CENTRO COMMERCIALE nella sentenza del Consiglio di Stato 20/1/14
Consiglio di Stato, Sezione IV, 20 gennaio 2014 n. 451
FATTO
Con tre distinti ricorsi di primo grado, la società Camporosso, titolare di una “grande struttura di vendita” sita nel Comune di Villacidro, Currelli Liliana e Mocci Maria Pina, titolari di esercizi commerciali siti nella medesima zona, hanno impugnato la concessione edilizia rilasciata il 20 febbraio 2008 alla SO.C.IM. dal Comune, nonché le due autorizzazioni amministrative prot. n. 5458 e 5459 del 19 marzo 2008, per l’apertura di due medie strutture di vendita, alimentare e non alimentare, della superficie complessiva , rispettivamente, di mq 1.730 e di mq. 610 nonché, con motivi aggiunti, le autorizzazioni commerciali rilasciate in favore di Superemme, nel frattempo succeduta alla SO.C.IM., ed il Piano attuativo del comparto G20.
Secondo le ricorrenti, gli atti sarebbero illegittimi perché emessi in violazione del piano di attuazione del comparto G20 del piano regolatore del Comune di Villacidro, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 63 del 20 novembre 2007,in quanto, in luogo delle due medie strutture commerciali, le autorizzazioni rilasciate riguarderebbero un’unica struttura, realizzata su un unico lotto di proprietà del medesimo soggetto, in base ad un unico progetto edilizio, con elementi strutturali comuni, tali da configurare i collegamenti materiali e funzionali che caratterizzano il centro commerciale. Sarebbe, pertanto, stata violata la procedura richiesta dall’art. 4, comma 5, l.r. della Regione Sardegna n. 5/2006, che prescrive per l’apertura delle grandi strutture di vendita il previo parere favorevole della conferenza di servizi, con la partecipazione dei rappresentanti della Regione, della Provincia e del Comune.
Ne conseguirebbero violati anche i parametri urbanistici di viabilità e di standard per i parcheggi, da rapportarsi ad un centro commerciale e non a strutture medie di vendita nonché la disciplina in materia di autorizzazione commerciale.
Il TAR, respinte le eccezioni di rito, con le sentenze n. 111/2010, n.112/2010 e n. 113/2010 in data 1 febbraio 2010, ha in parte accolto i ricorsi, annullando le autorizzazioni commerciali sulla base della unicità della struttura commerciale autorizzata, avvalorata dall’unicità della concessione edilizia, rilasciata in base a progetto unitario di un unico progettista e degli impianti di servizio comuni, quali il gruppo elettrogeno unico .Tanto non sarebbe smentito neanche dal subentro nell’autorizzazione commerciale di una delle due strutture della società DIS, data l’imputabilità ad un unico centro decisionale delle due imprese, che realizzano una medesima politica commerciale.
Ha invece respinto le impugnative tanto del piano attuativo del comparto G20 quanto della concessione edilizia, rilevando che l’illegittimità investirebbe non i profili urbanistici, ma quelli commerciali del procedimento autorizzativo.
Con distinti appelli, rubricati al R.G. con i numeri 2187/2010, 2188/2010 e 2189/2010, la Superemme e la DIS hanno impugnato le sentenze di primo grado, affidando il gravame ai seguenti motivi:
- violazione dell’art. 101 c.p.c., per non avere il TAR disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei proprietari di tutte le aree coinvolte dal piano attuativo del comparto G20;
- violazione dell’art. 3, comma 5 L.R. n. 5/2006, data l’assenza dei presupposti di configurabilità di un centro commerciale, non essendo le due strutture gestite con una politica commerciale unitaria e non presentando elementi di collegamento funzionale che assicurino servizi comuni e gestione unitaria;
- violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ed ultrapetizione, per avere il TAR riconosciuto la sussistenza della politica commerciale comune pur in assenza del corrispondente motivo di ricorso, che si basava solo sull’asserito collegamento materiale tra le strutture;
- violazione dell’art. 3, comma 5 e dell’art. 9, comma 2 l.r. n.5/2006, sotto il profilo della tardività dell’impugnazione del piano e della concessione edilizia, da considerarsi immediatamente lesivi dell’interesse della ricorrente in quanto prevedenti la realizzazione di due strutture medie di vendita nell’ambito di un medesimo progetto edilizio;
- violazione della l.r. n. 5/2006, per non essere le due strutture di vendita dotate di collegamento funzionale;
- contraddittorietà manifesta.
