Data: 2014-05-15 09:45:02

Licenziamento del dipendente che non comunica subito l’assenza dal lavoro

La Corte di Cassazione, sezione lavoro,  con la sentenza n. 10352 del 13 maggio 2014, ha ribadito un orientamento consolidato per il quale è legittimo il licenziamento del lavoratore che non abbia comunicato tempestivamente l'assenza (anche se dovuta a motivi legittimi) con ciò causando un serio danno organizzativo al datore di lavoro.

Tra i normali obblighi di correttezza e diligenza del prestatore di lavoro, infatti, rientra anche quello di comunicare tempestivamente al datore di lavoro eventuali impedimenti nel regolare espletamento della prestazione che determinino la necessità di assentarsi. Il mancato rispetto di tale obbligo può giustificare il licenziamento in quanto la suddetta assenza dal lavoro - anche se, in astratto, dovuta a motivi legittimi - se non comunicata è idonea ad arrecare alla controparte datoriale un pregiudizio organizzativo derivante dal legittimo affidamento in ordine alla supposta effettiva ripresa della prestazione lavorativa.



[center]REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO[/center]

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente -

Dott. TRIA Lucia - rel. Consigliere -

Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere -

Dott. BLASUTTO Daniela - Consigliere -

Dott. MANCINO Rossana - Consigliere -

[center]ha pronunciato la seguente:

sentenza[/center]

sul ricorso 7405/2012 proposto da:

C.A. C.F. (OMISSIS), (già A. D., come da decreto del Prefetto della Provincia di Palermo del 24/10/2009 pro. 2005003987/1.134/Area V bis), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. CORVISIERI 46, presso lo studio dell'avvocato CAVALIERE DOMENICO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MERCATI NICOLETTA, giusta delega in atti;

- ricorrente -

[center]contro[/center]

CENTRO DIAGNOSTICA PER IMMAGINI S.R.L. P.I. (OMISSIS), già Centro Radiologico Dott. F. Violante S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 11, presso lo studio dell'avvocato GIURATO UGO, rappresentata e difesa dall'avvocato ROMANO SEBASTIANO, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 244/2011 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 26/04/2011 R.G.N. 794/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l'Avvocato MERCATI NICOLETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

[center]Svolgimento del processo[/center]

1.- La sentenza attualmente impugnata: 1) conferma la sentenza del Tribunale di Palermo n. 3983 del 6 novembre 2008 nelle parti riguardanti: a) il rigetto del ricorso di C.A. D. volto alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatole il 5 maggio 2003 da parte del datore di lavoro Centro Diagnostica per Immagini s.r.l. (con le conseguenti pronunce); b) il rigetto delle richieste differenze retributive; 2) dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine al TFR, alla tredicesima e alla quattordicesima mensilità.

La Corte d'appello di Palermo, per quel che qui interessa, precisa che:

a) i fatti oggetto della contestazione disciplinare che ha portato al licenziamento sono pacifici essendo acclarato che la lavoratrice non si è presentata al lavoro il 18, il 22 e il 23 aprile 2003, senza alcuna richiesta di autorizzazione ovvero spiegazione:

b) deve escludersi che l'interessata abbia dimostrato fatti che possano avere una portata esimente;

e) le acquisizioni processuali hanno evidenziato un indiscutibile deterioramento dei rapporti personali tra le parti, in conseguenza del sospetto dell'amministratrice del Centro, T.O., che la lavoratrice intrattenesse una relazione sentimentale con il di lei marito, ma non hanno anche evidenziato "un inadempimento, a opera del datore di lavoro, delle obbligazioni, principali o anche solo accessorie, nascenti dal rapporto";

d) pertanto, il licenziamento è giustificato, in quanto le funzioni di segreteria nell'organizzazione dell'attività di uno studio professionale di diagnostica strumentale, come il Centro di cui si tratta, "rappresentano un imprescindibile punto di riferimento per il regolare svolgimento del servizio", sicchè il descritto comportamento della lavoratrice deve considerarsi idoneo ad incrinare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro;

e) va confermata la sentenza di primo grado nella parte relativa al rigetto delle richieste differenze retributive e va dichiarata la cessazione della materia del contendere in ordine al TFR, alla tredicesima e alla quattordicesima mensilità perchè, in corso di causa, il datore di lavoro ha provveduto al relativo pagamento, considerato satisfattivo delle proprie pretese al riguardo, da parte della lavoratrice.

