Data: 2014-04-21 06:06:20

Coop vs Esselunga: abuso di posizione dominante (CdS 1673/2014)

Coop-Esselunga: abuso di posizione dominante (CdS 1673/2014)

N. 01673/2014REG.PROV.COLL.

N. 08889/2013 REG.RIC.

N. 08934/2013 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8889 del 2013, proposto da:
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) - Antitrust, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Coop Estense Società Cooperativa a r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Angelo Piazza, Giovanni Cavani, Gustavo Ghidini, Andrea Zoppini, Giovanni Guglielmetti, Luisa Torchia, con domicilio eletto presso Luisa Torchia in Roma, via Sannio, 65;
nei confronti di
Esselunga s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Enrico Adriano Raffaelli, Francesco Denozza, Stefano Cassamagnaghi, Beniamino Caravita di Toritto, Marcello Molè, con domicilio eletto presso Enrico Adriano Studio Rucellai & Raffaelli in Roma, via Due Macelli, 47;
Comune di Modena,
Comune di Vignola;


sul ricorso numero di registro generale 8934 del 2013, proposto da:
Esselunga s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Enrico Adriano Raffaelli, Francesco Denozza, Stefano Cassamagnaghi, Beniamino Caravita di Toritto, Marcello Molè, con domicilio eletto presso lo Studio Rucellai & Raffaelli in Roma, via dei Due Macelli, 47;
contro
Soc. Coop. Estense Società Cooperativa a r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Luisa Torchia, Giovanni Cavani, Gustavo Ghidini, Andrea Zoppini, Giovanni Guglielmetti, Angelo Piazza, con domicilio eletto presso Luisa Torchia in Roma, via Sannio, 65;
nei confronti di
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) - Antitrust, in persona del Presidente in carica., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Vignola,
Comune di Modena;

per la riforma
della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione I n. 07826/2013, resa tra le parti, concernente irrogazione di diffida e sanzione amministrativa pecuniaria

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Coop Estense Società Cooperativa a r.l. e di Esselunga s.p.a. e di Soc. Coop. Estense Società Cooperativa a r.l. e dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) - Antitrust;
Visti gli appelli incidentali proposti da Coop Estense Società Cooperativa a r.l in entrambi i giudizi su riportati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti delle due cause;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 marzo 2014 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Soldani, gli avvocati Piazza,Torchia,Caravita di Toritto,Cassamagnaghi,Denozza,Molè e Raffaelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, la Coop Estense Società cooperativa a r.l., agiva per l’annullamento del provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) n.23639, assunto nell'adunanza del 6 giugno 2012, pubblicato e notificato il 28 giugno 2012, e di ogni atto connesso, presupposto e consequenziale, relativo alla conclusione del procedimento A/437, avviato nei suoi confronti il 23 febbraio 2011 ai sensi dell'art.14 della l. 10 ottobre 1990, n 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato).
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva avviato, con delibera del 23 febbraio 2011, un procedimento istruttorio ai sensi dell’articolo 14, comma 1, della stessa legge n. 287 del 1990 nei confronti della Coop Estense Società cooperativa a r.l., avente ad oggetto l’accertamento dell’eventuale violazione da parte della società dell’articolo 3 della stessa legge.
L’AGCM aveva preso in considerazione, in particolare, l’ipotesi che la società – attiva nella distribuzione commerciale al dettaglio di prodotti alimentari e di altri beni di largo consumo, operante nel distretto adriatico con l’insegna “Ipercoop” per quanto attiene agli ipermercati, con l’insegna “Coop” per i supermercati, con “Dico” per i discount, e aderente insieme ad altre otto grandi cooperative al consorzio Coop Italia – “aveva ingiustificatamente condizionato, a mezzo di atti ostruzionistici e dilatori, l’iter amministrativo in corso per il rilascio di autorizzazioni all’avvio di attività commerciali nei comuni di Modena e Vignola, al fine di impedire e comunque ritardare l’espansione nella grande distribuzione moderna” in provincia di Modena di Esselunga, società attiva nel settore della distribuzione moderna al dettaglio di prodotti alimentari e non alimentari di largo e generale consumo, attraverso una rete di ipermercati e supermercati di media e grande superficie situati nel Nord Italia ed in Toscana, aventi insegna “Esselunga”, e nella produzione di generi alimentari destinati alla vendita nei punti vendita a insegna Esselunga e on-line.
All’esito del procedimento, con provvedimento n. 23639 del 6 giugno 2012, l’Autorità, accertata la posizione dominante di Coop Estense, aveva concluso nel senso che la condotta della società avviata nel febbraio del 2001, volta a ostacolare l’avvio di un nuovi punti vendita nella provincia di Modena mediante l’adozione di comportamenti ostativi con riguardo al comparto ex Consorzio agrario nel Comune di Modena, reiterata poi anche con riferimento ad un’area nel Comune di Vignola, configurava un’unica, continuata e grave violazione dell’articolo 3 della legge n. 287 del 1990 come abuso di posizione dominante a fine escludente.
La condotta era stata individuata, in occasione di tentativi di quella concorrenza di avviare punti vendita di medie e grandi dimensioni in provincia di Modena, in comportamenti tesi a ostacolare o quanto meno a fortemente ritardare l’uso a fini commerciali di aree già nella disponibilità del concorrente e tali da “minacciare” il proprio potere di mercato, anche intervenendo in procedure amministrative in fase avanzata per il rilascio delle relative autorizzazioni.
Nella condotta in parola l’AGCM aveva ravvisato: a) una concreta portata escludente di un concorrente, considerato dalla stessa Coop Estense un operatore altrettanto efficiente; b) l’assenza di valide giustificazioni alternative; c) la sua idoneità a provocare un danno ai consumatori, in termini di minore pressione concorrenziale e di minore scelta in quanto di per sé idonea a limitare il dispiegarsi di una concorrenza effettiva in un arco temporale certo.
L’AGCM aveva poi specificato che la circostanza che gli effetti sui mercati rilevanti della condotta di Coop Estense fossero dipesi anche da decisioni di autorità pubbliche non escludeva l’imputabilità di una condotta abusiva in capo alla società.
Per l’effetto, con lo stesso provvedimento n. 23639 del 6 giugno 2012, l’Autorità deliberava:
- che la società doveva porre fine agli effetti dell’infrazione contestata e doveva astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata;
- che la società doveva astenersi dall’esercitare il proprio potere di veto sulle scelte pianificatorie dell’area “ex Consorzio agrario” del Comune di Modena, promuovendo un processo di collaborazione che conducesse, entro e non oltre sei mesi dalla notifica del provvedimento, alla formulazione di un Piano condiviso che consentisse il recupero e la riqualificazione urbana del comparto e, conseguentemente, l’avvio di attività commerciali da parte del concorrente, fornendo nei medesimi termini opportuna informativa all’AGCM delle attività in tal senso svolte;
- di irrogare alla società una sanzione amministrativa pecuniaria complessiva pari a € 4.664.896.
Con il ricorso giurisdizionale di prime cure – con contestazioni qui riproposte in parte con l’appello incidentale e in buona parte con i motivi riproposti - la ricorrente lamentava difetto di istruttoria e motivazione sotto svariati profili e cioè che: l’ AGCM avrebbe errato nell’accertare il presupposto essenziale del provvedimento impugnato, ovvero la posizione di dominanza in capo a Coop Estense; erroneità in ordine alla rilevanza delle quote di mercato della società; l’erroneità di avere dato rilievo al solo criterio strutturale della quota di mercato, ovvero senza tener conto della pressione concorrenziale cui la società sarebbe soggetta e quindi la sua non indipendenza; non sarebbe stato valutato che nella provincia di Modena la quota di mercato della società (oscillante intorno al 40%), è quota limite che, quand’anche superiore a quelle detenute dai principali concorrenti, non raggiunge in valore assoluto – ai sensi del par. 14 degli Orientamenti della Commissione – la percentuale tale da far desumere, da essa soltanto, la posizione di dominanza; l’AGCM avrebbe quindi dovuto accertare che i concorrenti non sono in grado di limitare in modo effettivo il comportamento di un’impresa dominante; un tale accertamento nel caso di specie, dove si registra la presenza nel mercato rilevante di operatori concorrenti titolari di quote di mercato significative (Conad 20%; Selex 6%; Esselunga 6%) e aventi un reputazione commerciale e una presa di mercato comparabili a quelle della ricorrente, avrebbe condotto all’esclusione di una posizione dominante in capo a Coop Estense; eccesso di potere per difetto d’istruttoria in ordine alla rilevanza delle barriere amministrative all’ingresso; l’AGCM si sarebbe limitata a evocare l’esistenza di barriere all’ingresso (scarsità di aree disponibili, in ragione delle condizioni poste con i piani urbanistici territoriali e commerciali; tempi lunghi di rilascio delle autorizzazioni), senza dimostrarne e accertarne gli effetti nel caso di specie, laddove, di contro, la società avrebbe dimostrato nel corso del procedimento, mediante i dati relativi all’andamento di nuove iniziative commerciali nel settore della grande distribuzione alimentare, lo sviluppo del tutto fisiologico della concorrenza nel mercato rilevante; ciò sarebbe confermato dalla recente realizzazione di due supermercati Conad nella città di Modena e nell’apertura nella provincia di Modena nel decennio 2000/2010, sia da parte della società che di numerosi altri concorrenti, di undici punti vendita di dimensioni uguali o superiori a 1.500 mq di superficie di vendita e di diverse decine di punti vendita di superficie inferiore; sarebbe totalmente indimostrata, priva di fondamento e anzi contraddetta da precisi e significativi dati inerenti lo stato della concorrenza nei territori in parola, che la stessa AGCM ha registrato come emersi nel corso del procedimento, l’affermazione inerente la capacità della società, quale barriera di tipo strategico, di porre in essere comportamenti volti a ostacolare e a ritardare l’ingresso o l’espansione della concorrenza al fine di salvaguardare la propria posizione di mercato; Coop Estense non sarebbe, infatti, per stessa ammissione dell’Autorità, in grado di assumere comportamenti indipendenti dal concorrente Esselunga; insussistenza degli elementi necessari per l’individuazione di un abuso di posizione dominante in quanto, anche se dovesse ritenersi la posizione dominante di Coop Estense negli anni indicati dal provvedimento, non sussisterebbero gli elementi atti a qualificare come abusivi i comportamenti della società, dovendo l’Autorità individuare con certezza le condotte illecite, e ancor più dimostrare che tali condotte, pur atipiche, fossero rilevanti ai fini dell’individuazione dell’illecito; mentre nella specie non viene soddisfatto l’onere probatorio e di motivazione da assolvere con particolare rigore, anche con riguardo al nesso di causalità; sarebbe stato individuato un solo comportamento specifico, peraltro risalente al 2001, ovvero l’acquisizione da parte di Coop Estense della particella del terreno “Fallimento Rizzi”, in esito alla partecipazione a un’asta fallimentare; i comportamenti successivi a tale evento, per quanto riguarda sia il comune di Modena che quello di Vignola, non sarebbero mai precisamente individuati ma solo qualificati come interventi strumentali a impedire l’avvio di punti vendita da parte di Esselunga; tale operazione sconterebbe l’errore di fondo di considerare l’ambito nel quale la società avrebbe posto in essere le contestate condotte, ovvero i due procedimenti di pianificazione del territorio, che restano di carattere autoritativo ancorché implichino la partecipazione procedimentale del privato, alla stregua di procedure nel quale il medesimo possa vantare diritti soggettivi; il riferimento alle predette procedure consentirebbe anche di ricomprendere indebitamente la loro intera durata in un arco temporale unitario, nel quale situare la strategia escludente “unica e continuata” della società; sarebbe stato del tutto impossibile individuare specifici comportamenti abusivi di Coop Estense successivi al 2001, e ancor più collegare le vicende di Modena e di Vignola; le condotte della società sarebbero invece del tutto lecite e legittime, come attestato dalla medesima nel corso del procedimento, avvalendosi di argomenti che l’AGCM avrebbe ignorato o negato senza ragione; vi sarebbero due gravi e rilevanti errori nella ricostruzione dei fatti operata dall’Autorità (collocazione nel tempo dell’ingresso ufficiale di Esselunga nella competizione per l’acquisto di un lotto del comparto, avvenuto nel marzo 2009 e non nel 1999; mancata corretta lettura dell’oggetto e delle condizioni del preliminare di vendita stipulato da Esselunga nel 2000); il “potere di veto” di Coop Estense nei confronti dei programmi di Esselunga, sarebbe insussistente perché basato su un assunto – che Coop Estense dovesse assecondare in ogni caso le pretese di Esselunga e quindi aderire acriticamente al piano particolareggiato da questa predisposto – privo di base normativa, non comprendendosi la fonte di un obbligo e correlativamente di un diritto così assoluti; non sussisterebbe alcuna illiceità nelle condotte della società identificate dal provvedimento come abusive (opposizione proposta avverso un piano presentato nel 1999 dagli allora proprietari delle due porzioni del comparto, Fallimento Rizzi e Consorzio Agrario; condotta dilatoria e ostruzionistica nei confronti di Esselunga successivamente al 2001); quanto alla prima, deporrebbe in contrario avviso la sentenza del Tribunale amministrativo per l’Emilia Romagna, Bologna, n. 2280/2009; quanto alla seconda, si tratterebbe del predetto “potere di veto” erroneamente identificato e, dal 2004, di un mero “comportamento solo apparentemente collaborativo”; le affermazioni che la condotta abusiva della società è consistita nella “contestazione ed opposizione sistematica e strumentale a proposte formulate dalla controparte” e che la stessa avrebbe avuto un effetto escludente nei confronti di Esselunga