La recente sentenza della cassazione penale, n. 14432 del 21 marzo 2014, conferma un indirizzo non nuovo nella giurisprudenza, per il quale l'amministratore di diritto di una società (detto a volte anche "prestanome") risponde penalmente per fatti commessi da terzi che amministrino la società in via di fatto, in particolare di eventuali reati omissivi quali l'omesso versamento delle ritenute previdenziali (ferma restando l'eventualità di una ipotesi di condotta concorsuale del terzo).
Ciò in stretta correlazione con gli obblighi propri gravanti sull'amministratore di diritto: obblighi di vigilanza che gli impongono di controllare di continuo l'andamento della gestione ed intervenire per evitare che tali condotte illecite possano essere poste in essere. Dunque l’accettazione o il mantenimento della carica attribuisce anche obblighi specifici, di controllo e vigilanza, la cui violazione comporta una responsabilità penale diretta.
[center]REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE[/center]
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo - Presidente -
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere -
Dott. GRILLO Renato - rel. Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -
[center]ha pronunciato la seguente:
sentenza
[/center]
sul ricorso proposto da:
C.F. N. IL (OMISSIS);
sentenza n. 773/2012 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 17/12/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/09/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vito D'Ambrosio, che ha concluso per il rigetto;
Udito il difensore Avv. Marucci Monica di Roma (sost. proc.).
[center]Svolgimento del processo[/center]
1.1 Con sentenza del 17 dicembre 2012 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cremona emessa in data 29 novembre 2011 nei confronti di C.F., imputata del reato di cui all'art. 2 della L. 638/83 (omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti, commesso dal (OMISSIS)), dichiarava non doversi procedere in ordine alle condotte omissive commesse tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) per estinzione del reato a seguito di prescrizione e riduceva per le residue condotte la pena originariamente inflitta, in giorni venticinque di reclusione.
1.2 Per l'annullamento della sentenza propone ricorso l'imputata a mezzo del proprio difensore fiduciario deducendo un unico articolato motivo: carenza assoluta di motivazione, sua contraddittorietà ed illogicità manifesta per avere la Corte bresciana confermato la responsabilità in assenza di elementi atti a suffragare sia l'elemento oggettivo che quello soggettivo del reato ed omesso, altresì, di valutare congruamente le plurime prove documentali offerte idonee ad escludere sotto il cennato duplice profilo la responsabilità della C..
[center]Motivi della decisione[/center]
1. Il ricorso non è fondato. Va doverosamente premesso, per maggiore intelligenza, che l'odierna ricorrente, legale rappresentante della società SONCINO IMBALLAGGI s.r.l., viste la gravi difficoltà finanziarie che avevano attanagliato la sua ditta, aveva, alla fine, delegato a terzi (Avv. R.) la gestione della società, successivamente dichiarata fallita, disinteressandosi delle attività contabili (ivi compresi - per quanto qui rileva - i versamenti periodici delle ritenute previdenziali), convinta che fosse il soggetto gestore di fatto della società a dover rispondere di tali incombenze.
2. Ciò premesso, la tesi difensiva esposta nel ricorso ruota attorno a tale punto, ritenuto essenziale dalla difesa e asseritamente pretermesso dalla Corte lombarda: nonostante le numerose prove (tra le quali la ricorrente indica una relazione del curatore fallimentare e la comunicazione notizia di reato della Guardia di Finanza di Crema che segnalavano l'avv. R. come gestore di fatto della società poi fallita), la Corte di Appello avrebbe ugualmente ritenuto sussistente il dolo, sia pure sotto forma di dolo eventuale, asserendo il principio che comunque la C. avrebbe dovuto vigilare continuamente sulla corretta gestione della società - e per quanto di interesse - sui versamenti delle ritenute secondo le scadenze, pur senza negare la presenza di una delega di fatto.
3. Si tratta di tesi che, esposta con dovizia di argomentazioni ed indicazione di prove documentali e/o testimoniali (viene indicata anche la dichiarazione del curatore fallimentare della società Dott.ssa M.E. resa ai militari della Guardia di Finanza circa i rapporti intercorrenti tra l'Avv. R. e la società dell'imputata), non tenute in conto, a dire della ricorrente, dalla Corte territoriale, non può essere condivisa.