2.- Il ricorso di C.A. (già A.D.) domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, il Centro Diagnostica per Immagini s.r.l..

[center]Motivi della decisione[/center]

1 - Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Il ricorso è articolato in due motivi.

1.1- Con il primo motivo si denunciano: a) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., (sulla disponibilità delle prove acquisite) e dell'art. 116 c.p.c., (sulla valutazione delle prove stesse); b) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione "sulle ragioni e ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso".

Si sostiene che per non riscontrare nella sentenza impugnata una "obiettiva deficienza del criterio logico" che ha portato alla formazione del convincimento della Corte d'appello sarebbe stato necessario che nella stessa fosse stato fatto esplicito riferimento anche alle risultanze disattese. In altri termini, la Corte palermitana - che ha ritenuto giustificato il licenziamento dall'assenza ingiustificata dal lavoro della dipendente - avrebbe dovuto valutare le ragioni di tale assenza, soprattutto dopo avere dato atto dello "indiscutibile deterioramento" dei rapporti tra le parti.

Invece, la Corte territoriale ha omesso di motivare al riguardo e, quindi, di considerare se l'assenza dal lavoro della C. poteva essere susseguita a comportamenti censurabili del datore di lavoro, cioè potesse essere considerata come l'effetto di una reazione diretta e impulsiva ad un torto subito o percepito da parte del datore di lavoro.

Al riguardo, la Corte palermitana non avrebbe potuto ignorare che dalla prova testimoniale era emerso che: 1) mai, in precedenza, la dipendente aveva avuto problemi disciplinari; 2) anzi, i datori di lavoro apprezzavano la sua capacità lavorativa ed erano intenzionati a metterla "in regola"; 3) il deteriorarsi dei rapporti - culminato con un violento diverbio svoltosi immediatamente i giorni di assenza, nel quale le vennero rivolte accuse infamanti - riguardavano soltanto l'amministratrice T.O. e dipendevano dal sospetto di questa - rivelatosi infondato - che la lavoratrice intrattenesse una relazione sentimentale con il di lei marito.

1.2.- Con il secondo motivo si denunciano: a) in riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell'art. 2106 c.c., in relazione agli artt. 2104 e 2105 c.c., nonchè della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3, "per la mancata giusta valutazione della sanzione disciplinare rispetto alla gravità dell'infrazione contestata"; b) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, mancata o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si sottolinea come la Corte palermitana, per effetto delle omissioni motivazionali già individuate nel precedente motivo, non ha giustificato nè motivato sul profilo relativo all'adeguatezza e proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto al condotta della lavoratrice.

Una corretta valutazione di tale comportamento - da effettuare nel complessivo contesto di quanto è pacificamente avvenuto con riguardo sia alle circostanze oggettive sia ai risvolti soggettivi e psicologici della condotta - avrebbe dovuto portare la Corte territoriale a concludere che solo una sanzione non espulsiva poteva considerarsi proporzionata al comportamento stesso.

2 - Esame delle censure.

2. - I due motivi di ricorso - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione - non sono da accogliere per le ragioni di seguito precisate, ancorchè la motivazione della sentenza impugnata abbisogni di alcune correzioni con riguardo a certe argomentazioni (art. 384 c.p.c., u.c.), la cui erroneità non ne determina tuttavia l'annullamento, non incidendo sulla complessiva conformità a diritto della decisione assunta, quale risulta dal relativo dispositivo (vedi, per tutte: Cass. 9 gennaio 2008, n. 207; Cass. 22 marzo 2010, n. 6845).