sarebbero infondate in fatto e in diritto oltre a essere prive di evidenza probatoria; la proposta di Esselunga sarebbe stata infatti irricevibile per Coop Estense in termini sia commerciali che giuridici e la controproposta di Coop Estense sarebbe stata formulata in piena buona fede e con la convinzione che essa avrebbe potuto almeno essere presa in considerazione; il comportamento di Esselunga, al contrario, non sarebbe stato invece minimamente indagato dall’Autorità, pur essendo quanto meno speculare rispetto a quello di Coop Estense; le conclusioni dell’Autorità non sarebbero confortate da evidenze probatorie, anche in relazione alle controdeduzioni procedimentali formulate dalla società, che avrebbero evidenziato come le condotte addebitate si sono verificate nel corso di un procedimento amministrativo, volto all’approvazione di un piano particolareggiato, nell’ambito del quale Coop Estense aveva titolo a partecipare, destinato a concludersi con la decisione del comune di Modena all’esito dell’acquisizione dei pareri obbligatori; al riguardo, il provvedimento si limiterebbe a citare una unica sentenza del Tribunale UE, ovvero il caso Astra-Zeneca, che sarebbe del tutto inconferente, vertendo su una fattispecie nella quale il soggetto imputato di illecito antitrust aveva fornito all’amministrazione nel corso di un procedimento dati falsi, mentre alla società si imputerebbe ora la mera ed esclusiva partecipazione al procedimento, indebitamente qualificata come ostruzionistica; la conclusione cui è pervenuta l’AGCM confliggerebbe con i principi di affidamento e di certezza del diritto; né la questione potrebbe essere superata ricorrendo, come fa l’Autorità, alla teoria degli effetti, atteso che il provvedimento non dimostrerebbe il nesso di causalità tra la partecipazione della società al procedimento e la presunta esclusione di Esselunga dal mercato; il nesso di causalità sarebbe interrotto in almeno due punti, atteso che il ricorso proposto da Esselunga avverso la decisione negativa sul piano particolareggiato, assunta dal comune di Modena, sarebbe stato respinto dal Tribunale amministrativo per l’Emilia-Romagna (Bologna) con la citata sentenza n. 2280/2009, che aveva evidenziato i profili critici del progetto; a sua volta, la decisione negativa del Comune si fonderebbe su tre diversi elementi, di cui il mancato accordo tra le parti costituisce un solo punto, e nessun rilievo assumerebbe, ex se, la mera dichiarazione dei rappresentanti del Comune di aver interesse allo sviluppo dell’area, atteso che la mancata approvazione del piano è stata adottata a tutela di interessi pubblici, come confermato dalla citata sentenza del Tribunale amministrativo, che il provvedimento liquiderebbe in una sola riga; in altre parole, poiché, contrariamente a tutte le evidenze del procedimento, per l’Autorità l’unica ragione della mancata approvazione del piano in parola sarebbe il mancato accordo tra proprietari, che, quindi, assumerebbe la veste di condotta escludente, verrebbe del tutto ignorata sia la discrezionalità dell’amministrazione comunale nella materia, sia le circostanze che il piano non avrebbe comunque potuto essere approvato per altre ragioni e che l’accordo tra i proprietari era condizione sufficiente solo per la definizione del piano e non per la sua approvazione; la connessione tra le vicende di Modena e di Vignola sarebbe strumentale e artificiosa; l’intera condotta escludente si manifesterebbe secondo l’atto gravato con l’inoltro all’amministrazione comunale di una nota contenente una manifestazione di interesse, che, secondo l’Autorità, avrebbe determinato la mancata approvazione da parte del Comune del progetto di Esselunga; la predetta conclusione, che ignorerebbe completamente la discrezionalità amministrativa e configurerebbe in capo a Esselunga una sorta di diritto assoluto all’approvazione del suo progetto, sarebbe priva di qualsiasi fondamento e prova e non terrebbe conto sia dell’esistenza di molteplici condizioni cui era subordinata l’approvazione del progetto, tra cui una modifica della pianificazione provinciale, sia della necessità dell’amministrazione comunale di rispettare il principio di imparzialità, che, nella specie, avrebbe comunque imposto di verificare, prima dell’approvazione del progetto di Esselunga, la eventuale sussistenza di altri soggetti interessati; inoltre ciò che si sarebbe realmente concretizzato sarebbe esclusivamente un mero rinvio dell’approvazione del progetto in parola, che non potrebbe determinare alcun effetto escludente, anche tenendo conto dei relativi tempi; l’AGCM non avrebbe neanche considerato che prima ancora della trasmissione della manifestazione di interesse da parte di Coop Estense Esselunga aveva manifestato il proprio interesse a trasferire il proprio supermercato su altra area; l’illecito concorrenziale sarebbe in ogni caso prescritto, non potendosi rinvenire alcuna strategia unitaria nella condotta oggetto di contestazione, trattandosi di vicende distinte anche nel tempo e che si inseriscono in diversi iter amministrativi facenti capo a diversi enti, e non offrendo il provvedimento alcun principio di prova in ordine alla connessione; in particolare, le condotte contestate a Coop Estense – aggiudicazione all’asta pubblica della particella Fallimento Rizzi; invio della lettera al Sindaco di Vignola – si sarebbero esaurite in un solo istante, permanendone, al più, solo gli effetti, ovvero un elemento del tutto irrilevante ai fini della prescrizione dell’illecito; in ogni caso, poi, il comportamento abusivo si sarebbe esaurito con le deliberazioni comunali di non approvazione dei piani di Esselunga di Modena del 2004 e di Vignola del 2005, che avrebbero interrotto il nesso di causalità tra le condotte stesse e la presunta esclusione dal mercato di Esselunga.
Dopo avere contestato in sostanza il difetto d’istruttoria e di motivazione sotto i profili sopra elencati, la ricorrente Coop Estense contestava altresì gli atti adottati, deducendo che la diffida di tipo conformativo adottata nell’atto gravato sarebbe senza precedenti e manifestamente abnorme, per l’inusitata vincolatività sia nei confronti della società, in contrasto con l’autonomia dell’impresa, sia nei confronti dell’amministrazione comunale, oltre che esorbitante dal potere attribuito all’Autorità e ingiustificata, sproporzionata e priva di motivazione; la diffida debordebbe dai limiti previsti dalla legge, relativi all’ordine di eliminazione delle infrazioni, nella misura in cui si attaglierebbe a comportamenti in corso, laddove la stessa AGCM riconosce che le asserite condotte anticompetitive sono cessate nel 2009; mancherebbe la dimostrazione dell’adeguatezza della misura conformativa a ottenere il risultato di rimozione dell’effetto escludente nonché della sua ragionevolezza e proporzionalità; la diffida avrebbe un effetto totalmente conformativo del comportamento della ricorrente, cui non residuerebbe alcuna autonomia d’impresa, configurandosi come una misura dirigistica che per l’ordinamento nazionale vigente l’AGCM non avrebbe il potere di adottare; la diffida non potrebbe trovare fondamento, stante la sua accentuata vincolatività, né nella giurisprudenza amministrativa formatasi in materia di intese che ritiene possibile l’ingiunzione di specifici comportamenti, né nella ratio della disciplina antitrust, che è volta ad assicurare parità di condizioni tra i concorrenti sul mercato e non a regolare l’assetto degli interessi in una situazione data; non derivando Coop Estense la sua posizione di vantaggio dall’attribuzione di diritti o privilegi esclusivi, non sussisterebbero neanche le condizioni che legittimano l’imposizione alle imprese da parte dell’Autorità di un obbligo di contrarre o di un obbligo di accesso a una essential facility; la misura di cui alla diffida sarebbe sproporzionata perché azzererebbe il valore della proprietà di Coop Estense, che in ragione delle stessa non potrebbe più esercitare liberamente le facoltà proprietarie, a maggior ragione con effetti definitivi e permanenti derivanti dall’adempimento degli obblighi posti; neanche la riduzione della sanzione pecuniaria effettuata in ragione dell’adozione della diffida ripristinerebbe la necessaria proporzionalità della misura; la diffida sarebbe poi un unicum anche in quanto parzialmente indirizzata a un soggetto – il Comune di Modena – non destinatario del provvedimento, di cui l’AGCM intende sterilizzare il potere discrezionale; con ciò l’Autorità ammetterebbe che l’accesso al mercato di Esselunga non dipende esclusivamente dalle condotte della ricorrente e quindi emerge sotto altro aspetto la insussistenza del nesso di causalità tra le condotte della società e l’esclusione di Esselunga.
Con altri motivi la ricorrente lamentava che la sanzione amministrativa pecuniaria di € 4.664.896 sarebbe sproporzionata; difetterebbero i presupposti e ogni sostegno probatorio per qualificare grave il presunto illecito concorrenziale; in particolare, non vi sarebbe alcuna prova in ordine all’effetto di restrizione del mercato e di danno per i consumatori, restando così indimostrato il rilevante elemento delle “preclusione anticoncorrenziale”; tra altro, l’Autorità avrebbe omesso di considerare che nella provincia di Modena si sarebbero registrati, nel 2010, i prezzi più convenienti di tutta la Regione, come da dati forniti dalla società nel corso del procedimento, ciò che dimostrerebbe la condizione di vivace concorrenza in cui si trova il mercato rilevante dopo il presunto illecito, incompatibile con l’effetto di foreclosure ipotizzato dall’Autorità; inoltre la gravità dell’illecito, che non avrebbe formato oggetto della dovuta puntuale valutazione, sarebbe frutto di una formalistica equazione, che considererebbe grave ogni condotta escludente, assunto manifestamente errato tenuto conto che in ipotesi di abuso escludente la gravità dell’infrazione andrebbe accertata sulla base di requisiti sia oggettivi (entità dell’effettivo pregiudizio concreto o potenziale all’efficienza del mercato) che soggettivi (dolo o colpa dell’impresa); anche la durata dell’illecito considerata dall’Autorità sarebbe erronea, atteso che la condotta abusiva si sarebbe in ogni caso esaurita nel 2005; i calcoli per la determinazione del quantum sarebbero erronei; la sanzione pecuniaria sarebbe in ogni caso sproporzionata se rapportata alle misure imposte con la comminata diffida a effetti sostanzialmente espropriativi, per la quale l’Autorità avrebbe operato una riduzione insufficiente. Così Coop Estense domandava in via principale il suo annullamento, in via subordinata la rideterminazione della sanzione pecuniaria con esso irrogata.
Il giudice di primo grado, all’esito del giudizio, pur ravvisando nella specie la posizione dominante, non riteneva sussistere tutti gli estremi della condotta di abuso di posizione dominante, del quale illecito un elemento costitutivo essenziale doveva essere, a suo avviso, anche il nesso di causalità tra la condotta dell’impresa dominante e l’effetto escludente.
Pertanto, il Tribunale amministrativo annullava il provvedimento, poiché riteneva insufficientemente istruita e non adeguatamente dimostrata la teoria espressa dall’Autorità, riguardo all’interruzione del nesso di causalità tra la condotta partecipativa della Coop Estense e la esclusione della concorrente Esselunga dai mercati rilevanti.
Secondo il Tribunale amministrativo, il provvedimento era da ritenersi viziato da carenza di istruttoria, poiché l’Autorità non aveva tenuto nella dovuta considerazione gli elementi su cui si poggiava la sua tesi e cioè che, in assenza degli interventi della Coop Estense, i procedimenti amministrativi avrebbero avuto esito positivo per Esselunga, permettendole di realizzare le strutture commerciali.
Per quanto riguarda le condotte in Modena, il Tribunale amministrativo rilevava che, come esponeva nel ricorso la ricorrente, la mancata approvazione del piano particolareggiato non era stata dovuta alla sola opposizione della Coop Estense, ma anche ad altre circostanze e in particolare al parere negativo reso dalla Ausl/Arpa competente e al mancato adeguamento del piano al parere della Commissione edilizia.
Tali circostanze risultavano chiaramente per tabulas non solo dal provvedimento di mancata approvazione adottato dal comune di Modena, ma anche dalla sentenza del Tribunale amministrativo per l’Emilia-Romagna (Bologna), del 6 novembre 2009, n.2280, che aveva confermato la legittimità della procedura amministrativa svoltasi dinanzi a quel comune.
In definitiva, sotto tale profilo, il giudice riteneva il provvedimento viziato per <<mancata assoluta dimostrazione della sussistenza di un nesso causale, anche concorrente ma di rilievo determinante, tra la condotta di Coop Estense e la esclusione di Esselunga>>.
Anche per la vicenda di Vignola il Tribunale amministrativo per il Lazio osservava che l’assunto di partenza dell’Autorità circa la certa approvazione del progetto di Esselunga era in realtà smentito dalla circostanza che il procedimento prevedeva l’intervento di terzi interessati.
In ogni caso, osservava il giudice, l’approvazione del detto accordo non avrebbe comunque in modo automatico comportato l’insediamento della struttura commerciale di Esselunga in territorio di Vignola, atteso che <<all’accordo avrebbero in ogni caso dovuto fare seguito, a tal fine, altri procedimenti>> lunghi e complessi.
Avverso la sentenza, ritenendola errata e ingiusta, ha proposto appello Esselunga; ha proposto appello incidentale Coop Estense, contestando la parte di sentenza che ha ritenuto sussistere la posizione dominante; altro appello è stato proposto dall’Autorità garante per la concorrenza, che chiede la riforma della sentenza appellata.
Con il suo appello (r.g.n.8889 del 2013) l’Autorità antitrust, dopo avere esposto la vicenda, ribadisce la legittimità del suo operato, deduce i motivi di travisamento delle risultanze istruttorie in primo grado; l’erronea esclusione del carattere abusivo delle condotte di Coop Estense, specie in punto di nesso causale.
Essa sostiene l’erroneità della sentenza in relazione alle vicende di Modena e di Vignola, sostenendo la correttezza del suo operato e rappresentando la mancata applicazione del principio per cui incombe sull’impresa dominante una ‘speciale responsabilità’ nella determinazione delle sue condotte sul mercato, che impone di valutare la legittimità di tali condotte secondo parametri diversi e più severi di quelli che valgono per le imprese che non detengono alcun potere di mercato.
