Attività di somministrazione – utilizzo servizi igienici.
http://www.plinforma.com/index_htm_files/ServIgienici.pdf
Mi permtto di aggiungere che con la Risoluzione del 28/09/2007 prot. n. 0009105 il Ministero ha indicato di avere interessato della questione il Ministero della Salute che ha
risposto limitandosi a richiamare la disposizione che obbliga i pubblici esercizi ad essere dotati di servizi igienici.
Dal tenore della disposizione richiamata dal citato Ministero, risulta evidente che vige l’obbligo della presenza dei servizi igienici negli esercizi di somministrazione ma che non esistono norme specifiche sul loro utilizzo da parte di soggetti diversi della clientela.
Da quanto sopra consegue che la sola sensibilità e la disponibilità degli esercenti gestori degli esercizi può garantire la risposta alle esigenze dei predetti soggetti.
Mi permtto di aggiungere che con la Risoluzione del 28/09/2007 prot. n. 0009105 il Ministero ha indicato di avere interessato della questione il Ministero della Salute che ha
risposto limitandosi a richiamare la disposizione che obbliga i pubblici esercizi ad essere dotati di servizi igienici.
Dal tenore della disposizione richiamata dal citato Ministero, risulta evidente che vige l’obbligo della presenza dei servizi igienici negli esercizi di somministrazione ma che non esistono norme specifiche sul loro utilizzo da parte di soggetti diversi della clientela.
Da quanto sopra consegue che la sola sensibilità e la disponibilità degli esercenti gestori degli esercizi può garantire la risposta alle esigenze dei predetti soggetti.
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Il TAR TOSCANA si è esprtesso nel senso che i bagni sono riservati ai soli clienti senza obbligo di concederli al pubblico non pagante:
N. 00691/2010 REG.SEN.
N. 01914/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1914 del 2008, proposto da
Confcommercio Firenze – Associazione del commercio, del turismo, dei servizi, delle professioni e della piccola e media impresa della Provincia di Firenze, in persona del legale rappresentante pro tempore, dott. Bernabò Bocca, Pasticceria Marisa S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Stefano Nencioni, Wolf & C. S.r.l. – Bar Negroni, in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Daniele Locchi, Ristorante Giglio Rosso di Mari Angelo & C. S.n.c., in persona del legale rappresentante, sig. Angelo Mari, e Simona S.r.l. – Italian Bar, in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Francesco Matino, tutti quanti rappresentati e difesi dagli avv.ti Andrea Pisaneschi e Gian Paolo Olivetti Rason e con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Firenze, v.le Matteotti n. 25
contro
Comune di Firenze in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Claudio Visciola ed Andrea Sansoni e con domicilio eletto presso la Direzione Avvocatura, in Firenze, p.zza della Signoria (Palazzo Vecchio)
per l’annullamento
- del Piano della distribuzione e localizzazione della funzione di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, approvato dal Consiglio Comunale di Firenze con deliberazione del 24 luglio 2008 n. 2008/C/00071, con specifico riferimento all’art. 22 e ad ogni disposizione ad esso collegata o comunque correlata;
- della deliberazione del Consiglio Comunale di Firenze n. 2008/C/00071, adottata in data 24 luglio 2008, pubblicata il successivo 29 agosto ed esecutiva dall’8 settembre 2008, nella parte in cui reca approvazione del Piano della distribuzione e localizzazione della funzione di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, sempre limitatamente all’art. 22 di tale Piano e ad ogni disposizione collegata o comunque correlata;
- di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti ed in particolare, dell’art. 29, comma 3, del Regolamento di Polizia Municipale (“Norme per la civile convivenza in città”), approvato con la deliberazione del Consiglio comunale di Firenze n. 69 del 24 luglio 2008.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze;
Visti le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle rispettive tesi e difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore, all’udienza pubblica del 18 febbraio 2010, il dott. Pietro De Berardinis;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti, nella loro veste di titolari di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, e la Confcommercio, quale associazione di categoria, espongono che, in attuazione dell’art. 42-bis della l.r. n. 28/2005 (cd. Codice del commercio) ed in forza dell’art. 58 della l.r. n. 1/2005, il Comune di Firenze ha avviato, nel corso del 2006, il Piano della distribuzione e localizzazione della funzione di somministrazione nel territorio comunale.
1.1. Nell’ambito del procedimento di approvazione, il Comune di Firenze ha coinvolto anche, in quattro riunioni, alcune associazioni di categorie, tra le quali appunto la Confcommercio. Questa ha espresso, in particolare, avviso contrario alla possibilità di prevedere l’obbligo, in capo agli esercizi di somministrazione, di fornire i servizi igienici di cortesia al pubblico in generale, cioè a chiunque ne faccia richiesta, a prescindere dalla sua qualità di cliente dell’esercizio. Tale contrarietà è legata ai problemi gestionali ed igienici connessi ad un simile obbligo, atteso che l’art. 22, comma 2, del Piano prescrive la manutenzione e la pulizia dei locali durante tutto l’orario di apertura al pubblico dell’attività. Avviso contrario è stato espresso anche da altre associazioni di categoria.
