REVOCA LICENZA A COMPRO-ORO - condizioni
TAR PUGLIA - LECCE, SEZ. I - sentenza 24 dicembre 2013 n. 2618
N. 02618/2013 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1850 del 2013, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avv. Francesco Semeraro, con domicilio eletto presso Segreteria Tar in Lecce, via F. Rubichi 23;
contro
Ministero Dell'Interno, Questura Di Taranto, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi 23;
per l'annullamento
del decreto del Questore della Provincia di Taranto Cat. 14E - Div. P.A.S.I. DEL 07 settembre 2013, notificato in data 12.9.2013, con cui è stato adottato il provvedimento di revoca della licenza ex art. 127 T.U.L.P.S., rilasciata alla signora -OMISSIS- in data 28.11.2012, nella veste di legale rappresentante della "-OMISSIS-" per l'esercizio del commercio di oggetti preziosi usati corrente in -OMISSIS-
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero Dell'Interno e di Questura di Taranto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2013 il dott. Roberto Michele Palmieri e uditi per le parti i difensori Francesco Semeraro, Simona Libertini;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. È impugnata la nota in epigrafe, con cui la Questura di Taranto ha revocato la licenza già rilasciata in data 28.11.2012 in favore della ricorrente – in qualità di legale rappresentante della "-OMISSIS-" – per l’esercizio del commercio di oggetti preziosi usati.
A sostegno del ricorso, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di gravame, appresso sintetizzati: violazione degli artt. 8-10 r.d. n. 773/31 (TULPS); eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità, travisamento dei fatti; 2) violazione del principio di proporzionalità; 3) violazione dell’art. 8 commi c-bis e c-ter l. n. 241/90; mancata audizione personale; lesione del diritto di difesa.
Nella camera di consiglio del 12.12.2013, fissata per la discussione della domanda cautelare, il Collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, ha definito il giudizio in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a.
2. Con i primi due motivi di gravame, che possono essere esaminati congiuntamente, per comunanza delle relative censure, deduce la ricorrente l’illegittimità dell’impugnato provvedimento, in quanto emesso in violazione della normativa dettata in tema di commercio di preziosi usati, nonché del principio di proporzionalità.
Le censure sono fondate.
2.1. Emerge dall’impugnato provvedimento che la revoca della licenza è stata emessa sulla base di un triplice ordine di addebiti, e segnatamente:
a) la violazione dell’art. 1 l. n. 7/2000, per avere la ricorrente commercializzato diverse monete e sterline di oro – che rientrerebbero nella nozione di "oro da investimento" – in assenza della prescritta qualifica di "operatore professionale in oro";
b) la violazione dell’art. 128 TULPS, in relazione all’art. 247 del relativo regolamento di esecuzione di cui al r.d. n. 635/40, per avere la ricorrente omesso di indicare sull’apposito registro di p.s. l’esatta descrizione degli oggetti preziosi acquistati;
c) l’assenza della titolare nei giorni e al momento degli accessi operati dal personale della G.d.F, e la conduzione di fatto dell’esercizio da parte della socia -OMISSIS-, sprovvista di autorizzazione ex art. 8 TULPS.
Nessuna di tali motivazioni appare decisiva.
2.2. Per quel che attiene al motivo sub a), premette anzitutto il Collegio che, ai sensi dell’art. 1 co. 1 lett. a) l. n. 7/2000, per oro da investimento di intende: "… l'oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell'oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d'oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell'80 per cento il valore sul mercato libero dell'oro in esse contenuto, incluse nell'elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee , serie C, nonché le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco;"
2.2.1. Tanto premesso, e venendo ora al caso di specie, rileva il Collegio che l’impugnato provvedimento è stato emesso a seguito di accesso ispettivo compiuto in data 22.3.2013 da personale della G.d.F , la quale ha riscontrato "… anomalie inerenti l’acquisto di diverse monete e sterline di oro".
Senonché, emerge dal registro tenuto dalla ricorrente ai sensi dell’art. 247 r.d. n. 635/40 (reg. es. TULPS), che quest’ultima ha acquistato in data 26.2.2013, da tale -OMISSIS-, il seguente articolo: "oreficeria usata – 1 sterlina", per il prezzo di € 250.
Dunque, non di "diverse monete e sterline d’oro" deve discorrersi nel caso di specie, ma dell’acquisto di una sola sterlina.
Orbene, tale errore, riportato nel provvedimento finale, mina senz’altro la sua legittimità, essendo stato emesso sulla base di accertamenti di fatto smentiti dalle obiettive risultanze documentali.