In sintesi, con l’appello l’Autorità sostiene che: la normativa antitrust trova fondamento nelle differenti finalità e prospettive che caratterizzano tale normativa rispetto a quella sul procedimento amministrativo; sull’esistenza dell’abuso non incide il fatto che tale strategia sia stata, all’apparenza, infruttuosa; in caso di sfruttamento abusivo della posizione dominante, pur se non si può qualificare esistente l’abuso in assenza di un minimo di effetto anticoncorrenziale sul mercato, tale effetto non deve essere necessariamente concreto, in quanto è sufficiente la dimostrazione di un effetto anticoncorrenziale potenziale.
Si è costituita con memoria e appello incidentale la società Coop Estense Società cooperativa a r.l., riproponendo ai sensi dell’art. 101 Cod. proc. amm. i motivi quarto, quinto e sesto del ricorso di primo grado assorbiti nella sentenza impugnata. Con il primo di questi motivi (quarto del ricorso originario), sostiene che sarebbero state valutate condotte oramai prescritte e che riguardano vicende in tempi diversi, a notevole distanza l’una dall’altra, con il coinvolgimento di amministrazioni diverse, senza connessione tra loro. Con il secondo di tali motivi (il quinto del ricorso originario) deduce che sia la diffida che la sanzione sarebbero affetti da gravi illegittimità, in quanto la diffida è sproporzionata e irragionevole; si sostiene la inammissibilità di diffide di natura “conformativa e dirigistica” (pagina 14 della memoria e appello incidentale) che limitino la libertà di comportamento dell’attività di impresa. Deduce la sproporzionalità e l’irragionevolezza della misura adottata in relazione alla riduzione della sanzione e l’insussistenza del potere di condizionare le future scelte dell’amministrazione pubblica. Con altro motivo riproposto (il sesto del ricorso originario) essa deduce l’illegittimità della sanzione pecuniaria, per l’erronea qualificazione dell’illecito in termini di gravità (non essendosi verificati nei fatti svantaggi per i consumatori, in presenza di prezzi più convenienti per l’Emilia-Romagna nel 2010), per erronea determinazione della durata dell’illecito (perché la presunta condotta si è al massimo concretizzata e consumata nel 2001 per Modena e per il 2005 per Vignola e non già continuativamente dal 2001 al 2009), per erronea quantificazione della sanzione pecuniaria inflitta (per erroneo calcolo della percentuale dello 0,14% in relazione al fatturato realizzato nell’anno 2009 nel mercato dei supermercati nella provincia di Modena, pari a 583,1 milioni di euro, che corrisponde non già a 0,883 milioni di euro ma a 0,816 milioni di euro).
Con l’atto di appello incidentale di Coop Estense si deduce l’erroneità della sentenza perché erroneamente avrebbe rinvenuto gli estremi per ritenere sussistente la sua posizione dominante.
Con altro appello (r.g.n.8934 del 2013), Esselunga s.p.a. espone i fatti di causa, sostenendo l‘erroneità della sentenza di primo grado in relazione sia alla vicenda di Modena che a quella di Vignola e al riguardo afferma la legittimità del provvedimento adottato dall’Autorità in data 6 giugno 2012, deducendo l’erroneità della sentenza di primo grado laddove ha escluso il nesso di causalità in relazione ad entrambe le vicende, non valutando correttamente le risultanze procedimentali e non considerando la posizione di ‘speciale responsabilità’ che incombe (incombeva) sulla impresa in posizione dominante; la sentenza di primo grado, escludendo il nesso di causalità, è andata in avviso contrario rispetto a costante giurisprudenza nazionale e comunitaria sull’abuso di posizione dominante.
Con un secondo motivo di appello Esselunga s.p.a. deduce, con riferimento alla vicenda di Modena, l’erroneità della sentenza appellata per avere ritenuto legittimo il rifiuto opposto dalla cooperativa Estense alla soluzione condivisa proposta da Esselunga per la utilizzazione edilizia dell’”ex area Rizzi”; deduce che il potere di veto sia stata una manifestazione di abuso del diritto da parte della Coop Estense, in contrasto con le argomentazioni della sentenza sulla liceità della condotta escludente di Coop Estense; erroneità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla normativa antitrust, per arbitraria trasposizione dei fatti di causa e dei principi di diritto di cui alla sentenza del Tribunale amministrativo per l’Emilia-Romagna n.2280 del 2009, emergendo dalla stessa sentenza del primo giudice che l’acquisto dell’area si poneva come finalizzato esclusivamente alla adozione di siffatto comportamento abusivo.
Con un terzo motivo d’appello (con riferimento alla vicenda di Vignola), essa deduce l’illegittimità della sentenza per erronea e falsa applicazione dei principi generali in materia di tutela della concorrenza, con specifico riferimento all’art. 3 della l. n. 287 del 1990, utilizzato nella sentenza per escludere l’ipotesi di posizione dominante desumendola dai singoli casi ivi elencati, nonché difetto di motivazione anche sotto il profilo del travisamento dei fatti.
Nell’appello Esselunga sostiene che è proprio l’insieme degli elementi – che non vanno considerati isolatamente ma unitariamente – che dimostrano che la gestione coordinata dei comportamenti su Vignola e Modena da parte di Coop Estense era diretta ad un unico obiettivo e cioè impedire l’apertura di punti di vendita Esselunga in provincia di Modena.
Anche in tale giudizio, si è costituita con memoria e appello incidentale Coop Estense società cooperativa a r.l., riproponendo allo stesso modo ai sensi dell’art. 101 Cod. proc. amm. i motivi quarto, quinto e sesto del ricorso di primo grado assorbiti nella sentenza impugnata; con il primo di questi motivi (quarto del ricorso originario), essa sostiene che sarebbero state valutate condotte che riguardano vicende in tempi diversi, tra l’altro oramai prescritte, a notevole distanza l’una dall’altra, con il coinvolgimento di amministrazioni diverse, senza connessione tra loro; con il secondo di tali motivi (il quinto del ricorso originario) deduce che sia la diffida che la sanzione sarebbero affetti da gravi illegittimità, in quanto la diffida è sproporzionata e irragionevole; sostiene l’inammissibilità di diffide di natura “conformativa e dirigistica” che limitino la libertà di comportamento dell’attività di impresa; si deduce la sproporzionalità e irragionevolezza della misura adottata in relazione alla riduzione della sanzione e la insussistenza del potere di condizionare le future scelte dell’amministrazione pubblica. Con altro motivo riproposto (il sesto del ricorso originario) deduce l’illegittimità della sanzione pecuniaria, per erronea qualificazione dell’illecito in termini di gravità (non essendosi verificati nei fatti svantaggi per i consumatori, in presenza di prezzi più convenienti per l’Emilia-Romagna nel 2010), per erronea determinazione della durata dell’illecito (perché la presunta condotta si è al massimo concretizzata e consumata nel 2001 per Modena e per il 2005 per Vignola e non già continuativamente dal 2001 al 2009), per erronea quantificazione della sanzione pecuniaria inflitta (per erronea calcolo della percentuale dello 0,14% in relazione al fatturato realizzato nell’anno 2009 nel mercato dei supermercati nella provincia di Modena, pari a 583,1 milioni di euro, che corrisponde non già a 0,883 milioni di euro ma a 0,816 milioni di euro).
Con l’atto di appello incidentale di Coop Estense si deduce l’erroneità della sentenza perché erroneamente avrebbe rinvenuto gli estremi per ritenere sussistente la posizione dominante di Coop.
All’udienza pubblica del 25 marzo 2014 dopo discussione le due cause sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
1.In via preliminare va disposta la riunione dei giudizi, trattandosi di appelli avverso la medesima sentenza, ai sensi dell’art. 335 Cod. proc. civ.. richiamato dall’art. 39 Cod. proc. amm..
2. In via logicamente prioritaria, vanno esaminati gli appelli incidentali, con i quali Coop Estense deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistere la sua posizione di dominanza nel mercato rilevante (la posizione dominante essendo, in relazione al mercato rilevante, la precondizioneper poi valutare la sussistenza o meno dell’abuso della posizione medesima).
In sintesi, secondo Coop Estense, dall’accertamento effettuato in sede istruttoria è emerso che la quota di mercato detenuta da essa Coop Estense nel settore dei supermercati ha oscillato negli anni intorno al 40% ed è una quota limite che, di per sé, secondo gli orientamenti della Commissione europea, non consentirebbe di ritenere che l’impresa che la detiene sia in sicura posizione dominante. Il che avrebbe dovuto comportare un’istruttoria più approfondita sul punto, esistendo altri imprenditori capaci di quota di mercato: Conad con il 20%, Selex con il 6%, Esselunga con il 6%.
Per accertare la posizione di dominanza, l’Autorità – che secondo l’appellante incidentale non avrebbe superato l’onere probatorio su di essa incombente - avrebbe dovuto accertare se Coop Estense era in grado di aumentare i prezzi al di sopra del livello concorrenziale in maniera redditizia per un periodi di tempo significativo; né comunque ha accertato l’esistenza di significative barriere poste all’ingresso del mercato rilevante.
Ad avviso del Collegio, il motivo svolto con l’appello incidentale è infondato.
La nozione di mercato rilevante – vale a dire di scenario territoriale, tendenzialmente omogeneo quanto a domanda e offerta in questione, dove si svolge il rapporto di concorrenza - implica un accertamento in fatto sia in relazione al prodotto, sia per area geografica, cui segue l’applicazione, ai fatti accertati, delle norme in tema di mercato rilevante o parametri su di esso, da intendere alla stregua dalla giurisprudenza sia nazionale che comunitaria (cfr. Cass., I, 13 febbraio 2009, n. 3638; Cons. Stato, VI, 13 maggio 2011, n. 2925). L’individuazione in concreto di un mercato rilevante è riservata all’AGCM: il giudice amministrativo non vi si può sostituire all’Autorità, salvo che l’operato di questa presenti vizi di travisamento dei fatti, vizi logici, vizi di violazione di legge (es. Cons. Stato, VI, 14 marzo 2000, n. 1348; 16 ottobre 2002, n. 5640.; recentem. Cons. Stato, VI, 3 aprile 2009, n. 2092; 24 giugno 2010, n. 4016; 14 luglio 2011, n. 4283; 16 settembre 2011, n. 5171; 12 aprile 2013, n. 2002; 21 maggio 2013, n. 2722).
Non solo: è noto che – per consolidata giurisprudenza - l’applicazione delle norme che qui rilevano in tema di mercato rilevante e ivi di abuso di posizione dominante ai fatti implica una loro “contestualizzazione”, frutto di una valutazione complessa, che rapporta fattispecie giuridiche che, per il loro riferimento alla varia e mutevole realtà economica, sono di loro necessariamente indeterminate, come quelle di mercato rilevante e di abuso di posizione dominante, al caso specifico: una tale imprescindibile contestualizzazione sconta fatalmente “margini di opinabilità” (tra tanti, Cons. Stato, VI, 20 maggio 2011, n.3013; 16 settembre 2011, n. 5171), nondimeno impone all’interprete di identificare, nella variabilità della situazione di riferimento, la sussistenza di un rapporto effettivo tra l’interesse generale tutelato dalle previsioni, riferito alla tutela della concorrenza e del mercato, e il comportamento concretamente tenuto e considerato dai provvedimenti.
Il mercato rilevante, a sua volta presupposto dell’esistenza della posizione dominante, identifica e delimita il contesto sociale ed economico dove operano le imprese interessate dall’accertamento. Va rilevato preliminarmente, con i livelli di insindacabilità che si sono rammentati, e sia dal punto di vista della domanda che dal punto di vista dell’offerta, anche per potervi collocare i concorrenti effettivi delle imprese interessate che si assumono in grado di condizionare il comportamento di queste ultime e così di impedir loro di operare in modo significativamente indipendente da effettive, indebite pressioni concorrenziali. E in questo mercato rilevante va accertato se sussiste una posizione dominante di un’impresa. Solo sulla base di questi elementi si può passare a rilevare, e se del caso qualificare, come abusiva la condotta competitiva di una impresa rispetto ad altre.
In caso di abuso di posizione dominante, la delimitazione del mercato di riferimento inerisce dunque ai primi presupposti logici del giudizio sul comportamento ipotizzato come anticoncorrenziale.
Ai fini dell’identificazione di un mercato rilevante - elemento qui quasi dato per acquisito, visto che l’appellante incidentale Coop Estense si è limitata a contestare la successiva posizione di dominanza – operazione preliminare e imprescindibile per l’accertamento di una condotta anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 3 l. 10 ottobre 1990, n 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) – occorre prendere in considerazione sia l’estensione geografica dove la condotta denunciata si colloca o sortisce effetti (mercato geografico), quanto l’ambito del prodotto o del servizio che la medesima operazione investe (mercato del prodotto).
Secondo le indicazioni della Commissione europea del 1997, occorre tener conto dei parametri stimati essenziali dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, costituiti dalla sostituibilità della domanda e dalla sostituibilità dell’offerta (cfr. anche Cass., I, 13 febbraio 2009, n.3638). Vale a dire, dell’intercambiabilità o sostituibilità del prodotto o del servizio offerti, in ragione delle caratteristiche del prodotto, dei prezzi e dell'uso progettato.
Nella fattispecie di abuso di posizione dominante la perimetrazione del mercato rilevante rappresenta quindi un prius logico e pratico, un presupposto essenziale dell'illecito in relazione al quale la condotta ascritta considerata può assumere i tratti dell'abuso di posizione dominante (es. Cons. Stato, VI, 10 marzo 2006, n. 1271).
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, per mercato rilevante si intende quella zona geograficamente individuata dove, dato un prodotto o una gamma di prodotti considerati tra loro sostituibili, le imprese che forniscono quel medesimo tipo di prodotto si pongono in rapporto di reciproca concorrenza (Cons. Stato, VI, 9 aprile 2009, n. 2206; 12 febbraio 2001, n. 652; 14 marzo 2000, n. 1348).
La rilevanza del mercato non impone una definizione geografica minima dell'ambito spaziale di riferimento, né la necessità che un tale ambito risulti dall’estensione dell'attività considerata ad una pluralità indefinita di atti concorrenziali.