Si sono costituite in resistenza le appellate che hanno altresì proposto appello incidentale relativamente al capo delle sentenze reiettivo della domanda di annullamento della concessione edilizia per violazione dell’art. 1, comma 7 della l.r. n.5/2005 e degli articoli 3-6 della l.r. n. 5/2006 nonché della D.G.R. n. 55/108 del 29.12.2000, per essere stata autorizzata la realizzazione di un centro commerciale sotto le spoglie di due strutture medie di vendita.
Con ordinanze n. 1545/2010, n. 1546/2010 e n. 1547/2010, è stata sospesa l’esecuzione delle impugnate sentenze.
All’udienza del 5 novembre 2013, in vista della quale le parti hanno depositato ampie memorie difensive, gli appelli sono stati posti in decisione.
DIRITTO
1. Va, preliminarmente, disposta la riunione degli appelli, per evidente connessione oggettiva.
Va, poi, respinto il motivo con cui le appellanti lamentano la violazione del contraddittorio, per non avere provveduto il TAR ad integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i proprietari di aree interessate dal Piano attuativo del comparto G20, in quanto controinteressati all’impugnazione del piano.
E’ appena il caso, in argomento, di richiamare l’art. 49, comma 2 c.p.a., che esclude la necessità di integrazione del contraddittorio nei casi in cui il ricorso sia palesemente infondato.
Nella specie, il TAR ha dichiarato l’infondatezza dell’impugnazione del Piano, così esimendo il ricorrente dall’onere di integrare il contraddittorio. Peraltro, le ricorrenti in primo grado non hanno gravato d’appello la reiezione dell’impugnazione del Piano, con la conseguenza che le sentenze, relativamente a tale statuizione, sono passate in giudicato e che, pertanto, non vi sono ragioni per affermare la lesione del contraddittorio.
2. Nel merito, il secondo, il quinto ed il sesto motivo degli appelli principali, da esaminarsi congiuntamente in quanto interconnessi, sono fondati.
2.1.Con essi le appellanti deducono l’erroneità della configurazione da parte del TAR delle strutture di vendita come centro commerciale , dal momento che mancherebbero entrambi gli elementi indicati dalla legge regionale n. 5/2006 come qualificanti della fattispecie , consistenti nella promozione e gestione della grande struttura di vendita secondo una politica commerciale unitaria e nel collegamento materiale e funzionale tra le strutture.
Sotto il primo profilo, erroneamente il Tar avrebbe fatto discendere la gestione unitaria della politica commerciale dall’appartenenza delle due società (Superemme e Dis) al medesimo gruppo societario, in contrasto con il principio di libera iniziativa economica privata e prescindendo dalla logica considerazione che l’osservanza di una politica commerciale comune potrebbe essere accertata solo dopo l’avvio dell’attività commerciale delle strutture di vendita.
Erroneo sarebbe anche l’assunto fatto proprio dal TAR, per cui il collegamento materiale tra le strutture sarebbe da ravvisare nell’unicità della struttura , realizzata in base ad un’unica concessione edilizia e ad un progetto unitario, con impianti di servizio comuni.
Invero, l’appartenenza materiale ad un medesimo edificio non sarebbe di per sé significativa in mancanza del collegamento funzionale, che caratterizza il centro commerciale. Peraltro, pur insistendo nel medesimo corpo di fabbrica , le strutture presenterebbero una totale autonomia, essendo dotate di ingressi separati, di spazi di parcheggio e movimentazione di merce distinti e di accessi alle strade pubbliche differenti. Mancherebbe anche lo spazio comune, indicato dalla legge regionale come galleria, che consente l’integrazione tra le attività o le infrastrutture ed i servizi comuni e gestiti unitariamente.
2.2 Secondo le parti appellate , la disciplina regionale (l.r. n. 5/2005, l.r. n.5/2006, D.G.R. 55/108), introducendo un’importante innovazione in materia di autorizzazioni all’apertura di medie e grandi strutture di vendita, configurerebbe come grande struttura di vendita (centro commerciale) una pluralità di esercizi commerciali che possano trovarsi, indifferentemente, in una struttura unitaria od in una molteplicità di strutture funzionalmente collegate tra di loro, le quali perseguano una politica commerciale unitaria nella promozione o progettazione o realizzazione o gestione della struttura. Il collegamento richiesto, quindi, in assenza di quello materiale, sarebbe di tipo funzionale, collegato alla politica commerciale comune.
