostiene che la normativa interna di liberalizzazione dell’attività commerciale conseguente alla direttiva comunitaria 2006/123/CE (c.d. Bolkestein) ha eliminato in radice ogni distinzione tra i due settori merceologici (tranne ovviamente per quanto concerne i requisiti professionali e idoneativi degli operatori addetti).

Del resto – osserva la società – è nozione di comune esperienza che nel territorio nazionale in ogni supermercato alimentare sono regolarmente venduti articoli di carta e per l’igiene della persona e la pulizia della casa.

Il mezzo non può essere accolto.

Il D.L. n. 223 del 2006, convertito dalla L. n. 248 del 2006, all’art. 3 comma 1 così disponeva per quanto qui interessa:

"1. Ai sensi delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni:

a) l'iscrizione a registri abilitanti ovvero possesso di requisiti professionali soggettivi per l'esercizio di attività commerciali, fatti salvi quelli riguardanti il settore alimentare e della somministrazione degli alimenti e delle bevande;

b) il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio;

c) le limitazioni quantitative all'assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare ;

d) il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale;

(omissis).........................".

L’art. 31 comma 1 del D.L. n. 201 del 2011, convertito dalla L. n. 214 del 2011, pur nel contesto di un decisivo impulso alla liberalizzazione delle attività commerciali, si è limitato ad aggiungere al trascritto comma 1 la seguente lettera:

"d-bis) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio".

Ne consegue che, come ben posto in luce dal TAR, a livello di legislazione statale le norme di liberalizzazione non hanno inciso sulla distinzione fondamentale – fissata dall’art. 5 del D. L. vo n. 114 del 1998 e appunto richiamata dalla lettera c) del ridetto art. 31 – tra il settore merceologico alimentare e quello non alimentare ma soltanto sulle preesistenti sottocategorie interne ai due ambiti, che restano quindi tra loro distinti.

Ciò comporta – sul punto si ritornerà con specifico riferimento ai prodotti in controversia – che anche in ambito nazionale il soggetto autorizzato per un settore non può vendere prodotti appartenenti all’altro settore.

Tanto chiarito sulla distinzione di base, occorre quindi verificare se i prodotti per igiene e pulizia di che trattasi possano farsi rientrare nell’ambito alimentare.

In proposito nella Regione Sicilia, la quale come è noto ha competenza legislativa esclusiva in materia di commercio, la legge reg. n. 28 del 1999 così prevede all’art. 3:

"1. Ai sensi della presente legge l'attività commerciale può essere esercitata con riferimento ai seguenti settori merceologici: alimentare e non alimentare con relativi raggruppamenti di prodotti di cui all'allegato della presente legge. L'individuazione e l'articolazione dei raggruppamenti di prodotti di cui al suddetto allegato hanno carattere sperimentale per la durata di trenta mesi a partire dall'entrata in vigore della presente legge. Sulla base dei risultati della sperimentazione, il Presidente della Regione, su proposta dell'Assessore regionale per la cooperazione, il commercio, l'artigianato e la pesca, presenta all'Assemblea regionale, apposito disegno di legge per la definitiva disciplina dei settori merceologici. In caso di mancata approvazione di tale disegno di legge nei 180 giorni successivi alla scadenza del suddetto termine di trenta mesi, trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114".

Coerentemente, l’Allegato alla legge ricomprende nel settore alimentare " Tutti i prodotti alimentari nonché articoli per la pulizia della persona e della casa ed articoli in carta per la casa.", come del resto confermato nel D.P.R.S. n. 165 del 2000.

Tuttavia decorso il termine decadenziale originariamente previsto (trenta mesi più sei) dall’entrata in vigore della legge 28/1999 senza che fosse stato approvata la legge di riordino dei settori merceologici e dunque in pratica dal dicembre del 2002 la previsione ampliativa dell’Allegato ha perso vigore, cedendo nuovamente il passo alla distinzione di base tra i due settori che tuttora permane.

In sostanza in Sicilia non risulta oggi possibile ricomprendere in via interpretativa (come invece avviene per gli alimenti per animali) i prodotti per l’igiene della casa e della persona nel novero dei prodotti alimentari.

Con il secondo motivo l’appellante sostiene che in ogni caso – e cioè anche a volerlo ritenere tuttora necessario – il titolo legittimante alla vendita di prodotti relativi ad un settore merceologico diverso da quello già assentito può essere costituito da una dichiarazione di inizio attività (oggi S.C.I.A.) senza che sia necessaria una preventiva autorizzazione espressa.

Anche questo mezzo non risulta fondato.

La citata legge reg. n. 28 del 1999 all’art. 9 prevede che l’apertura e l’ampliamento di una grande superficie di vendita sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal Comune competente per territorio nel rispetto della programmazione urbanistico-commerciale di cui all'articolo 5 ed in conformità alle determinazioni adottate dalla conferenza di servizi di cui al comma 3".