L’AGCM, nel procedimento qui in questione (punto V.1. Mercati rilevanti), ha rilevato che il settore di riferimento era quello della distribuzione moderna di prodotti alimentari e non alimentari di largo e generale consumo, i cui punti vendita si distinguono nelle categorie ipermercati, supermercati, superette e discount, i quali si diversificano per caratteristiche come la dimensione della superficie di vendita, il posizionamento di prezzo, l’ampiezza e la profondità della gamma di prodotti offerti, le caratteristiche espositive, la presenza di banchi per i prodotti freschi, la disponibilità di parcheggi.
Quanto poi alla dimensione della singola superficie di vendita, il provvedimento rammenta che ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59): sono ipermercati i punti vendita aventi superficie superiore ai 2.500 mq; rientrano nella categoria dei supermercati i punti vendita aventi superficie compresa tra 400 e 2.500 mq; sono superette i punti vendita di dimensione inferiore ai 400 mq; i discount appartengono alle predette categorie a seconda della loro superficie di vendita.
L’Autorità ha quindi richiamato la sua prassi, secondo cui nell’individuazione dei mercati rilevanti occorre muovere da ciascuna tipologia di punto vendita e affiancarvi le categorie di punti vendita con cui sussistano forti relazioni di sostituibilità.
In virtù di tali prassi, risultano definiti tre distinti mercati del prodotto, che presentano un’area di reciproca sovrapposizione (mercato delle superette, composto da tutte le superette e dai piccoli supermercati; mercato dei supermercati, composto da tutti i punti vendita della distribuzione moderna, in quanto i supermercati risentono, da un lato, della concorrenza delle superette, e dall’altro, di quella degli stessi supermercati e degli ipermercati; mercato degli ipermercati, comprensivo degli ipermercati e dei medio-grandi supermercati).
L’AGCM, dopo aver rilevato che i comportamenti di Coop Estense si riferivano all’apertura, da parte della concorrenza, di due punti vendita aventi superfici di vendita pari o superiori a 1.500 mq (a Vignola si trattava di insediare un punto vendita di 2.500 mq), ha concluso che i comportamenti della stessa Coop Estense avevano inciso sulle possibilità di ingresso della concorrenza (barriera) vuoi nel mercato dei supermercati (comprendente tutte le superfici della moderna distribuzione commerciale) vuoi nel mercato degli ipermercati (comprendente tutti i punti vendita da 1.500 mq in su).
Insomma, nel procedimento esaminato, i mercati rilevanti del prodotto sono stati identificati in quelli dei supermercati e degli ipermercati. E a quelli era rapportata l’addebitata condotta diretta alla costruzione di una barriera.
Dal punto di vista geografico, in ragione dei comportamenti d’acquisto dei consumatori e dell’importanza da loro attribuita alla prossimità dei punti vendita, i mercati rilevanti sono stati delimitati in relazione alla provincia di Modena, così applicando un criterio di prima approssimazione, come d’uso identificato con i confini amministrativi provinciali (i quali corrispondono a un consolidato bacino di interessi e relazioni sociali ed economici, di medio raggio).
La nota 31 del provvedimento impugnato dà conto che i comuni di Modena e di Vignola fanno riferimento entrambi a un medesimo mercato rilevante geografico, anche a utilizzare la metodologia delle iscocrone (vale a dire, dei luoghi raggiungibili in un medesimo tempo muovendo da un determinato punto di partenza, considerando viabilità e traffico).
Il provvedimento descrive anche alcune caratteristiche dei mercati rilevanti in provincia di Modena, portanti a individuare margini di efficientamento, e identificati per numero di abitanti i principali comuni della provincia di Modena, tra cui quello di Modena, quello di Carpi e altri svolgenti funzioni di capofila zonale (Vignola, Sassuolo e Mirandola), cui fanno riferimento ampie aree sovra-comunali; e specificando che l’attività commerciale è localizzata prevalentemente in detti comuni, dà conto che, sulla base dei più recenti dati disponibili, nel 2009 erano attivi in comune di Modena esercizi commerciali alimentari corrispondenti al 40% circa della superficie di vendita insediata a livello provinciale.
Nella valle del Panaro, che comprende anche i Comuni di Vignola e di Spilamberto, erano, invece, concentrate il 10% circa delle attività commerciali.
La distribuzione delle tipologie commerciali presentava ancora, nel 2009, una prevalenza di punti vendita di vicinato o comunque di piccole dimensioni (99,5%). Nel periodo tra il 1998-2009, l’incidenza della media e grande dimensione non mutava, rimanendo del tutto limitata (0,5%).
Il provvedimento, come riporta anche la sentenza appellata e risulta dagli atti del giudizio, rileva che, nel 2011, nei principali comuni della provincia di Modena (oltre al capoluogo Modena: Carpi, Vignola, Sassuolo, Mirandola, Castelfranco e Formigine) si concentrava la quasi totalità degli ipermercati, il 60% dei supermercati e non meno del 70% dei grandi supermercati attivi nella provincia; percentuali rimaste pressoché invariate nel corso dell’ultimo decennio; e degli undici punti vendita avviati nella provincia di Modena tra il 2000 e il 2011, ben quattro sono ad insegna Coop e rappresentano una superficie di vendita del 50% circa rispetto alla superficie totale degli undici punti vendita aperti in tale periodo.
A Modena il solo punto vendita avviato da un concorrente di Coop Estense è quello di Conad (attivo solo dal 2008).
A Vignola, nessun nuovo avvio riguarda supermercati di 1.500 metri quadrati o più, mentre Coop Estense trasferiva ed ampliava una propria struttura commerciale di medie dimensioni a Spilamberto, distante da Vignola circa 5 km.
A complemento dell’analisi, il provvedimento dell’AGCM osserva che nel 2001 i punti vendita attivi in comune di Modena contribuivano a circa il 56% circa del fatturato realizzato nel mercato degli ipermercati nella provincia e per il 38% circa per i supermercati.
Il fatturato dei punti vendita localizzati nel Comune di Vignola incideva per il 5% circa sul totale.
Nel corso del tempo, i dati evidenziano una leggera contrazione del peso di Modena in entrambi i mercati rilevanti a favore di altri comuni, tra cui Vignola, rimanendo comunque significativa.
Il provvedimento ha poi provveduto a dimostrare e indicare, diversamente da quanto afferma l’appello incidentale di Coop, le barriere soprattutto amministrative prima che economiche all’accesso, costituite dalla scarsa disponibilità di aree destinabili a usi commerciali, atteso che l’avvio, il trasferimento o l’ampliamento di strutture commerciali è risultato strettamente correlato alla disponibilità di aree commercialmente edificabili, in dipendenza dalle opzioni di urbanizzazione effettuate dai comuni per i loro territori.
Inoltre, sebbene la normativa commerciale e quella urbanistica siano state progressivamente variate nel corso del 1999-2010, il comune di Modena non ha previsto nuove aree urbane da destinare né a medie, né a grandi strutture di vendita alimentari in aggiunta a quelle già individuate; mentre il comune di Vignola lo ha fatto in termini molto limitati.
Il provvedimento considera come significativo che la condotta c.d. escludente mirasse proprio a ostacolare, attraverso la partecipazione a procedimenti urbanistici e a iniziative urbanistico-edilizie, la possibilità del concorrente sopravveniente di intraprendere nuove iniziative imprenditoriali di strutture commerciali nel settore di riferimento.
Il provvedimento dà anche conto delle limitazioni stabilite per la dimensione delle strutture alimentari, visto che le medie strutture non possono superare i 1.500 mq e non potendosi, nei comuni di Modena e Vignola, all’atto del provvedimento, in pratica avviare strutture commerciali alimentari di grandi dimensioni.
In questo contesto, il provvedimento (punto V.2) inquadra la posizione dominante di Coop Estense, che viene correlata ad alcuni fattori strutturali, tra cui le quote di mercato in livello e relativamente ai propri concorrenti, la presenza di barriere amministrative all’ingresso, la reputazione e la presenza storica in quel territorio della stessa Coop (nonché di comportamenti concorrenti a creare barriere strategiche di ingresso).
Quanto alle quote di mercato, il provvedimento ha accertato – e questo non è adeguatamente contrastato dall’interessata – che Coop Estense disponeva di quote di mercato elevate, sia in termini assoluti che in proporzione alla concorrenza, per di più accresciute nel corso dell’ultimo decennio in provincia di Modena.
Il vantaggio strutturale di Coop Estense è stato misurato rispetto al fatto che i principali concorrenti registrano invece, nello medesimo periodo, posizioni costanti o anzi talvolta in flessione.
In particolare, le quote di mercato di Coop Estense risultano essersi mantenute, nella provincia, a un livello significativo, attestandosi tra il 2000 e il 2011 al 60-66% negli ipermercati e al 40-47% nei supermercati.
La posizione di Coop è risultata crescente nel tempo e rimanere, nel medesimo arco temporale, superiore di ben quattro o cinque volte quella del diretto concorrente nel mercato degli ipermercati; e superiore a circa due volte nel mercato dei supermercati.
Rispetto ad Esselunga, le quote di mercato della ricorrente Coop Estense sono risultate stabilmente e significativamente maggiori (dalle quattro alle sei volte negli ipermercati; fino a sette volte nei supermercati), quando Esselunga manteneva durevolmente quote di mercato tra il 10-15% negli ipermercati e al 7% circa nei supermercati.
Il provvedimento rilevava poi la (come sopra descritta) presenza di barriere amministrative all’ingresso, in relazione causale con la scarsità di aree destinabili ad attività commerciali compatibilmente con la regolamentazione urbanistica, territoriale e commerciale tali da costituire investimenti economicamente sostenibili in quanto localizzate in bacini con domanda sufficiente, alla tempistica di rilascio delle autorizzazioni e ai vincoli connessi alle aperture per accorpamento di licenze esistenti, tali da in realtà facilitare l’espansione degli operatori già attivi nel mercato: in particolare, dell’impresa incumbent. Su queste basi, il provvedimento concludeva nel senso che tali fattori concorrono a determinare limiti evidenti alla possibilità di ingresso e di insediamento di strutture commerciali nuove, ovvero al dispiegarsi di una concorrenza potenziale nei mercati rilevanti.
Il provvedimento passava poi a descrivere il livello di radicamento territoriale e la dimensione qualitativa della reputazione di Coop in provincia, considerando che vi aderiscono più di 250.000 soci e che realizza più dei tre quarti delle vendite in ambito consortile, in regola con un generale “sistema Coop”, dall’organizzazione che vuole ciascuna delle cooperative consociate avente una sua propria diffusione territoriale cioè operante in un definito frammento del territorio nazionale; nell’ambito del quale sistema generale, Coop Estense è l’unica Coop attiva in provincia di Modena, è presente con propri punti vendita in tutti i comuni della provincia, realizza la maggior parte del suo fatturato a Modena (circa il 45% del fatturato degli ipermercati operanti nella provincia e quasi il 38% dei supermercati).
Riguardo invece al Comune di Vignola, l’atto registra che, seppure il fatturato di Coop Estense rappresenti il 5% circa di quello realizzato a livello provinciale in entrambi i mercati, nel detto comune essa è il solo operatore ad operare con una grande struttura di vendita (2.500 mq, ampliabili), con posizione di accertata asimmetria dimensionale rispetto agli altri attori della distribuzione moderna (il secondo punto vendita più grande è quello di Conad, di circa 600 mq).
Il provvedimento cita anche la significativa presenza pluridecennale e la forza del marchio Coop e la sua reputazione presso il mercato.
Quanto al resto, il provvedimento prende in considerazione altre barriere di tipo strategico, individuate nelle condotte dell’operatore incumbent e poi accertate come abusive.
L’appellante incidentale Coop Estense sostiene che non sarebbe di suo sufficiente la percentuale della sua quota nel mercato rilevante, quota che oscilla, in provincia di Modena, attorno al 40%, ovvero che la stessa quota è pari alla quota limite. Essa sostiene inoltre che, quand’anche superiore a quelle detenute dai principali concorrenti, una tale quota, considerata in valore assoluto, non raggiungerebbe una percentuale di livello tale da far desumere, da sola, la posizione di dominanza; e invoca all’uopo il paragrafo 14 della Comunicazione della Commissione europea concernente Orientamenti sulle priorità della Commissione nell'applicazione dell'articolo 82 del trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all'esclusione dei concorrenti (che sarebbe applicabile al caso di specie, perché relativa - come chiarisce il paragrafo 4 - a ipotesi come quella di specie, di imprese detentrici di posizione dominante a titolo individuale).
Ad avviso del Collegio, le censure dedotte con gli appelli incidentali sono infondate: esse non consentono di ritenere affetto da difetto di adeguata istruttoria né da vizi circa la motivazione l’atto adottato dell’Autorità in relazione alla reale posizione di dominanza del mercato di riferimento.
Infatti, nel richiamato paragrafo, la Commissione europea non afferma, come indica in sostanza Coop Estense, che quote di mercato inferiori al 40% sul mercato rilevante non consentano in assoluto di ritenere la presenza di una posizione dominante; ma, molto più limitatamente, solo afferma la possibilità che al di sotto di tale soglia i concorrenti possono essere in grado di limitare in modo effettivo il comportamento di un'impresa dominante, salvo che non si trovino ad affrontare gravi limitazioni di capacità.
Al successivo paragrafo 15, la Commissione europea precisa anche: “L'esperienza indica che, quanto maggiore è la quota di mercato e quanto più lungo il periodo di tempo per il quale è detenuta, tanto più probabile è che essa costituisca un'importante indicazione preliminare dell'esistenza di una posizione dominante …”.
Ne consegue che, per la Commissione, tra gli elementi sintomatici di posizione dominante vi è, oltre alla quota di mercato posseduta nel mercato rilevante (che è di per sé significativa anche sotto la soglia del 40% - quando in sostanza a tale quota si avvicina - se i concorrenti non sono in grado di effettivamente limitare il comportamento dell’impresa che si pretende dominante, per gravi limitazioni di capacità), anche il fattore tempo durante il quale la quota è tenuta.