1.2. Nonostante ciò, e nonostante che nella deliberazione di approvazione del Piano si dia atto del parziale accoglimento di alcune osservazioni delle associazioni di categoria proprio con riguardo ai servizi igienici di cortesia, l’art. 22, comma 1, del Piano – nel testo approvato con deliberazione del Consiglio Comunale di Firenze n. 2008/C/00071 del 24 luglio 2008 – ha previsto, quale requisito strutturale degli esercizi di somministrazione, la presenza di almeno un servizio igienico di cortesia aperto “a chiunque ne faccia richiesta”.
1.3. Analoga previsione è stata, poi, introdotta dall’art. 29, comma 3, del Regolamento di Polizia Municipale (“Norme per la civile convivenza in città”, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 69 del 24 luglio 2007), il quale, a sua volta, impone agli esercenti di pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di conservare i bagni in buono stato di manutenzione e di consentirne l’uso “a chiunque ne faccia richiesta”.
2. Avverso le suindicate previsioni del Piano della distribuzione e localizzazione della funzione di somministrazione (art. 22, comma 1) e del Regolamento di Polizia Municipale (art. 29, comma 3), sono insorti gli esponenti, impugnandole con il ricorso in epigrafe e chiedendone l’annullamento.
2.1. A supporto del gravame hanno dedotto i seguenti motivi:
- violazione e falsa applicazione dell’art. 42-bis della l.r. n. 28/2005, dell’art. 58 della l.r. n. 1/2005, dell’art. 15 della l.r. n. 49/1999, delle regole della concertazione regionale approvate in base all’art. 15 della l.r. n. 49/1999, ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto nel caso di specie non sarebbe stata svolta dal Comune di Firenze nessuna procedura di concertazione, ma solamente una mera consultazione di alcune associazioni di categoria, in un avanzato stadio del procedimento e con un atteggiamento di netta chiusura del Comune; quest’ultimo non avrebbe, poi, dato atto di un approfondimento delle ragioni contrarie addotte dalle associazioni;
- violazione e falsa applicazione del Regolamento CE n. 852/2004, degli artt. 28 e 31 del d.P.R. n. 327/1980, del d.m. 22 luglio 1977 (pubblicato in G.U. 9 settembre 1977, n. 246), dell’art. 42 della l.r. n. 28/2005, dell’art. 7 del d.lgs. n. 267/2000, dell’art. 7 dello Statuto del Comune di Firenze, e degli artt. 23, 42 e 97 Cost., nonché eccesso di potere per disparità di trattamento, contraddittorietà, carenza di motivazione, ingiustizia manifesta, giacché nessuna disposizione normativa comunitaria, nazionale o regionale imporrebbe ai titolari di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di mettere a disposizione del pubblico i loro servizi igienici, come confermerebbero la giurisprudenza e l’interpretazione ministeriale della legislazione di settore; pertanto l’obbligo imposto dal Comune, in mancanza di copertura legislativa, violerebbe il divieto ex art. 23 Cost. nonché, risolvendosi esso in un onere reale, la riserva di legge ex art. 42, secondo comma, Cost..
- violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 del d.l. n. 223/2006, degli artt. 3, 41 e 32 Cost. ed eccesso di potere per disparità di trattamento, contraddittorietà, carenza di motivazione, ingiustizia manifesta, in quanto sarebbero violati i principi di libertà dell’iniziativa economica e le regole di liberalizzazione dell’attività economica, essendosi imposto un obbligo gravosissimo soprattutto per i piccoli e medi esercizi di somministrazione del Centro storico di Firenze, nel quale i flussi turistici sono elevatissimi; inoltre vi sarebbe disparità di trattamento rispetto agli alberghi ed altre strutture ricettive del Centro storico ed a coloro che, anche fuori dal Centro, svolgono attività non assistita di somministrazione, i quali sarebbero legittimati a somministrare al pubblico alimenti e bevande, ma non sarebbero sottoposti all’obbligo contestato;
- violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 113-bis del d.lgs. n. 267/2000, nonché disparità di trattamento ed irragionevolezza e violazione degli artt. 32, 41 e 118 Cost., poiché la P.A. avrebbe “scaricato” sui privati la fornitura di un servizio pubblico che essa ha deciso di non erogare e, per di più, a condizioni ben più onerose per il fornitore privato di quando il servizio de quo viene erogato dall’Amministrazione, il tutto per ragioni di impatto estetico che non potrebbero, però, giustificare un obbligo di tal fatta.