3. La questione sottoposta al Collegio consiste nello stabilire se le due strutture di vendita autorizzate che, in base alla loro estensione ( mq 1.730 e di mq. 610 ), rientrano ciascuna nella tipologia delle “medie” strutture di vendita, debbano considerarsi, congiuntamente, alla stregua di un’unica “grande” struttura di vendita, nella specie “centro commerciale” (caratterizzato dalla presenza di più esercizi commerciali unificati tra loro), dipendendo da tale configurazione il diverso procedimento imposto dalla normativa regionale ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio.
Partendo dalla definizione contenuta nell’art. 4 del decreto legislativo 31.3.1998, n.114, per “centro commerciale” si intende “una media o grande struttura di vendita nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazio di servizio gestiti unitariamente”.
Ai sensi dell’art. 1, comma 7 della legge regionale sarda 25.2.2005, n.5 (Disposizioni urgenti in materia di commercio)“ Il centro commerciale è considerato grande struttura di vendita quando è promosso, progettato o realizzato o gestito con una politica commerciale unitaria, con più esercizi commerciali, inseriti in una o più strutture funzionalmente collegate, anche se separate da strade o spazi pubblici, indipendentemente dalla loro destinazione urbanistica e dall’eventuale presenza di altre tipologie di attività”.
Definizione pressocchè identica si rinviene nell’art. 3, comma 5 della legge regionale 18.5.2006, n.5 (Disciplina generale delle attività commerciali).
La norma statale impone un collegamento materiale e gestionale, che esclude la configurabilità del “centro commerciale” tutte le volte in cui le strutture commerciali si presentino come incomunicabili, non usufruiscano di infrastrutture comuni e di spazi di servizio gestiti unitariamente (Cons. St. Sez. V, 29.10.2009, n. 6686; Sez. IV, 6.5.2013, n. 2446).
A ben vedere, la disciplina regionale non differisce sostanzialmente da quella statale, contenendo una specificazione della definizione di “centro commerciale” basata pur sempre sull’inserimento di una pluralità di esercizi commerciali in un ambito strutturale e gestionale unitario. Invero, il riferimento alla politica commerciale unitaria, tanto in fase di progettazione o realizzazione (fisica), quanto nella fase di gestione (commerciale) è diretta ad evidenziare l’elemento unificatore che connota il centro commerciale e che per le notevoli dimensioni, per la presenza di collegamenti stradali, per la disponibilità di parcheggi, per il richiamo esercitato sui consumatori che possono compiere i loro acquisti in un unico centro, per l’abbattimento dei costi determinati dalla messa in comune di servizi , con evidente riflessi sui prezzi, determina un impatto economico sull’assetto distributivo non solo del Comune di appartenenza , ma anche di quelli limitrofi, con la necessità di allargare il procedimento di autorizzazione alla Regione ed alla Provincia, in conferenza di servizi (cfr. Cons. St. Sez. IV, 10.3.2011, n. 1559; Sez.V, 20.2.2009, n. 1032 ).
Anche sotto il profilo urbanistico, la realizzazione di un centro commerciale ha indubbia incidenza sul carico urbanistico determinato dalla dimensione dell’attività commerciale, ad esempio sotto il profilo della necessità di parcheggi.
Occorre allora, in concreto, accertare se sussistano, in fase di progettazione o di gestione, gli elementi che connotino l’unitarietà della struttura, tale da riportarla alla configurazione di centro commerciale e conseguentemente, per le proprie dimensioni unitariamente considerate, di grande struttura di vendita.
Secondo il primo giudice , tale unitarietà sussisterebbe fin dalla fase di progettazione, unico essendo il progetto ed unica essendo la concessione edilizia rilasciata.
Sul punto, tuttavia, occorre considerare che elemento determinante non può essere considerato l’unitarietà dello “strumento” della progettazione e dell’ autorizzazione alla realizzazione , bensì il contenuto del progetto, che deve avere le caratteristiche della struttura unitaria.