Nel caso di specie, l’accertamento dell’AGCM, come sopra si è visto, ben indica le ragioni con cui la possibilità di cui sopra è stata in concreto davvero sviluppata: esso ha tenuto conto di ambedue detti parametri (percentuale e tempo in relazione al mercato e alle barriere all’ingresso, costituite da incombenti amministrativi), ovvero della quota posseduta da Coop Estense, delle quote possedute dalle sue principali concorrenti, del loro sviluppo nel tempo, anche in relazione delle caratteristiche geografiche e strutturali del mercato e delle barriere esistenti all’ingresso.
Del resto, i dati offerti da Coop sulla presenza nel mercato rilevante di operatori concorrenti titolari di quote di mercato significative (Conad 20%; Selex 6%; Esselunga 6%), con un reputazione commerciale e una presa di mercato comparabili a quelle di Coop Estense, non giungono ad evidenziare, in efficace e sintomatica contrapposizione a quanto argomentato dall’Autorità, quali concorrenti e come siano in grado di limitare in termini effettivi il comportamento di Coop Estense e far escludere pertanto la posizione dominante di quest’ultima.
L’appellante incidentale Coop Estense si riferisce a una parte del provvedimento (parr. 104-108) che farebbe riferimento alla capacità competitiva di Esselunga: comportamento cui, temendone gli effetti, essa si sarebbe legittimamente contrapposta con la condotta asseritamente abusiva.
In sostanza - risulta sostenere l’appellante incidentale - proprio il carattere di concorrente temibile che lo stesso atto attribuisce a Esselunga dimostrerebbe l’effettiva esistenza di una situazione di reale concorrenza tra imprese, e questo smentirebbe l’assunto di base della posizione dominante di Coop.
L’argomento, osserva il Collegio, non convince perché mescola un prius con un posterius: confonde causa ed effetti, giacché il comportamento effettivo di Coop Estense è, nella specie, diretto proprio a escludere in prevenzione, cioè nei termini preclusivi da quel mercato rilevante dove Coop gode di una posizione dominante, l’ingresso del concorrente potenziale Esselunga, di cui paventa la capacità competitiva,.
Il Collegio, al riguardo osserva, come già la sentenza appellata, che il provvedimento rileva evidenze attestanti che Esselunga era da Coop Estense percepita come un operatore in grado di esercitare una pressione competitiva particolarmente incisiva nei mercati rilevanti dove essa è presente; e che a una tale percezione corrispondeva effettivamente la per lei temibile vivacità competitiva attestata dai paragrafi in questione. Non si pone qui questione di giustificazione di un’azione perché compiuta a difesa degli interessi commerciali, in quanto reattiva a una previa condotta aggressiva di Esselunga: affinché una tale esimente difensiva operi deve – a parte ogni questione di necessità di difesa della propria legittima posizione e di proporzionalità - effettivamente sussistere un danno o un pericolo effettivo, certo ed attuale, di suo costituente un’operazione abusiva anticoncorrenziale, proveniente in senso opposto, e non già una mera previsione soggettiva di un pericolo futuro ed incerto (cfr. Cons. Stato, VI, 20 dicembre 2010, n. 9306).
E comunque, di fronte a una tale preoccupazione si sarebbe dovuto anzitutto porre in competizione, se del caso anche stretta, usando dell’amplissima gamma dei leciti strumenti di concorrenza incentrati sui propri meriti e il loro efficientamento; e poi rivolgendosi all’Autorità di garanzia; ma non abusando della posizione già dominante per dar corso a pratiche commerciali anticompetitive, in particolare incidendo sul dispiegarsi della libertà di ingresso del temuto competitore.
Nondimeno, anche a non prendere in considerazione la distanza tra le quote di mercato dei due operatori e la scarsa presenza territoriale di Esselunga rispetto a Coop Estense (riferisce Esselunga: 2 punti vendita Esselunga contro i 29 di Coop Estense, con una superficie complessiva di vendita pari a 4.630 mq contro 68.373 mq), va rilevato che queste evidenze si riferiscono alle sole località dove Esselunga è già presente e non confortano in alcun modo l’assunto particolare di un’asserita dipendenza di Coop Estense da Esselunga, evidentemente non ravvisabile nel fatto della mera dinamica concorrenziale.
Come infatti si è rammentato, la giurisprudenza comunitaria esclude che l’esistenza di una posizione dominante sia da riferire alla sola situazione di monopolio, o di quasi monopolio: perché essa può essere propria anche dei mercati dove pur si registra un’esplicazione di gioco concorrenziale; ed è anzi lì che si pongono le questioni marginali dell’illecito che vi si basa. Ciò che rileva come elemento di base su cui s’innesta la condotta abusiva è piuttosto il fatto della possibilità, da parte dell’impresa che vi versa, di influire, grazie alla sua superiorità e al potere di mercato che ne deriva, in modo notevole sulle modalità di esplicazione della concorrenza e dell’offerta: e di comportarsi senza doverne tenere necessariamente conto (cioè, in modo significativamente indipendentemente dal comportamento degli altri attori della scena) e subirne pregiudizio. È in un tale contesto che può maturare l’adozione di comportamenti abusivi “escludenti”, cioè intesi a ridurre o ad eliminare il grado di concorrenza esistente sul mercato dell’impresa (cfr. Cons. Stato, VI, 20 dicembre 2010, n. 9306).
Questi elementi di base sono ben compatibili con i dati contenuti nei rammentati paragrafi 104-108 del gravato provvedimento sanzionatorio, i quali indicano che nei mercati rilevanti e nei territori dove sono presenti entrambi, nonostante Esselunga sia realisticamente percepita da Coop Estense come un operatore in grado di esercitare una pressione competitiva particolarmente incisiva, i prezzi praticati da Coop Estense non sono inferiori a quelli di Esselunga, tant’è che l’ “Osservatorio prezzi praticati dai supermercati, ipermercati e discount a Modena e Piacenza”, XVII edizione, riporta che, su un paniere di 133 prodotti di grandi marche, l’insegna più conveniente nella Provincia di Modena risulta Esselunga.
Questo lascia emergere che la pressione competitiva di Esselunga, pur notevole, non era tale da influire sulla strategia dei prezzi di Coop Estense.
La posizione dominante, d’altronde, rappresenta una situazione di forza rispetto ai concorrenti tale per cui l’impresa che la detiene è in grado di poter (e qui sta il limite tra l’uso e l’abuso) ostacolare il persistere delle condizioni che sono a base di una situazione generale di effettiva concorrenza nel mercato che rileva; ed è per questa sua forza, dagli effetti economici, in grado di tenere comportamenti significativamente indipendenti da quelli dei concorrenti, dei clienti e, in ultimo, dei consumatori.
Anche in relazione alle censure dell’appellante incidentale Coop Estense sull’accertata esistenza di barriere all’ingresso del mercato rilevante in questione, non risulta che l’AGCM abbia omesso un’attività istruttoria apposita, né che ne abbia omesso la considerazione adeguata degli effetti, viste le articolate considerazioni dedicatevi nel provvedimento: ad esempio, circa le conseguenze nascenti dalla scarsità di aree disponibili a causa delle condizioni dettate dai piani urbanistici territoriali e commerciali, o la scarsa appetibilità in termini di sostenibilità economica dell’apertura di nuove attività; fattori questi che poi hanno determinato i fatti descritti nei territori di Modena e di Vignola.
Nemmeno si può ritenere, come Coop Estense, che vi sia uno sviluppo fisiologico della concorrenza riscontrabile negli stessi, generici, dati sull’andamento di nuove iniziative commerciali nel settore della grande distribuzione alimentare.
Il provvedimento sanzionatorio dell’Autorità rileva che, quanto a Modena, tra gli undici nuovi punti vendita avviati in provincia di Modena tra il 2000 e il 2011, già quattro (cioè, oltre un terzo) sono a insegna Coop, e per una superficie di vendita che arriva a ben il 50% circa rispetto alla superficie totale degli stessi; mentre, quanto a Vignola, nessun nuovo avvio riguarda supermercati di 1.500 metri quadrati o più.
In definitiva, non può essere in alcun modo seguita la tesi di Coop Estense sull’insussistenza della posizione di dominanza nel mercato rilevante: sul punto è ineccepibile e immune dalle dedotte censure l’operato dell’Autorità.
Pertanto gli appelli incidentali sono da rigettare.
3.Va ora esaminata la questione sottoposta con gli appelli dell’AGCM e di Esselunga s.p.a., con cui si mette in discussione la decisione del primo giudice, che ha ritenuto insussistente l’abuso perché il comportamento dell’impresa in posizione dominante, pur intenzionalmente diretto ad assumere carattere abusivo con “intento escludente” di Esselunga, tuttavia, nei fatti, non avrebbe davvero generato un effetto utile, a causa dell’interruzione del nesso di causalità, dato che le barriere, di ordine amministrativo, erano state determinate, invece, da cause amministrative e burocratiche non ascrivibili a Coop Estense, come emergerebbe dall’esame delle circostanze.
Insomma, una volta ritenuta la sussistenza della posizione di dominanza del mercato rilevante di Coop Estense, nell’esaminare l’ipotesi dell’eventuale abuso della posizione dominante, l’abuso stesso è stato escluso dalla sentenza per difetto di un effettivo nesso di causalità tra la condotta ipotizzata come escludente e l’evento dell’esclusione di Esselunga.
Il primo giudice ha deciso sull’assunto – contestato dagli appelli principali dell’AGCM e di Esselunga – che, per dimostrare la ricorrenza l’illecito, l’Autorità avrebbe dovuto anche dimostrare la sussistenza del nesso di causalità collegato alla condotta c.d. escludente, non ritenendo sufficiente il mero intento escludente, né la mera capacità di un tale effetto.
La sua sentenza ha quindi adottato una nozione di abuso diposizione dominante e di effetto escludente che - ai fini della configurazione della fattispecie anticoncorrenziale di abuso di posizione dominante - ritiene necessario non solo l’evento dell’esclusione dal mercato che rileva ma anche, in rapporto a quell’evento, l’accertamento dell’effettività dell’ effetto escludente. In sostanza, il nesso di causalità tra la condotta e l’effetto escludente rileverebbe perché l’effetto escludente è parte costitutiva dell’illecito.
Il primo giudice ha così aderito alla tesi per cui, per distinguere tra condotta concorrenziale lecita e abuso illecito di posizione dominante, si dovrebbe guardare alla ricorrenza dell’effetto anticompetitivo collegato causalmente alla condotta, elemento che (solo) “colora” di illecito la condotta dell’impresa in posizione dominante.
A fronte di questo assunto, i motivi di appello dell’Autorità e di Esselunga appaiono degni di positiva considerazione.
Infatti, nell’opposto assunto dell’impresa esclusa (Esselunga), esiste in capo a ogni concorrente dell’impresa in posizione dominante (Coop Estense) il diritto a non essere contrastata in senso esclusivo da atti illeciti, a ciò orientati, della dominante: il che prescinde dal fatto che una tale esclusione comporti una concreta diminuzione della concorrenza o dell’efficienza del mercato, perché si deve aver riguardo, ai fini del disvalore, alla sola condotta tenuta dall’impresa dominante. L’illecito, altrimenti detto, sarebbe di mera condotta.
Costituiscono abuso di posizione dominante i comportamenti idonei ad incidere sulla struttura di un mercato rilevante dove, per effetto della presenza della dominante, il livello della concorrenza è già debole e che consistono non solo nell’effettivamente impedire, ma anche soltanto nel tentare di impedire, con mezzi diversi da quelli dell’ordinaria e proporzionata competizione in prodotti o servizi, che permanga il livello di concorrenza ancora esistente o il suo sviluppo.
L’articolo 102 TFUE (come anche l’art. 3 l. n.287 del 1990) si limita a vietare l’abuso di posizione dominante, ma non ne fornisce la definizione.
L’elenco di condotte ivi riportate non è esaustivo e le pratiche menzionate sono solo alcuni esempi di siffatti abusi: l’elenco delle pratiche abusive contenute in tale disposizione è un numero aperto, che non esaurisce le modalità di sfruttamento abusivo di posizione dominante contrastanti con il Trattato.
Ai fini dell’art. 102 TFUE, la prova dell’oggetto e quella dell’effetto anticoncorrenziale si confondono tra loro: se si dimostra che lo scopo perseguito dal comportamento di un’impresa dominante è di restringere la concorrenza, un tale comportamento è di per sé pregiudizievole, in quanto può anche comportare tale effetto (sentenza del Tribunale Ue, del 29 marzo 2012, causa T-336/07, Telefonica; sentenza del Tribunale Ue, del 30 settembre 2003, causa T-203/01 Michelin; così sentenza del Tribunale Ue, del 17 dicembre 2003, causa T-219/99 dove si dice che «qualora un’impresa in posizione dominante ponga effettivamente in essere una pratica che produca un effetto preclusivo nei confronti dei propri concorrenti, la circostanza secondo cui il risultato voluto non sia stato raggiunto non è sufficiente ad escludere la sussistenza di un abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 102 TFUE»). L’illecito, cioè, si perfeziona con la condotta anticoncorrenziale, purché di suo idonea a turbare il suo funzionamento corretto e in esso la libertà stessa del mercato. È sufficiente a integrarlo già la mera potenzialità dell’effetto restrittivo. Ed è perciò già la correttezza del comportamento economico del concorrente che l’ordinamento intende garantire, non necessariamente la sola, oggettiva, concorrenzialità del mercato.
L’ordinamento, del resto, a protezione della concorrenza (seppur dal lato delle altre imprese piuttosto che dell’efficienza generale del mercato) già da tempo si preoccupa di assicurare la lealtà del comportamento concorrenziale in ragione dei mezzi adoperati, indipendentemente dagli effetti dannosi raggiunti, i quali non necessariamente sono frutto di condotte indebite altrui (artt. 2598 e ss. Cod. civ.; . art. 10-bis della Convenzione d’Unione di Parigi del 20 marzo 1883 e successive modificazioni; l. 4 luglio 1967, n. 676). E ora anche qui, a meno di non immaginare un incoerente arretramento di tutela rispetto a quella pur risalente normativa, si deve ritenere che non è necessario, a integrare l’illecito, attendere che la concorrenza sia stata indebitamente alterata dalla condotta anticoncorrenziale perché l’ordinamento reagisca: è sufficiente già la pericolosità, a quei fini, di quella condotta, che può comunque sfogare nel raggiungimento di quel risultato se non oggi, un domani. Tanto più che il fine generale ora perseguito contrastando le distorsioni della concorrenza è l’efficienza generale del mercato, e che in questa cornice, a fianco dell’illecito di cui in discorso (art. 3 l. n. 287 del 1990) rilevano per altri versi già strette condotte che anticipano la turbativa effettiva del mercato, come le intese restrittive della libertà di concorrenza (art. 2).