3.1 Le considerazioni, seppur sintetiche, svolte dal giudice distrettuale per giustificare comunque la responsabilità della C. anche in caso di eventuale delega a terzi, sono da condividere perchè sotto il profilo logico, ma anche strettamente giuridico, non è sufficiente che un imprenditore che, versando in situazione di difficoltà finanziarie (o per altre ragioni), decida di rivolgersi ad un terzo delegandogli la gestione di fatto della società, vada esente da responsabilità in caso di condotte omissive in qualche modo legate al ruolo imprenditoriale, incombendo invero sull'imprenditore un obbligo specifico di vigilanza sull'operato del terzo che, se non osservato, mantiene ferma la responsabilità penale.
3.2 La delega, anche di fatto, da parte dell'imprenditore ad un terzo della gestione della società, in assenza di un comportamento manifesto da parte del primo di spogliarsi giuridicamente della rappresentanza legale della società, non vale quale condotta positiva atta a scriminare il delegante.
3.3 In questo senso è certamente corretta l'affermazione della Corte distrettuale secondo la quale la C. aveva sempre mantenuto - pur conferendo ad un terzo poteri gestori totali - la carica di amministratore e legale rappresentante della società individuando, in caso di violazioni penali riconducibili al ruolo societario, quanto meno una responsabilità ex art. 40 cpv. c.p., (responsabilità nascente dalla violazione di un obbligo di garanzia gravante sull'imprenditore): responsabilità tanto più evidente in quanto si trattava - per quanto riguarda il tipo di violazione penale contestata - di osservanza di compiti di ordinaria amministrazione.
3.4 Il tema della responsabilità penale dell'amministratore di diritto di una società (colui, cioè, che riveste la carica formale con correlata rappresentanza legale esterna) per fatti commessi da terzi che amministrino la società in via di fatto, non è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte che, in svariate occasioni, ha sempre precisato che l'amministratore di diritto continua a rispondere di eventuali reati omissivi (ferma restando l'eventualità di una ipotesi di condotta concorsuale del terzo), in stretta correlazione con gli obblighi propri gravanti sull'amministratore di diritto: obblighi di vigilanza che gli impongono di controllare di continuo l'andamento della gestione ed intervenire per evitare che tali condotte illecite possano essere poste in essere.
3.5 Se tale forma di responsabilità diretta è agevole rinvenirla nei reati contravvenzionali per i quali è sufficiente la colpa, meno facile è l'approccio ad una responsabilità dolosa di tipo omissivo per delitti quali, in ipotesi, quelli nascenti da illeciti tributari ex D.L.vo 74/00 ovvero da fatti di bancarotta documentale o, come nel caso qui in esame, ad omessi versamenti di ritenute previdenziali. Ma la giurisprudenza formatasi su tale argomento ha ammesso la responsabilità sotto forma, quanto meno, di dolo eventuale (v. per i riferimenti ai reati in materia di illeciti tributali v. Sez. 3^ 10.6.2011 n. 23425, CERAVOLO, Rv. 250962; per riferimenti a reati in materia di rifiuti Sez. 3^ 25.5.2011 n. 25047, Piga, Rv. 250677; per riferimenti a fatti di bancarotta documentale, Sez. 5^ 19.2,.2010 n. 19049, Succi, Rv. 247251).
4. Secondo le regole proprie dell'art. 40 cpv. c.p., l'elemento psicologico si atteggia sempre secondo i principi generali: è sufficiente, quindi, che il titolare dell'obbligo di garanzia abbia conoscenza dei presupposti fattuali del dovere di attivarsi per impedire l'evento e, ciò nonostante, non si attivi consapevolmente.
In tal caso egli verrà chiamato a rispondere a titolo di dolo nei delitti (ma ovviamente anche nelle contravvenzioni) in quanto vuole (o prevede) l'evento, ovvero ne risponderà a titolo di colpa per negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme (come accade nei delitti colposi e, in generale nelle fattispecie contravvenzionali). E' dunque la consapevolezza da parte del "garante" di un obbligo giuridico di vigilanza da esercitarsi nei riguardi di un terzo cui siano stati conferiti poteri gestori o di amministrazione "di fatto" (il quale non ha quegli obblighi di garanzia riservatigli dalla legge, ma può essere chiamato a rispondere a titolo di concorso con il garante) a determinare la responsabilità in capo al titolare della posizione di garanzia secondo le ordinarie regole ermeneutiche in tema di elemento soggettivo del reato.