2.2. Si è costituito il Comune di Firenze, depositando documenti sui fatti di causa, nonché, oltre la scadenza dei termini processuali, una memoria difensiva, della quale le controparti hanno consentito l’esame.
2.3. Anche i ricorrenti hanno depositato, in vista dell’udienza pubblica, un memoria, sinteticamente richiamando le censure avanzate ed insistendo per l’accoglimento del gravame.
2.4. All’udienza pubblica del 18 febbraio 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
3. Va premesso che il ricorso è sicuramente ammissibile, in quanto le disposizioni con esso gravate, pur se contenute in atti generali (art. 22 del Piano della distribuzione e localizzazione della funzione di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande) o regolamentari (art. 29 del Regolamento di Polizia Municipale), sono immediatamente esecutive, non necessitano di atti applicativi per la loro operatività, imponendo obblighi immediatamente coercitivi, e sono, perciò, in grado di arrecare una lesione concreta ed attuale all’interesse dei ricorrenti, inclusa la Confcommercio, quale associazione di categoria la cui legittimazione non è peraltro contestata dal Comune (il quale l’ha anzi consultata in sede di redazione del Piano gravato: v. doc. 3 del Comune). Si ricorda sul punto che, secondo la costante giurisprudenza (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 17 giugno 2009, n. 4056), i regolamenti possono essere oggetto di autonoma ed immediata impugnazione solo se siano suscettibili di produrre, in via diretta ed immediata, una concreta ed attuale lesione dell’interesse di un dato soggetto: ciò che pare indubbiamente essersi verificato nel caso in esame.
3.1. Nel merito, il ricorso è fondato.
3.2. In disparte le censure di ordine procedurale contenute nel primo motivo, sono, infatti, fondate le doglianze di natura sostanziale dedotte con gli altri motivi del gravame.
3.3. È in primo luogo fondata la doglianza dell’assenza di una previsione di rango primario che dia adeguata copertura all’obbligo imposto dal Comune a carico degli esercizi di somministrazione. Sul punto ritiene il Collegio che non possa parlarsi di prestazione imposta, ai sensi dell’art. 23 Cost., in quanto le prestazioni cui ha riguardo l’art. 23 Cost., siano essere personali o patrimoniali, debbono essere destinate a favore di Enti pubblici. Nel caso di specie, al contrario, ancorché si realizzi in via indiretta un beneficio per il Comune – che, come ammette la difesa comunale, verrebbe sgravato dal dovere di predisporre in città un numero di bagni pubblici adeguato alle masse di potenziali utenti – il servizio imposto è destinato, in via immediata, a favore della generalità del pubblico. Ciò, senza dimenticare che di prestazione personale non si potrebbe comunque parlare, atteso che questa deve consistere, per la dottrina e la giurisprudenza costituzionale, in un’attività del soggetto e cioè in un facere. Va, invece, privilegiata la diversa opzione interpretativa, del pari prospettata dai ricorrenti in subordine, che inquadra la fattispecie in esame in termini di limite imposto alla proprietà privata. Si tratta, per il Collegio, di un limite apposto alla proprietà stessa onde assicurarne la funzione sociale, ai sensi dell’art. 42, secondo comma, Cost.: disposizione, quest’ultima, in base alla quale i limiti in discorso sono stabiliti dalla legge. Al riguardo, può altresì richiamarsi anche l’art. 41, terzo comma, Cost., per il quale la legge determina i programmi e controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata (qual è quella svolta dagli esercizi di somministrazione) possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Orbene, nella vicenda in esame nessuna delle riserve di legge appena citate risulta rispettata: donde la fondatezza della doglianza in esame, formulata con il secondo motivo di ricorso.
3.4. Nello specifico, non può condividersi l’argomentazione della difesa comunale, per la quale la base normativa primaria su cui si fonderebbe l’obbligo imposto dal Comune dovrebbe rintracciarsi nell’art. 42-bis della l.r. n. 28/2005: questo, al comma 1, devolve al Comune il compito di definire, nell’ambito delle proprie funzioni di programmazione, i requisiti degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, anche in relazione alle specificità delle diverse parti del territorio comunale e tenendo conto di una serie di fattori (evoluzione del servizio da rendere al consumatore; vocazione delle diverse aree territoriali; salvaguardia e qualificazione delle aree di interesse storico-culturale; esistenza di progetti di qualificazione e valorizzazione dei luoghi del commercio). La disposizione de qua, par di capire, assolverebbe a quella funzione della legge, prevista dall’art. 41, terzo comma, Cost., di determinazione dei programmi opportuni affinché l’attività economica privata possa, nel caso di specie, essere indirizzata a fini sociali. In contrario deve, tuttavia, rilevarsi che una cosa è la definizione dei requisiti degli esercizi di somministrazione (che, in base al comma 2 dell’art. 42-bis cit., possono riferirsi anche alla materia igienico-sanitaria), altra cosa è l’imposizione di un obbligo di messa a disposizione del servizio igienico alla generalità del pubblico: imposizione che fuoriesce sicuramente dalla mera attività definitoria, da intendere limitata alla descrizione delle caratteristiche che sul piano edilizio, igienico-sanitario, ecc., debbono avere gli esercizi stessi (cfr., con riguardo ai servizi igienici, la disciplina dettata dall’art. 28 del d.P.R. n. 327/1980). Ciò, tanto più che l’obbligo per cui è causa è riconducibile, piuttosto che alla materia “commercio” (ricompresa, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, nella potestà legislativa residuale delle Regioni di cui all’art. 117, quarto comma, Cost.: v. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 21 aprile 2005, n. 2989), alla materia “tutela della salute”: materia che l’art. 117, terzo comma, Cost. devolve alla legislazione concorrente, con il corollario, per questo profilo, di dover osservare la disciplina di principio statale, dalla quale non è desumibile un obbligo del genere di quello imposto dal Comune di Firenze.