Dunque, per quanto in via statistica la più parte dei comportamenti abusivi di dominante generi effetti restrittivi della concorrenza, va sottolineato che (Corte di giustizia, del 9 aprile 2012, causa C-549/2012 P, Tomra) per accertare un abuso di posizione dominante sia sufficiente che il comportamento abusivo dell’impresa dominante miri a restringere la concorrenza, ovvero che sia tale da avere, o da poter avere, un tale effetto.
Al più, è stato ritenuto che se la prassi di un’impresa dominante non può essere qualificata abusiva se manca del tutto un minimo effetto anticoncorrenziale, tale effetto non deve comunque essere concreto e totale rispetto alle intenzioni, essendo sufficiente un effetto anticoncorrenziale potenziale (sentenza della Corte di giustizia, del 6 dicembre 2012, causa C-457/10, Astrazeneca).
A parte questo aspetto, secondo quanto emerge da questa sentenza europea (AstraZeneca), la condotta dell’impresa in posizione dominante può comunque essere ritenuta abusiva se: 1) sia inserita nell’ambito di una strategia escludente; 2) non vi siano giustificazioni oggettive; 3) vi sia un limitato grado di discrezionalità da parte della pubblica amministrazione.
Il fatto che l’obiettivo restrittivo perseguito non sia stato in realtà raggiunto non è di suo sufficiente a ritenere che dichiarazioni ingannevoli siano inidonee a produrre effetti e che non vadano perciò sanzionate (in quel caso questo mancato raggiungimento avvenne per effetto di informazioni inesatte rilevate dalle autorità; mentre qui, secondo il primo giudice, rileverebbero altre cause di ordine amministrativo, come pareri negativi di organismi o enti pubblici).
Infatti, come considerato dalla Commissione europea, se è accertata l’oggettiva idoneità di un comportamento a limitare la concorrenza, il suo carattere abusivo non può dipendere dalle successive, aleatorie reazioni dei terzi.
D’altronde (sent. Astrazeneca, cit.) il carattere abusivo di un comportamento alla luce dell’art. 102 TFUE non ha relazione con la sua conformità ad altre normative, giacché gli abusi di posizione dominante consistono, per lo più, proprio in comportamenti leciti alla luce di altri settori dell’ordinamento, diversi dal diritto alla concorrenza (così anche questa Sezione nel recente caso Pfizer: Cons. Stato, VI, 12 febbraio 2014, n. 693).
Resta piuttosto necessaria, a integrare questo illecito anticoncorrenziale, la presenza di un intento escludente, da accertare indiziariamente come un quid pluris che si aggiunge alla sommatoria di comportamenti altrimenti leciti, Non si tratta di valutare la legittimità di atti alla luce dei vari settori dell’ordinamento investiti (come, nella specie, appare essere – salvo diversa dimostrazione - riguardo a quello urbanistico-edilizio dove il corrispondente comportamento dell’impresa dagli atti presenti risulta essersi manifestato in una, di suo non antigiuridica, attività in sede di procedimento amministrativo); ma di considerare quelle condotte, pur settorialmente lecite, alla luce della loro portata anticoncorrenziale. Prospettiva in relazione alla quale certi atti, anche se legittimi da quel punto di vista settoriale, si colorano come elementi indicatori di questo sproporzionato intento anticoncorrenziale (così nel detto recente precedente n.693 del 2014). Diversamente, l’abuso di posizione dominante sarebbe pressoché inconfigurabile, grazie al semplice fatto che consiste il più delle volte in comportamenti analiticamente leciti se visti solo alla luce di settori dell’ordinamento altri da quello della concorrenza. La reciproca relatività degli ordinamenti di settore fa comprendere il fenomeno per cui ciò che è lecito dal punto di vista dell’uno ordinamento, può al contempo non esserlo dal punto di vista dell’altro.
In questa prospettiva, va considerato che la tutela della concorrenza ad opera di un’apposita autorità amministrativa indipendente - anche a mezzo dell’esercizio della potestà sanzionatoria, anch’essa finalizzata alla sua generale funzione di regolazione del settore - concerne il funzionamento corretto ed equilibrato del diritto di libertà economica. Per questa ragione essa riguarda senza esclusioni, anche a ragione delle inevitabili interazioni delle condotte individuali d’impresa, tutti i comportamenti rilevanti per praticare la restrizione della concorrenza, che considera dal solo punto di vista economico (in quanto – nel caso particolare di abuso di posizione dominante – orientati al ricorso a mezzi diversi da quelli che governano la normale competizione dei prodotti o dei servizi sulla base delle prestazioni degli operatori economici).
È perciò essenziale, per l’effettività della tutela del mercato dai comportamenti distorsivi, valutare le condotte per quello che economicamente significano, adeguandole alla utilità economica che perseguono: considerandole come stretti atti economici, in rapporto agli interessi concreti cui sono orientate. Il che postula di renderle, a questi fini, indifferenti alle qualificazioni che eventualmente ricevono altrove: e perciò di assumerle solo nella loro dimensione utilitaristica, prescindendo dalle attribuzioni formali che possono caratterizzarle alla luce di altri ordinamenti di settore. Diversamente, alcuni comportamenti potrebbero sfuggire all’operatività della tutela della concorrenza e al divieto di distorsione del mercato: ad esempio, le condotte elusive o quelle di abuso; e più ancora se ne sottrarrebbero i comportamenti tipizzati o comunque leciti sotto altri e diversi punti di vista. L’effetto di sistema che ne deriverebbe sarebbe quello di un intervento di garanzia intermittente e claudicante, a dispetto del carattere sistemico del mercato e interdipendente dei comportamenti dei suoi attori.
Coerentemente, il medesimo riguardo all’effettività dell’ordinamento di tutela della concorrenza impone anche di considerare che la posizione di impresa dominante in un mercato rilevante genera speciali doveri concorrenziali, realisticamente legati al suo particolare potere di mercato e alla conseguente particolare sensibilità del mercato rilevante alle sue operazioni anticoncorrenziali. Il cennato limite, a questo riguardo, tra uso e abuso della posizione di concorrente dominante è dunque, in ragione del principio generale di proporzionalità, da individuare in concreto, comparando questo potere economico alle distorsioni della concorrenza che la condotta di quell’impresa in quello specifico ambito è in grado di generare. Questa posizione particolare è dunque in concreto fonte, in quel mercato, di una – come è evidenziato dalla giurisprudenza europea sin da Corte giust. CE, 9 novembre 1983, n. 322/81, Michelin c. Commissione – ‘speciale responsabilità’ che incombe sull’impresa dominante, con conseguenti obblighi particolari di astenersi da comportamenti che avrebbero un effetto distorsivo proprio in quanto originati dalla dominanza (cfr., ad es., Cons. Stato,VI, 13 settembre 2012, n. 4873).
Qui il principio della ‘speciale responsabilità’ si estrinsecava nel particolare dovere di prendere atto delle previsioni urbanistiche locali e nel non interferirvi, e nel non interferire circa la disponibilità interprivata dei terreni che interessavano al riguardo, lasciandoli come possibile spazio materiale per l’insediamento di terzi ipotetici concorrenti (contro i quali poi agire competitivamente in base al corretto principio del merito). Interferirvi negativamente dal punto di vista amministrativo, ovvero sottrarle a una tale disponibilità commerciale avrebbe infatti significato tenere una condotta preventiva, volta a generare a priori una barriera all’accesso nel mercato rilevante in questione e dunque precludere in pratica una delle condizioni essenziali della concorrenza, cioè la libertà di ingresso nel mercato. Condotta che, in ragione del principio generale di proporzionalità, sarebbe stata invece ben lecita a un soggetto estraneo a quel mercato, ovvero anche a un soggetto di quel mercato ma non in posizione dominante (ovvero collegato all’impresa dominante), giacché non sarebbe stata idonea a generare l’effetto distorsivo. Ma per l’impresa in posizione dominante era interdetta, come a quanti a questi fini collegati con essa.
Sicché non può essere condivisa la tesi esposta da Coop Estense di ricondurre le sue azioni al mero ambito dei procedimenti amministrativi di tipo urbanistico ed edilizio.
Infatti, tale limitato punto di vista riduce indebitamente gli obblighi concorrenziali ai rispetti strettamente formali, li sottrae alla ricordata qualificazione come meri atti economici, li affranca quando li sovrappone all’ordinamento urbanistico: dimenticando che invece si tratta, per relatività, di una diversa qualificazione dei fatti e dei comportamenti. E così, mescolando le qualificazioni e dando prevalenza a quelle formali sulle caratteristiche materiali economiche delle condotte, elude l’esistenza dei particolari obblighi che incombono sull’impresa dominante in quanto tale e sulla speciale responsabilità che nasce dal suo potere di mercato, finendo per dare, riduttivamente, dominante rilievo alle mere qualificazioni del sistema regolatorio urbanistico-edilizio.
In realtà, quando si tratta di restringere la concorrenza, anche comportamenti commerciali comuni – che restano ben legittimi se adottati da imprese non dominanti – possono essere abusivi se adottati da un’impresa dominante (così, anche Trib. I grado Comunità europee, 30 settembre 2003, n. T-203/01, Michelin).
Non è qui questione di legittimo esercizio di attività di impresa o dell’ordinaria capacità negoziale in tema di proprietà da parte dell’impresa in posizione dominante. Qui in concreto le circostanze di fatto, per come accertate, hanno ragionevolmente dimostrato all’AGCM, per quanto emerge dall’atto impugnato, che i comportamenti contestati erano non diretti alla semplice difesa o cura di impresa, ma espressione di una articolata strategia intesa a precludere Esselunga da parte di Coop Estense.. Questi comportamenti, invero, considerato anche il loro costo, non avevano altra ragione pratica che impedire l’ingresso in quel mercato del serio concorrente potenziale Esselunga; e il loro obiettivo era di cosi restringere, o meglio mantenere ristretta, la concorrenza in quel medesimo mercato.
Nella specie, correttamente ha operato l’Autorità, nell’accertare, dopo adeguata istruttoria e dandone congrua motivazione l’esistenza dell’abuso di esclusione da infrastrutture necessarie ed essenziali per l’attività commerciale in quel mercato. Questo è stato realizzato da Coop Estense mediante un’intensa, lunga e articolata azione, espressa con un concorso di sue condotte commerciali finalizzate ad estromettere il nuovo e paventato concorrente con il costrurgli una barriera all’ingresso del mercato mediante la preclusione materiale della possibilità di realizzare, nel territorio in questione, insediamenti di strutture commerciali.
La strumentalità e la stessa emulatività dei comportamenti di Coop Estense viene in evidenza dalle circostanze fattuali: nel caso di Modena, con l’acquisto, in modo patentemente antieconomico perché squilibrato rispetto al valore e al prezzo corrente di uno dei restanti comparti di terreno dove era possibile realizzare strutture di grande distribuzione – e quando già Esselunga aveva effettuato un ingente investimento di capitali, al solo evidente fine di impedirvi l’insediamento della struttura di Esselunga, e con la successiva opposizione di Coop Estense all’approvazione del piano particolareggiato da parte del Comune: condotte dalle quali è conseguita per Esselunga l’impossibilità di realizzare l’insediamento e dunque di avere un effettivo ingresso in quel mercato.
Nella specie dal provvedimento dell’Autorità emerge che:
1) Coop Estense nel 2001 aveva acquistato ad un “prezzo esorbitante” - a dire di Esselunga, fino a cinque volte il prezzo di mercato: e su tale punto, si osserva, non sono svolte contestazioni - una porzione minoritaria del comparto (l’area dell’“ex Fallimento Rizzi”), soltanto dopo che la parte maggioritaria dello comparto stesso era entrata nella disponibilità di Esselunga tramite Edilmontanari (1999) e che la presentazione del Piano di riqualificazione del comparto medesimo era stata già autorizzata dal Comune nel corso dell’anno 2000: acquisto fatto all’esclusivo fine di incidere sulle soluzioni pianificatorie del comparto e, quindi, di rimettere in discussione le scelte edificatorie effettuate, mediante l’esercizio di un correlato potere che, per gli effetti pratici cui era orientato, risulta di sostanziale veto nei confronti delle proposte di Esselunga;
2) Coop Estense nel 2001 si era quindi opposta in via amministrativa al Piano particolareggiato, la cui presentazione era stata già autorizzata nel 2000 dal Comune a seguito di una compiuta attività istruttoria, e di aver messo poi in atto, tra il 2001 e il 2004, una condotta dilatoria e di attesa: condotta che ha impedito, mancando il necessario consenso tra i proprietari, l’adozione del Piano;
3) Coop Estense ha posto successivamente in essere un comportamento solo apparentemente volto a trovare una soluzione al conflitto originato dall’opposizione al Piano, e consistente nella proposta di uno scambio di aree con Esselunga, in realtà irrealizzabile sia economicamente che tecnicamente;
4) Coop Estense, nel 2009, aveva presentato, un proprio Piano autonomo e non caratterizzato dal pur necessario consenso tra le proprietà;
5) Coop Estense ha così a tutt’oggi determinato lo stallo del recupero del comparto, su cui però mantiene il diritto di proprietà.
Nella corretta ricostruzione dell’Autorità garante, quindi, l’acquisto dell’area da parte di Coop Estense si pone come in realtà finalizzata alla sola adozione di tale comportamento ostruzionistico: le vicende successive ne costituiscono, coerentemente, una mera applicazione..
Secondo la sentenza del Tribunale amministrativo per l’Emilia-Romagna n.2280 del 2009, richiamata a sua volta nella sentenza qui appellata, i pareri negativi di AUSL/ARPA e l’omesso completo adeguamento al parere della Commissione edilizia avrebbero interrotto il nesso di causalità dell’effetto interdittivo.