2.1.- Fatta questa premessa, deve essere osservato, con riguardo all'impostazione generale del ricorso, che, nonostante nell'intestazione di entrambi i motivi si faccia riferimento anche alla violazione di norme di legge oltre a denunciarsi vizi di motivazione, la lettura complessiva del ricorso pone in evidenza il carattere sostanzialmente formale del suddetto richiamo, risolvendosi, in realtà, la maggior parte delle censure, nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata, non per errori di logica giuridica che renderebbero la motivazione stessa incongrua o incoerente, ma per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486;

Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

2.2.- D'altra parte, la Corte d'appello - conformandosi ai principi consolidati e condivisi, affermati da questa Corte in materia - partendo dalla premessa secondo cui la ingiustificata assenza dal servizio è un comportamento che ha un intrinseco disvalore, in quanto lede di per sè i doveri fondamentali connessi con il rapporto di lavoro, ha ritenuto proporzionata la sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata alla lavoratrice, all'esito di un giudizio di diritto - ossia di sussunzione del fatto addebitato nella previsione legale della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 1 e ss., (vedi, al riguardo: Cass. 9 dicembre 2013, n. 27440) - effettuato dopo avere adeguatamente accertato la ricorrenza di tutti gli elementi oggetti vi e soggettivi propri della fattispecie.

In particolare, la Corte territoriale, pure avendo dato atto del pacificamente emerso deterioramento dei rapporti personali tra la amministratrice del Centro e la lavoratrice, ha tuttavia escluso che quest'ultima abbia dimostrato fatti cui si possa attribuire una portata esimente ed ha altresì precisato che la dipendente non ha minimamente avvertito il datore di lavoro della propria intenzione di assentarsi per diversi giorni, così creando notevoli problemi organizzativi per lo studio professionale di diagnostica strumentale presso il quale svolgeva le mansioni di segretaria.

Tali ultime osservazioni, in base a costanti orientamenti di questa Corte, sono di per sè sufficienti a ritenere adeguatamente e congniamente motivata l'affermata proporzionalità del licenziamento al comportamento tenuto dalla dipendente.

Infatti, tra i normali obblighi di correttezza e diligenza del prestatore di lavoro rientra anche quello di comunicare tempestivamente al datore di lavoro eventuali impedimenti nel regolare espletamento della prestazione che determinino la necessità di assentarsi e il mancato rispetto di tale obbligo può giustificare il licenziamento in quanto la suddetta assenza dal lavoro - anche se, in astratto, dovuta a motivi legittimi - se non comunicata è idonea ad arrecare alla controparte datoriale un pregiudizio organizzativo derivante dal legittimo affidamento in ordine alla supposta effettiva ripresa della prestazione lavorativa (arg. ex Cass. 1 febbraio 1999, n. 844; Cass. 14 maggio 2003, n. 7478; Cass. 17 maggio 2013, n. 10552).

Idoneità che deve essere accertata nel caso concreto, come accaduto nella specie.

2.3.- Ne consegue che, a fronte della suddetta assorbente argomentazione, non ha rilievo l'ulteriore argomento svolto dalla Corte palermitana, a proposito della condotta datoriale, secondo cui le acquisizioni processuali non hanno evidenziato "un inadempimento, a opera del datore di lavoro, delle obbligazioni, principali o anche solo accessorie, nascenti dal rapporto".

Tale argomento, in quanto tale, non sarebbe assolutamente adeguato a descrivere il comportamento datoriale ai fini della presente controversia, perchè: 1) non solo è di per sè non coerente con il contesto, nel quale ciò che rileva è il comportamento concreto tenuto dal lavoratore e dal datore di lavoro con riguardo alla produzione del fatto posto a base del licenziamento; 2) ma, inoltre, si limita a porre l'accento sull'avvenuto adempimento di obblighi che, per legge, incombono ordinariamente sul datore di lavoro.

Tuttavia, una volta chiarito, per quel che si è detto sopra, quale deve essere considerata la ratio decidendi della sentenza impugnata, l'erroneità del suddetto argomento diviene ininfluente, in quanto essa finisce con il riguardare una affermazione eccedente la necessità logico-giuridica della decisione, tale da essere configurata come un obiter dictum, del tutto privo di rilievo e di efficacia vincolante (vedi, per tutte: Cass. 8 febbraio 2012, n. 1815).

3 - Conclusioni.

3.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. La peculiarità fattuale della controversia e la natura delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

[center]P.Q.M.[/center]

La Corte rigetta il ricorso e compensa, tra le parti, le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Lavoro, il 14 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2014

riferimento id:19399
vuoi interagire con la community? vai al NUOVO FORUM - community.omniavis.it