A sua volta l’art. 5 della legge prevede in sintesi la fissazione con decreto assessoriale di limiti al rilascio delle suddette autorizzazioni, tra i quali particolarmente rilevava quello inerente la eventuale avvenuta saturazione rispetto alla superficie complessiva assegnata (e cioè in pratica al contingente) per il bacino geografico di riferimento.

A livello statale, dopo il recepimento della Direttiva di liberalizzazione del settore Servizi attuato con D. L. vo n. 59 del 2010, il Legislatore è intervenuto con l’art. 3 del D.L. n. 138 del 2011(Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche ) e quindi con il già sopra citato art. 31 del D.L. 201 del 2011 il quale nel testo successivamente modificato così dispone al comma 2:

" 2. Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali.".

Infine, per quanto qui rileva, l’art. 1 del D.L. n. 1 del 2012 ha così disposto:

"1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 3 del decreto-legge 2011, n. 138, sono abrogate, dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 3 del presente articolo e secondo le previsioni del presente articolo le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell'amministrazione comunque denominati per l'avvio di un'attività economica non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario nel rispetto del principio di proporzionalità;

...........

4. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni si adeguano ai principi e alle regole di cui ai commi 1, 2 e 3 entro il 31 dicembre 2012..... Le Regioni a statuto speciale e le Provincie autonome di Trento e Bolzano procedono all'adeguamento secondo le previsioni dei rispettivi statuti.".

Ciò premesso, per quanto consta la stessa Regione, sulla scia della sentenza del TAR Palermo n. 991 del 2012 nonchè del TAR Catania n. 1286 del 2012, ha riconosciuto come confliggente con i principi pro-concorrenziali stabiliti dalla normativa di recepimento dei principi comunitari il limite inderogabile all’apertura di g.s.v. che derivava appunto dall’art. 5 della legge reg. n. 28 del 1999 (c.d saturazione del bacino).

Ben diverso è invece il discorso da farsi per quanto riguarda specificamente l’odierna controversia, ove si disputa circa la perdurante esigenza dell’autorizzazione espressa per l’apertura di una grande struttura e la asserita conseguibilità del titolo mediante S.C.I.A. come sostanzialmente oggi avviene per i piccoli esercizi commerciali di vicinato.

Al riguardo, dalla normativa statale di recepimento sopra richiamata e trascritta risulta evidente che il libero dispiegarsi dell’iniziativa commerciale incontra tuttora limiti ove vengano in rilievo vincoli " connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali" .

Come ben chiarito dal TAR, ciò comporta la perdurante applicabilità in Sicilia del modulo procedimentale prefigurato dall’art. 9 della legge reg. n. 28 del 1999, il quale demanda appunto ad una Conferenza di servizi la valutazione dell’impatto che l’apertura di una grande struttura di vendita ha oggettivamente sul territorio con particolare riguardo a fattori quali la mobilità, il traffico e l'inquinamento nonchè il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale. (art. 5).

D'altra parte, lo stesso art. 19 della legge n. 241 del 1990 e s.m. consente l’utilizzo della S.C.I.A. solo ove l’autorizzazione all’esercizio di una attività sia atto vincolato (dipendente cioè esclusivamente dalla verifica dei presupposti legali ) e quindi esclude la praticabilità di tale strumento di semplificazione allorché il rilascio del titolo è subordinato alla previa valutazione dell’impatto che da tale attività può derivare sul tessuto urbanistico, ambientale etc..

Oppone l’appellante che di fatto la semplice aggiunta dei prodotti per igiene e pulizia al catalogo dei prodotti alimentari già in vendita nella struttura non può ragionevolmente provocare alcuna incidenza sull’ambiente o sul traffico.

Questo rilievo però non ha pregio, in quanto come si è visto la relativa valutazione è riservata alla Conferenza dei servizi alla quale - come ben osservato dal TAR – siffatta argomentazione avrebbe ben potuto essere sottoposta.

Da ultimo l’appellante torna a lamentare il mancato invio da parte del comune del preavviso di rigetto.

Al riguardo il TAR ha rilevato che il carattere assolutamente vincolato del diniego comunale determina l’irrilevanza dell’irregolarità procedimentale.

A ciò deve aggiungersi da un lato che sul piano formale la presentazione della S.C.I.A. non innesca in realtà un procedimento ad istanza di parte; dall’altro che sul piano sostanziale nella disciplina speciale disegnata dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990 una previa interlocuzione col dichiarante è necessaria solo ove sia possibile che l’attività di questi – non assentibile secondo quanto esposto in dichiarazione – possa essere conformata alla normativa vigente.

Ipotesi questa ultima che si è visto essere impraticabile nel caso all’esame.

Sulla scorta delle osservazioni sin qui svolte l’appello va conclusivamente respinto con integrale conferma della gravata sentenza.

La complessità di alcune delle questioni trattate giustifica la integrale compensazione delle spese del grado tra tutte le parti costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:

Raffaele Maria De Lipsis, Presidente

Antonino Anastasi, Consigliere, Estensore

Marco Buricelli, Consigliere

Giuseppe Mineo, Consigliere

Giuseppe Barone, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 15/05/2014.

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