In realtà. il mutato assetto proprietario, mediante l’acquisto di Coop Estense finalizzato di fatto al veto ha costituito e costituiva, di per sé, una sufficiente causa efficiente idonea ad impedire una normale attività imprenditoriale del potenziale concorrente mediante l’insediamento di una nuova struttura nell’area del mercato rilevante.
La circostanza che Coop Estense, subentrata al Fallimento Rizzi, avesse presentato opposizione all’approvazione del Piano già proposto e in fase avanzata, frutto di volontà di una sola delle parti private proprietarie – comportamento, come detto, legittimo e lecito dal punto di vista amministrativo e proprietario ma dal presente punto di vista censurabile per un’impresa dominante - emerge chiaramente dalla stessa sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Emilia Romagna su menzionata.
Come osserva il gravato provvedimento dell’Autorità, le altre ragioni della mancata approvazione del Piano si riferivano in realtà ad aspetti secondari, in sé facilmente superabili mediante l’adeguamento alle concrete indicazioni amministrative; non erano cioè invalicabili, come invece è invalicabile il sostanziale veto da mancato necessario consenso al Piano. L’appellante AGCM rileva che tali aspetti sono stati “sbrigativamente”, dalla sentenza del Tribunale amministrativo di Bologna, liquidati invece come decisive cause negative: quando in realtà decisivo davvero era solo il mancato accordo tra le proprietà. Come osserva il provvedimento dell’Autorità, alla fine il consenso degli aventi diritto sul terreno era la vera “unica condizione necessaria e sufficiente per la definizione del Piano stesso e obbligatoria per la sua autorizzazione”.
L’allarme generato dal paventato ingresso di Esselunga – al quale il corretto imprenditore in posizione dominante pur avrebbe potuto reagire con metodi leciti secondo le regole di mercato - è stato ammesso in audizione da Coop Estense, che a mezzo dei suoi rappresentanti ha dichiarato che la realizzazione di un punto di vendita di Esselunga avrebbe posto quest’ultima “in diretta concorrenza con il punto di vendita di Coop Estense e ne avrebbe determinato la chiusura” (doc.2.80 fascicolo istruttorio AGCM, richiamato dall’appellante Esselunga s.p.a.).
In relazione poi alla vicenda di Vignola, Coop Estense è intervenuta strumentalmente e all’evidenza, al solo fine di ostacolare il potenziale concorrente Esselunga. Così ha fatto rispetto al procedimento di approvazione, da parte del comune di Vignola, di un accordo ai sensi dell’allora art. 18 (Semplificazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica) della legge regionale dell’Emilia-Romagna 24 marzo 2000, n. 20 (Disciplina generale sulla tutela e l'uso del territorio): accordo in base al quale quel comune avrebbe introdotto una variante al P.R.G., per consentire l’edificabilità di un’area già da tempo a disposizione di Esselunga (di converso Esselunga avrebbe finanziato un’opera di interesse pubblico).
Il provvedimento dell’Autorità, al riguardo, illustra come Esselunga, nella impossibilità di dar seguito alla costruzione del punto di vendita a Modena a causa dello stallo determinato dalla opposizione di Coop Estense al progetto, si interessava di un’area nel vicino territorio di Vignola, di proprietà della società Vignola Due, compresa in un comparto da sottoporre a interventi di urbanizzazione, riqualificazione e recupero del tessuto urbano: area che offriva una nuova opportunità di insediamento commerciale prima non esistente.
Tale area della superficie complessiva di 22.000 mq viene riconosciuta, dal provvedimento dell’AGCM, idonea in particolare alla realizzazione di una grande struttura di vendita, cioè con superficie superiore ai 2.500 mq, che si sarebbe posta in diretta concorrenza con il solo altro punto di vendita di grandi dimensioni attivo nel territorio di quel comune, di proprietà di Coop.
L’8 aprile 2005, il comune di Vignola avrebbe dovuto autorizzare l’accordo ai sensi dell’articolo 18 l.r.n. 20 del 2000 su domanda di Vignola Due, il che avrebbe consentito l’edificabilità dell’area e la realizzazione di un punto vendita, anche di grandi dimensioni, per Esselunga.
Il 7 aprile 2005, cioè appena un giorno prima dell’effettiva attesa approvazione comunale del progetto di Esselunga, Coop Estense espresse al comune il proprio interesse ad avvalersi di una soluzione analoga a quella proposta da Esselunga.
Una tale manifestazione induceva il comune a sospendere e a rinviare(in pratica, sine die) ogni decisione di merito in ordine alla avanzata proposta di Esselunga, al fine di valutare proposte urbanistiche alternative.
Questa sospensione, come bene ha rilevato l’AGCM, ha nei fatti determinato un pratico arresto procedimentale. In base alle norme di legge regionale allora vigenti, il Comune avrebbe potuto direttamente adottare una variante al P.R.G., ma con procedura semplificata fino all’11 aprile 2005: ma non più poi, per effetto della normativa sopravvenuta.
Questa sospensione ha avuto nella realtà delle cose una valenza definitiva, per la sopravvenuta impossibilità di deliberare la variante entro l’11 aprile 2005, data questa che la legge regionale poneva come ultima per l’adozione diretta da parte comunale di varianti al PRG, dunque per la concreta possibilità – per quel che qui interessa - di rendere effettivamente edificabili aree sulla base di decisioni proprie. Dopo un tale data, la reperibilità di una nuova area da rendere edificabile ai fini commerciali o altro avrebbe dovuto attendere i lunghi tempi della definizione di una nuova disciplina di pianificazione provinciale e comunale (POIC e PSC), ossia intraprendere una procedura più lunga, complessa e differita nel tempo, incerta – come poi è stato - su se e sul quando.
Correttamente il provvedimento sanzionatorio qui al vaglio ha ravvisato in questi comportamenti la fattispecie dell’intento abusivo a finalità escludente: la tempistica dei fatti, per quanto legittima dal punto di vista dell’ordinamento del settore urbanistico, dal punto di vista dell’ordinamento della tutela della concorrenza si rivela inequivocabilmente, in ragione di quanto sopra rammentato, come una condotta della dominante il mercato orientata a una sua indebita utilità economica, consistente nella preclusione dell’ingresso, surrettiziamente realizzato mediante la descritta ‘distrazione’ dell’azione amministrativa, del nuovo paventato concorrente.
È dunque – proprio in applicazione del principio generale di proporzionalità - coerente e lineare rapportare con l’atto impugnato siffatta condotta alla figura dell’abuso di posizione dominante. Abuso è qui infatti l’esercizio di un potere che, per quanto possa apparire conforme al suo contenuto dal punto di vista urbanistico o proprietario, è in realtà – cioè economicamente - funzionale al conseguimento di un’utilità inaccettabile dal punto di vista della finalità generale di esclusione dei comportamenti discorsivi del mercato.
Tanto è sufficiente a concretare l’illecito in parola, anche considerando che è, per quanto sopra esposto, da considerare come illecito di mera condotta. Non è dunque necessario procedere all’indagine - su cui invece si è soffermato con conclusioni non condivisibili il primo giudice - della sussistenza del nesso di causalità rispetto all’effetto di esclusione di Esselunga da quel mercato rilevante.
Solo ad abundantiam il Collegio comunque specifica, in ordine a quel nesso di causalità, che per la vicenda di Modena non rilevano le circostanze del mancato adeguamento da parte di Esselunga ai pareri negativi degli uffici sanitari o a quanto prescritto dalla commissione edilizia, essendo già adeguatamente sufficienti a realizzare l’arresto pratico del procedimento i descritti interventi frapposti dalla dominante: il che renderebbe di suo apprezzabile la sussistenza del nesso eziologico. Invero, alla luce del criterio della causalità adeguata (o anche della penalistica causalità alternativa ipotetica), gli ostacoli frapposti da parte di Coop Estense erano da soli, come detto, in grado di generare la pratica barriera all’insediamento di nuove strutture commerciali di Esselunga e dunque al suo ingresso, anche a prescindere dalla esistenza di altri ostacoli: ostacoli peraltro nel tempo superabili adeguandosi senza particolari difficoltà alle prescrizioni istruttorie ostative. Anche se Esselunga s.p.a. li avesse superati conformandosi ai rilievi sanitari ed edilizi (di Arpa, ASL, commissione edilizia), l’intervento di Coop avrebbe in ogni caso impedito – a causa della mancanza dell’assenso di parte della proprietà e cioè di tutti i titolari dei vari comparti interessati – la possibilità dell’insediamento commerciale di Esselunga.
Per la vicenda di Vignola, come emerge chiaramente dalla descrizione analitica dei fatti di die in diem, l’intervento in limine (l’ultimo giorno utile prima dell’ormai matura decisione di approvazione del piano e immediatamente prima della entrata in vigore di norme di settore urbanistico ben più gravose) di Coop Estense ha dunque avuto in modo inequivoco un’efficienza causale nella interruzione del procedimento e, quel che qui conta, nel generare dunque, sub specie economica, l’ostacolo essenziale all’insediamento della concorrente. A nulla qui rileva, per quanto ampiamente detto, che relativamente all’ordinamento urbanistico o alla condizione proprietaria l’intervento stesso potesse qualificarsi legittimo e lecito.
4.La Coop Estense ripropone poi ai sensi dell’art. 101 Cod. proc. amm. i motivi quarto, quinto e sesto del ricorso di primo grado, ritenuti assorbiti dalla sentenza impugnata.
Con il primo di questi motivi (quarto del ricorso originario), essa sostiene che sarebbero state valutate condotte che riguardano vicende di tempi diversi, a notevole distanza l’una dall’altra, e con il coinvolgimento di amministrazioni diverse, senza connessione tra loro. Essa sostiene altresì l‘intervenuta prescrizione rispetto a fatti molto risalenti rispetto alla contestazione iniziale dell’Autorità, invocando il concetto di illecito istantaneo ad effetti permanenti, differente da quello dell’illecito permanente.
Il Collegio qui ritiene che, sulla base di quanto considerato circa la censurabilità e l’abusività dell’azione escludente, siano da respingere i motivi riproposti che sostengono il difetto di un collegamento tra le vicende amministrative del comune di Modena e del comune di Vignola, oltre che la prescrizione per il tardivo inizio del procedimento rispetto alla contestata violazione (art. 14 – e 28 - l. 24 novembre 1981, n.689).
Ciò che rileva, infatti, e proprio in ragione della qualificazione strettamente economica di cui si è ampiamente detto, non è che qui si sia trattato di due vicende procedimentali amministrative o contrattuali diverse, sviluppate in diversi tratti di tempo, senza reciproca connessione su quel piano. Rileva invece la riferibilità delle stesse a una medesima e unitaria strategia economica della dominante Coop Estense, intesa a escludere in modo abusivo Esselunga, articolata – in quell’unitario mercato rilevante – in ragione delle diverse autorità amministrative di interlocuzione e dei diversi tentativi di ingresso della stessa Esselunga, e la loro perduranza fino all’anno 2009 se non oltre, come emerge dagli atti.
Infatti, l’AGCM ha avuto cura di accertare e dimostrare che gli interventi contrattuali e amministrativi nei due diversi contesti, a Modena e a Vignola, esplicavano una medesima strategia della impresa dominante, che grazie a un acquisto di un comparto all’interno dell’area “ex Consorzio Agrario di Modena”, si opponeva, in modo strumentale, a un piano particolareggiato di iniziativa privata (con beneficiario Esselunga) concernente la qualificazione e l’urbanizzazione della sola area a Modena nord dove, secondo i piani urbanistici vigenti all’epoca, sarebbe potuta sorgere una struttura commerciale di una certa grandezza. Nella specie, l’area era nella disponibilità di Esselunga ben prima dell’acquisto da parte di Coop Estense di uno degli altri due restanti comparti all’interno dell’area “ex Consorzio Agrario” (ossia, la c.d. area “ex Fallimento Rizzi”).
Risulta chiaro, quindi, che l’appellante incidentale Coop Estense ha acquistato l’area “ex Fallimento Rizzi” e si è opposta alla approvazione del piano particolareggiato al fine precipuo – come del resto in sostanza ammesso in sede di sua audizione - di impedire l’insediamento del concorrente Esselunga, in disparte altri motivi eventualmente impeditivi.
Nel caso di Vignola, Coop Estense è strumentalmente intervenuta nel procedimento di approvazione comunale di un accordo ai sensi dell’art. 18 della rammentata l.r. n. 20 del 2000, in base al quale il comune avrebbe variato il P.R.G. in modo da consentire l’edificabilità di un’area che era già a disposizione di Esselunga, e quest’ultima avrebbe finanziato un’opera di interesse pubblico.
In tale circostanza, soltanto in limine, il giorno prima della approvazione comunale del progetto di Esselunga, Coop Estense esprimeva la propria offerta per beneficiare di una soluzione analoga, con evidenti intenti ostruzionistici.
E’ evidente quindi l’abuso della posizione, essendo stato proprio tale intervento a causare nei fatti la sospensione e il rinvio di ogni decisione amministrativa in merito al progetto Esselunga, per valutare soluzioni alternative.
La sospensione assumeva poi, come prevedibile, carattere definitivo. Si è già osservato come allora il comune di Vignola, alla luce della normativa vigente al tempo, avrebbe potuto direttamente adottare una variante al P.R.G. soltanto fino all’11 aprile 2005; successivamente, la procedura, mutata la sua regolazione normativa, avrebbe assunto complessità diverse.
Pertanto appaiono prive di fondamento le censure di illegittimità dell’operato dell’AGCM, perché non spiegherebbe la connessione temporale e geografica tra fattispecie diverse. In realtà tali comportamenti, visti sub specie di atti economici, sono abusivi perché sono frutto di una medesima strategia articolata per quanto nel tempo e nelle spazio, intesa a comunque escludere in quel mercato l’insediamento del potenziale concorrente.