Tali caratteristiche non si evincono né dal Piano attuativo del comparto G20, né dalla concessione edilizia, ove l’unico elemento di unificazione delle due medie strutture di vendita è dato dalla loro allocazione in uno stesso fabbricato del comparto 1, presentando esse, per il resto, una totale autonomia sia nelle aree destinate alla movimentazione di merci, sia nelle superfici riservate a parcheggi, sia nel posizionamento degli ingressi. Né alla presenza di un gruppo elettrogeno comune può attribuirsi rilievo sotto il profilo del collegamento materiale tra le strutture, dato che la messa in comune della fonte energetica è prassi frequente in ogni tipo di condominio di edifici (si pensi all’impianto di riscaldamento).
D’altro canto, lo stesso TAR ha rilevato che, sotto il profilo urbanistico, sia il Piano che la concessione facessero buon governo della disciplina in materia di strutture medie di vendita, mentre sarebbe il profilo gestionale degli esercizi commerciali – di cui costituirebbe mero indizio la presentazione di un unico progetto e l’ottenimento di un’unica concessione edilizia - quello che avrebbe dovuto indurre l’amministrazione a mettere in campo la procedura imposta per l’autorizzazione all’apertura di grandi strutture di vendita, per il collegamento funzionale tra le strutture proprio di tale tipologia di esercizio commerciale.
Una volta esclusa, sotto il profilo della progettazione e della realizzazione, l’unitarietà della struttura, occorre verificare se essa potesse evincersi – così come ritenuto dal primo giudice – dal loro collegamento funzionale.
Il TAR ha individuato nel rilascio ad un’unica società (Superemme) e, successivamente al subentro di DIS in uno dei due esercizi commerciali, alla riconduzione ad un unico centro decisionale della politica commerciale delle due strutture, l’elemento caratterizzante l’unificazione in un’unica struttura qualificabile alla stregua di centro commerciale.
Tale statuizione non può essere condivisa, basandosi su di un elemento meramente presuntivo, discendente dalla circostanza che le due imprese titolari degli esercizi commerciali facciano parte di un medesimo gruppo societario, non avvalorato da alcuna pratica commerciale comune (ad esempio, pubblicitaria) né da elementi materiali di collegamento a fini commerciali (quali la presenza di gallerie, di ingressi o di altre infrastrutture comuni), né da una gestione unitaria mirante ad economie di scala (ad esempio, nell’assunzione di personale o nella gestione comune di ordinativi, di contratti di somministrazione o di fornitura, di servizi di qualunque genere) da cui desumere un collegamento funzionale tra le due strutture.
La totale indipendenza, non smentita da concreti elementi di prova, tra i due esercizi commerciali induce il Collegio ad escludere la presenza di ogni elemento di collegamento che possa qualificare i due esercizi commerciali alla stregua di un unico centro commerciale.
4. Venendo all’esame degli appelli incidentali, con cui si chiede che, in riforma del relativo capo della sentenza di primo grado, venga annullata anche la concessione edilizia impugnata con il ricorso principale, se ne rileva l’infondatezza.
L’unico, articolato motivo si incentra sul rilievo che, dovendosi qualificare le due strutture di vendita alla stregua di un unico centro commerciale in base alla disciplina regionale sul commercio, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto rilevare , ai sensi della D.G.R. n. 55/108 del 29.12.2000, la violazione delle norme urbanistiche sotto il profilo dello studio di viabilità e dello standard dei parcheggi, che non dovevano essere parametrati alle due strutture medie di vendita, ma alla struttura grande di vendita.
Il motivo risulta infondato per le medesime ragioni che hanno condotto all’accoglimento dell’appello principale e cioè per il fatto che le due strutture non sono qualificabili alla stregua di un unico centro commerciale e che, conseguentemente, anche il carico urbanistico e gli standard sono stati correttamente applicati in relazione alla tipologia di intervento urbanistico.
5. L’accoglimento degli appelli principali ed il rigetto degli appelli incidentali comportano l’assorbimento degli ulteriori motivi in rito.
6. Conclusivamente, gli appelli principali devono essere accolti e gli appelli incidentali devono essere respinti, con conseguente reiezione dei ricorsi di primo grado, in riforma delle sentenze impugnate.
7. La peculiarità delle controversie induce a compensare le spese del doppio grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti:
- riunisce gli appelli;
- accoglie gli appelli principali e respinge gli appelli incidentali ;
- per l’effetto, in riforma delle sentenze impugnate, respinge i ricorsi di primo grado;
- compensa le spese del doppio grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere, Estensore
Umberto Realfonzo, Consigliere