4.1 Con riferimento ad una fattispecie in un certo senso sovrapponibile a quella oggi all'esame del Collegio, l'indirizzo di questa Corte si è espresso affermando il principio che l'amministratore di diritto di una società - rispetto all'amministratore di fatto della medesima società - è comunque chiamato a rispondere del reato omissivo contestato, quale diretto destinatario degli obblighi di legge, in quanto il fatto stesso della accettazione (o del mantenimento) della carica attribuisce anche specifici doveri, tra i quali quelli di vigilanza e di controllo, la cui violazione comporta una responsabilità penale diretta, che si concretizza sulla base della sola consapevolezza che da quella condotta emissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico), ovvero l'accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale). (Sez. 3^ 6.4.2006 n. 22019, Furini, Rv.
234474: la fattispecie esaminata dalla Corte Suprema concerneva una vicenda di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali per la quale è stata riconosciuta, sulla base di tali regole interpretative, la responsabilità dell'amministratore di diritto).
4.2 Nel caso in esame la Corte territoriale, nella parte in cui ribadisce la configurabilità di una responsabilità diretta ex art. 40 cpv. c.p., per la specifica violazione di un dovere di vigilanza, a titolo di dolo anche eventuale, afferma principi condivisibili e coerenti con l'indirizzo sopra enunciato.
4.3 E nel caso in esame tale decisione è scaturita anche sulla base di una circostanza che sostanzialmente confliggeva con la tesi difensiva, della totale estraneità della C. alla gestione societaria della SONCINO IMBALLAGGI a suo dire governata dall'Avv. R., in quanto più che di delega, si parlava di un contratto di consulenza stipulato tra le due parti che, semmai, ribadiva la piena volontà da parte della C. di non abbandonare la sua veste formale di amministratore di diritto.
4.4 Certamente le indicazioni fornite dalla difesa della C. nel giudizio di appello non sono state pretermesse, avendo comunque la Corte bresciana dato per credibile la tesi dell'affidamento di una gestione da parte dell'imputata ad un terzo (il R.) e pur tuttavia valorizzato quel ruolo di amministratore di diritto che non poteva essere obliterato pena una erronea ed inaccettabile interpretazione dell'art. 40 cpv. c.p..
4.5 Perchè, quindi, l'amministratore di diritto possa venire esentato da responsabilità rispetto all'amministratore di fatto, non è sufficiente nè la posizione di amministratore di fatto ai vertici dell'azienda nè eventuali deleghe da parte dell'amministratore di diritto, occorrendo, invece, che venga esclusa in capo a quest'ultimo la titolarità dei poteri da intendersi in senso formale.
5. Tanto precisato osserva la Corte che non versandosi in ipotesi di manifesta infondatezza del ricorso, deve comunque annullarsi la sentenza impugnata senza rinvio per estinzione delle condotte commesse fino al novembre 2005 per intervenuta prescrizione con eliminazione della relativa pena a titolo di aumento per la continuazione, nella misura di giorni tre di reclusione.
5.1 A tanto si perviene in ossequio al principio affermato dalle SS.UU. di questa Corte secondo il quale, nel caso di maturazione del termine prescrizionale successivamente alla sentenza di appello, è solo l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., non potendo considerarsi formato un valido rapporto di impugnazione (Cass. SS. UU 22.11.2000 n. 32; Cass. Sez. 2^ 20.11.2003 n. 47383; Cass. Sez. 4^ 20.1.2004 n. 18641). Per il resto il ricorso va rigettato.
[center]P.Q.M.[/center]
Annulla senza rinvio la sentenza limitatamente alle omissioni fino al novembre 2005 perchè i fatti sono estinti per prescrizione ed elimina l'aumento di pena a titolo di continuazione di giorni tre di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2014