In ordine al tempo, questi atti esprimono un’unitaria serie di comportamenti che compone un’unica strategia: così, come emerge dagli atti, Coop Estense si opponeva nell’anno 2001 in via amministrativa all’intervento già autorizzato dal Comune di Modena; poi, fino all’anno 2004, assumeva una condotta dilatoria; successivamente adottava una tattica dilatoria consistente in una proposta di scambio di aree tra le parti che in realtà non era realizzabile; nel 2009 presentava autonomamente un piano non caratterizzato dal necessario consenso tra le proprietà e dal rispetto dei diritti edificatori, determinando quindi un definitivo stallo per quel comparto.
La logica che caratterizza il comportamento di Coop Estense in comune di Vignola consente di concludere nel senso della riconducibilità anche dell’intervento amministrativo, datato 7 aprile 2005, alla medesima strategia escludente, iniziata già con la vicenda di Modena.
Appare pertanto evidente che la gestione ordinata ad un unico fine di vari atti e comportamenti nel tempo – a mezzo di atti ben legittimi sotto diverso il profilo proprietario, urbanistico ed edilizio: ma evidentemente illeciti dal punto di vista della speciale responsabilità incombente sull’imprenditore dominante – realizzati nei rispettivi procedimenti amministrativi di Modena e di Vignola, ha consentito a Coop Estense di dirigere in modo abusivo l’azione verso l’obiettivo restrittivo della concorrenza: impedire a Esselunga l’apertura di significativi punti di vendita in provincia di Modena.
5.Con il secondo dei motivi riproposti (il quinto del ricorso originario) da Coop Estense, si deduce che sia la diffida che la sanzione sarebbero affetti da illegittimità gravi, per essere la diffida sproporzionata e irragionevole. E si sostiene l’inammissibilità di diffide a natura “conformativa e dirigistica” che limitano la libertà di comportamento dell’attività di impresa. E si deduce poi la sproporzionalità e l’irragionevolezza della misura sanzionatoria adottata, in relazione alla riduzione della sanzione e comunque l‘insussistenza di un potere reale di condizionare le scelte dell’amministrazione pubblica.
Ad avviso del Collegio, anche tale motivo è da rigettarsi perché infondato.
Anzitutto, alla luce di quanto rilevato, appare logico e ragionevole, dal punto di vista dell’AGCM, che i rammentati comportamenti con le loro conseguenze per le dinamiche concorrenziali, siano da stimarsi come gravi, in proporzione all’alterazione delle dinamiche di mercato e ai loro effetti sulla concorrenza e sui consumatori.
In secondo luogo, una tale alterazione, una volta rilevata, va de futuro bonificata: e, in ragione della ricordata finalizzazione dell’esercizio della potestà sanzionatoria alla funzione di regolazione del settore, la sanzione stessa appare orientata a ripristinare il funzionamento corretto del mercato, mirando a imporre opposti e attivi comportamenti (obblighi di facere), diversi dalla mera desistenza delle condotte anticoncorrenziali (non facere) (cfr. tra tante Cons. Stato, VI, 2 marzo 2004, n.926).
Così dunque, come si è rammentato in narrativa, l’atto impugnato dell’AGCM ha stabilito che Coop Estense dovesse porre fine agli effetti dell’infrazione e astenersi in futuro da comportamenti analoghi; e altresì astenersi dall’esercitare il veto sulle scelte pianificatorie dell’area “ex Consorzio agrario” in Modena, promuovendo un processo di collaborazione tale da condurre, entro sei mesi, alla formulazione di un Piano condiviso tale da consentire il recupero e la riqualificazione urbana del comparto e dunque l’avvio di attività commerciali del concorrente, al contempo fornendo informativa all’AGCM di tali attività.
Va qui rilevata la legittimità di siffatte previsioni, proprio perché intese a ripristinare la situazione concorrenziale indebitamente ristretta. A questo scopo concretamente regolatorio di un mercato rilevante turbato dalla condotta anticoncorrenziale, in presenza di fatti storici già compiuti e di illeciti che hanno i loro effetti ancora in oggettivo atto, l’Autorità può invero adottare ordini alla luce del principio del c.d. effetto utile, e in ragione del principio di proporzionalità.
È dato perciò imporre alle imprese misure dettagliate, sia comportamentali che strutturali, dirette ad eliminare nell’immediato futuro gli effetti delle intercorse infrazioni, rispettando i caratteri proporzionalistici dell’idoneità, cioè del rapporto tra mezzo e obiettivo, della necessarietà e cioè dell’assenza di altri mezzi idonei, ma tali da incidere in misura minore sulla condizione della singola impresa, dell’adeguatezza e cioè della tollerabile restrizione degli interessi dell’impresa privata in una prospettiva di valutazione comparativa.
L'atto di diffida dell’art. 15 l. n. 287 del 1990 va così inteso, riguardo alla sua funzione inibitoria (anch’essa funzionale alla reintegrazione delle condizioni di concorrenza) e ripristinatoria, alla luce del c.d. principio dell'effetto utile. Ne viene che la sua funzione è di ottenere che, nello specifico mercato rilevante negativamente inciso e ristretto da un illecito anticoncorrenziale, siano ripristinate condizioni simili o quanto meno analoghe a quelle che vi si sarebbero potute riscontrare in assenza d’infrazione (tra tante, Cons. Stato, VI, 6 novembre 2006 n. 6522).
Così, la finalità della diffida dell'AGCM dell'art. 15 l. n. 287 del 1990 non è solo di eliminare i comportamenti oggetto dell'intesa illecita, ma anche di rimuovere, se possibile, le conseguenze anticoncorrenziali dell'intesa e di intimare alle imprese di astenersi dal porre in essere analoghi comportamenti per il futuro.
Se non è possibile eliminare l’illecito di cui qui si tratta perché oramai esso si è verificato, va ripristinata la situazione incisa, secondo la teoria della differenza: analogamente a quanto avviene in tema di tutela risarcitoria per equivalente, nel senso che per il risarcimento deve aversi riguardo a quale sarebbe stato il patrimonio del danneggiato in assenza del fatto illecito. Così in caso di illecito anticoncorrenziale la diffida va considerata secondo il c.d. principio dell’effetto utile, avendo la funzione di ottenere che nel mercato inciso siano ripristinate in forma il più possibile (quam maxime) specifica condizioni simili a quelle che si sarebbero verificate in assenza dell’infrazione (così tra varie, Cons. Stato, VI, 6 novembre 2006, n.6522).
Nella specie, l’AGCM, accertata un’unica grave e continuata strategia escludente di Coop Estense, in violazione della normativa a tutela della concorrenza e del mercato, in legittima applicazione dei richiamati principi ha disposto che la stessa “ponga fine agli effetti della infrazione contestata e si astenga in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto della infrazione accertata”. L’Autorità non si è limitata a questo ma, nel rispetto dei richiamati principi, ha ordinato a Coop Estense di rendersi promotrice di “un processo di collaborazione che conduca, entro e non oltre sei mesi dalla notifica del presente provvedimento, alla formulazione di un Piano condiviso che consenta il recupero e la riqualificazione urbana del comparto e, conseguentemente, l’avvio di attività commerciali da parte del concorrente”.
Non ostano a una tale misura di portata interdittiva le sopravvenute decisioni del comune di Modena circa le variazioni dello strumento urbanistico, che concernono il comportamento di quell’amministrazione pubblica, ma non la prospettiva della possibile interferenza dall’esterno da parte dell’interessata.
6.Con altro motivo riproposto (il sesto del ricorso originario) Coop Estense deduce l’illegittimità della sanzione pecuniaria per l’erronea qualificazione dell’illecito in termini di gravità (non essendosi verificati nei fatti svantaggi per i consumatori, in presenza di prezzi più convenienti per l’Emilia-Romagna nel 2010), per erronea determinazione della durata dell’illecito stesso (perché la condotta si è al massimo concretizzata e consumata nel 2001 per Modena e per il 2005 per Vignola e non già continuativamente dal 2001 al 2009).
Per quanto detto, sono da rigettarsi le censure riproposte, relative all’asserita qualificazione dell’illecito in termini di gravità del comportamento complessivo di Coop Estense, essendo evidenti i potenziali svantaggi per i consumatori e dovendo l’AGCM tener conto sia della durata che della stessa gravità dell’infrazione, in termini di effetti negativi sui consumatori e sui concorrenti.
Quanto detto sulla riconducibilità dei fatti di Modena e di Vignola a una unica strategia dispiegatasi in quasi un decennio, non consente una valutazione positiva dei rilievi sull’asserita minor durata dell’illecito anticoncorrenziale.
7.Allo stesso modo, pare priva di fondamento la censura riproposta da Coop Estense, che lamenta l’erroneità del periodo considerato, essendo evidente che la durata dell’illecito, consistente in una lunga e articolata strategia abusiva escludente, è perdurata nel tempo e negli anni, essendosi concretizzata, come ammette la stessa Coop Estense, almeno dal 2001 per Modena e nell’anno 2005 per Vignola; e si è anche sviluppata nel tempo dal 2001 al 2009, e le conseguenze pregiudizievoli sono tuttora permanenti, come dimostra, di recente, quanto emerge dalla memoria di Esselunga dell’8 marzo 2014, agli atti, cioè l’offerta di Coop Estense di acquistare proprietà altrui o cedere (al prezzo originario di acquisto affermato adeguato all’attualità, in effetti quintuplicato) la propria in Modena (documento n. 24 contenente offerta del 9 settembre 2013 di Coop Estense e documento n.25 con risposta di Esselunga del 18 settembre 2013, entrambi tra gli atti depositati da Esselunga il 4 marzo 2014).
Pertanto, appare immune da censure il calcolo della durata dell’illecito, computabile per almeno otto anni di durata (se non oltre).
Allo stesso modo, si ribadisce, anche all’evidenza dei fatti testé menzionati, l’infondatezza palese del motivo con cui Coop Estense sostiene la prescrizione, o la tardività, delle contestazioni mossele rispetto alle condotte, perché tenute nell’anno 2001 e al massimo nell’anno 2005 (Vignola).
Infatti, appare evidente che, come detto, una prima serie di atti è stata tenuta negli anni dal 2000-2001 al 2004, mediante opposizioni al piano proposto dal concorrente e fino alla delibera del comune di Modena del 2004; successivamente, e fino all’anno 2009, cioè alla data di presentazione di un piano autonomo; tali condotte continuano e di certo, allo stato, l’illecito anticoncorrenziale non pare eliminato.
8.Riguardo alla quantificazione della sanzione, Coop Estense assume l’erroneità del calcolo, in quanto lo 0,14% di 583,1 milioni di euro non corrisponderebbe a 0,883, ma a 0,816 milioni di euro.
L’assunto, che riguarda il mero errore materiale del calcolo matematico, è in pratica influente solo perché, si verteva inizialmente di una sanzione di euro 6,66 milioni di euro che avrebbe invece dovuto comportare una sanzione di euro 6,528 milioni di euro; ed essendosi poi determinata, sulla base del calcolo precedente, una riduzione del 30% della sanzione stessa stabilita in 6,66 milioni di euro (con riduzione pari a 1,98 milioni di euro) in ragione della previsione di una diffida di carattere ripristinatorio.
La riduzione della sanzione successivamente intervenuta rende i rilievi sollevati da Coop Estense a loro volta bisognosi del necessaria rettifica di calcolo.
Il Collegio osserva che, effettivamente, dal calcolo emerge che lo 0,14% di 581, 1 milioni di euro corrisponde a 0,816 milioni di euro e non già a 0,883 milioni di euro: Sicché si verte di uno stretto errore materiale di calcolo, ben riconoscibile in quanto tale, che deve dall’AGCM necessariamente essere rivisto circa operazioni aritmetiche di determinazione sia della sanzione che della successiva riduzione quantitativa.
Non si pone invece fondatamente la diversa questione della riduzione della sanzione per vizio sostanziale di sproporzione tra il comportamento illecito accertato e la sanzione concretamente irrogata.
Vero è che il giudice amministrativo ha un siffatto potere, grazie al rinvio di cui all’art. 31 (Sanzioni) l. n. 287 del 1990 (a norma del quale si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del capo I, sezioni I e II, della l. 24 novembre 1981, n. 689), in riferimento all’art. 6, comma 12, d.lgs. 1 settembre 2001, n. 150 (che sostituisce l’art. 22, undicesimo comma, l. n. 689 del 1981); e comunque grazie all’art. 134, comma 1, lett. c) Cod. proc. amm. (cfr. ad es. Cons. Stato, VI, 9 febbraio 2011, n. 896; 13 maggio 2011, n. 2921; 27 febbraio 2012, n. 1092) . Nondimeno il Collegio rileva che qui non ne sussistono i presupposti concreti, non essendo stata in realtà dimostrata una reale sproporzione tra i due termini: anzi, quanto sopra rilevato dimostra il contrario e la censura riproposta da Coop Estense - che invoca il potere di riduzione del giudice amministrativo della sanzione pecuniaria che ritene “iniqua e sproporzionata” per le esposte ragioni di gravità e di lunga durata dell’illecito - è da rigettarsi come infondata anche sotto tale profilo.
Si deve dunque ritenere pienamente legittimo il provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato n.23639 assunto nell’adunanza del 6 giugno 2012, pubblicato e notificato il 28 giugno 2012, relativo alla conclusione del procedimento A/437, avviato nei confronti di Coop Estense il 23 febbraio 2011 ai sensi dell’art. 14 della legge n.287 del 1990.
9. Sulla base delle esposte considerazioni, previa riunione dei giudizi, vanno respinti gli appelli incidentali; vanno accolti gli appelli principali e, in riforma dell’appellata sentenza, va respinto il ricorso originario proposto da Coop Estense nei confronti del provvedimento adottato dall’AGCM.
La condanna alle spese del doppio grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione, respinge gli appelli incidentali; accoglie gli appelli principali; in conseguenza, in riforma dell’appellata sentenza, respinge il ricorso originario.
Condanna Coop Estense al pagamento del doppio grado delle spese di giudizio, liquidandole in complessivi euro ventimila, di cui diecimila euro in favore dell’AGCM e diecimila euro in favore di Esselunga s.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Carlo Mosca, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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