2.2.2. A ciò aggiungasi che l’amministrazione, a ciò tenuta, non ha in alcun modo dimostrato che l’acquisto di n. 1 sterlina rientra nell’ambito della fattispecie normativa dell’ "oro da investimento", ai sensi del cennato art. 1 l. n. 7/2000. Invero, essa ha omesso di indicare il peso di tale moneta, il suo grado di purezza, l’anno di conio e il valore sul mercato dell’oro in essa contenuto, elementi, questi, tutti necessari ai fini dell’accertamento dell’infrazione contestata alla ricorrente.
Per tali ragioni, è evidente il difetto di istruttoria e di motivazione dell’impugnato provvedimento, assunto sulla base di presupposti di fatto ora errati (il riferimento alle "diverse monete e sterline d’oro", nel mentre nel registro ex art. 247 r.d. n. 635/40 si parla di una sola sterlina), ora del tutto generici, in quanto carenti degli elementi minimi di identificazione dell’acquisto in termini di "oro da investimento".
2.3. Ciò detto quanto al motivo sub a), e passando ora all’esame di quello sub b), premette il Collegio che, ai sensi dell’art. 247 r.d. n. 635/40, "Il registro di chi fa commercio di cose antiche od usate o di chi commercia o fabbrica oggetti preziosi deve, agli effetti dell'art. 128 della legge, indicare, di seguito e senza spazi in bianco, il nome, cognome e domicilio dei venditori e dei compratori, la data dell'operazione, la specie della merce comprata o venduta ed il prezzo pattuito".
2.3.1. Tanto premesso, rileva il Collegio che, nella specie, il personale G.d.F. autore della verifica ha bensì accertato la tenuta dell’apposito registro da parte della ricorrente, ma ha ritenuto che "per l’acquisto di oggetti preziosi da privati (oreficeria e argenteria usata) è stato indicato solo il nome dell’oggetto (bracciale, collana, ecc.) omettendo sia di descriverlo in modo completo (bracciale/anello di oro giallo/bianco a forma di … di 18/22/ … carati, ecc.), sia di riportare il relativo peso in grammi (elemento fondamentale per la compravendita di tali oggetti preziosi)".
2.3.2. Orbene, reputa il Collegio che, in presenza del puntuale assolvimento, da parte della ricorrente, di tutti gli obblighi previsti dal cennato art. 247, l’amministrazione non poteva irrogarle una sanzione così grave, come quella della perdita della licenza, sulla base di una interpretazione di detto regolamento non supportata da suoi pregressi atti di indirizzo generale, portati a conoscenza dei destinatari con mezzi idonei. Il tutto tenendo presente che la ricorrente aveva ottenuto la licenza in esame in data 28.11.2012, vale a dire soltanto quattro mesi prima del suddetto accertamento, e durante tale periodo non risultano a suo carico infrazioni della stessa specie di quelle in esame. Sicché l’illegittimità dell’atto in esame si appalesa anche sotto il profilo della violazione del principio di proporzionalità, avendo l’amministrazione irrogato la sanzione più grave tra quelle disponibili, in presenza di una prassi oltremodo dubbia, da essa giammai avallata in precedenza, e comunque in presenza di un orientamento ignoto alla ricorrente, la quale è tenuta a conoscere e rispettare gli obblighi imposti dalla normativa di settore, ma non anche sedicenti prassi mai affermatesi in precedenza.
2.3.3. Per tali ragioni, anche il motivo di revoca descritto sub b) deve ritenersi illegittimo.
2.4. Venendo ora all’ultimo motivo posto dall’amministrazione a fondamento della revoca (l’assenza in loco della titolare dell’autorizzazione, e lo svolgimento dell’attività, in via di fatto, da parte dell’ulteriore socia -OMISSIS-, sprovvista della relativa licenza ex art. 8 TULPS), rileva il Collegio che tale circostanza risulta ammessa dalla stessa ricorrente. Nondimeno, quest’ultima ha documentato una serie di disturbi fisici di cui soffre, e che la obbligano ad assentarsi dall’esercizio commerciale per brevi periodi di tempo. Orbene, in presenza di tale situazione, debitamente rappresentata all’amministrazione, quest’ultima ben avrebbe potuto semplicemente diffidarla, ovvero sospenderle la licenza per il tempo occorrente a regolarizzare la propria posizione. La qual cosa è tanto più vera se si considera che la ricorrente ha presentato in data 28.6.2013 istanza per la nomina della socia -OMISSIS-quale sua rappresentante per l’attività in oggetto, e su tale istanza l’amministrazione non ha ancora provveduto.
Anche sotto tale profilo, pertanto, vi è evidente sproporzione tra l’infrazione accertata e la sanzione in concreto irrogata, sicché anche sotto tale aspetto l’impugnato provvedimento deve ritenersi illegittimo.
3. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso è fondato.
Ne consegue l’annullamento dell’atto impugnato, con assorbimento degli ulteriori motivi di gravame.
4. Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima,
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e annulla per l’effetto l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Claudia Lattanzi, Referendario
Roberto Michele Palmieri, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 24/12/2013.