3.5. Per altro verso, neppure si può concludere che il fondamento normativo primario dell’obbligo imposto dal Comune sia rinvenibile nella l. n. 287/1991: ed invero, l’art. 3, comma 7, della legge de qua si limita a disporre che le attività di somministrazione di alimenti e bevande siano esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienico-sanitaria, oltre a quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici (essendo norma rivolta alla P.A., cui indica i presupposti per l’emissione dell’autorizzazione, e non già finalizzata a disciplinare il comportamento degli esercenti: Cass. civ., Sez. II, 5 ottobre 2009, n. 21273), senza dire alcunché sul contenuto delle predette norme e prescrizioni in materia igienico-sanitaria. Donde, anche per tal via, la fondatezza della censura.
4. Del pari fondato è il terzo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’eccessiva gravosità dell’obbligo oggetto di contestazione, dal quale discenderebbe, dunque, una limitazione della libertà di iniziativa economica, in violazione dell’art. 41 Cost., nonché un perturbamento della concorrenza: la prova di tale gravosità, invero, si coglie agevolmente nel fatto che l’erogazione dello stesso servizio da parte del Comune (tramite la predisposizione di bagni pubblici) è onerosa e non gratuita. In altri termini – come lamentato con il quarto motivo di ricorso, che risulta perciò anch’esso fondato – il Comune di Firenze pretende di imporre ai privati di rendere a titolo gratuito una prestazione che, allorché venga resa dal Comune medesimo, è, invece, a titolo oneroso. Fermo quanto sopra detto circa l’assenza di una copertura a livello di fonti primarie per l’imposizione, agli esercizi di somministrazione, di un obbligo di messa a disposizione gratuita dei servizi igienici alla generalità del pubblico, a ciò deve, quindi, aggiungersi che l’imposizione di un tale obbligo risulta irragionevole e sproporzionata (così trasmodando in vizio di legittimità degli atti impugnati), anche in ragione dell’omessa previsione di meccanismi compensativi dell’onere economico che i suddetti esercizi si trovano, indubbiamente, a dover sopportare per effetto dell’obbligo stesso.
4.1. Nemmeno sotto questo aspetto le argomentazioni difensive del Comune – che taccia di miopia i ricorrenti, evidenziando come la misura vada nella direzione di un miglior servizio ai consumatori e perciò valorizzi l’offerta turistica complessiva, a vantaggio anche degli esercizi di somministrazione – possono essere condivise. È, infatti, del tutto ipotetico sostenere che il numero di quanti fruiranno dei servizi igienici senza consumare sarà più che compensato dai clienti che, invece, consumeranno senza fruire dei predetti servizi, avendo già utilizzato quelli di altro esercizio. Non ci sono indagini statistiche che confermino una simile illazione, la quale trascura completamente le difficoltà in cui potrebbero trovarsi singoli esercizi di somministrazione, in specie se ubicati nel Centro storico, ove si verifichino improvvisi sovraffollamenti nel locale per l’afflusso di gruppi di turisti, che chiedano di fruire dei servizi igienici senza, però, avere intenzione di consumare. Difficoltà, rispetto alle quali la restrizione dell’utilizzazione di detti servizi a favore dei soli consumatori ha il triplice pregio: a) di scoraggiare eccessivi sovraffollamenti (tenendo lontani dal locale quanti intendano usare i servizi igienici, senza al tempo stesso consumare); b) di introdurre un meccanismo compensativo indiretto (legato, appunto, alla consumazione) per il servizio supplementare prestato dagli esercizi; c) il tutto, senza far venir meno il servizio stesso, così garantendo una prestazione che si aggiunge a quella che – a rigore – dovrebbe essere approntata dall’Amministrazione Comunale. Che il rischio paventato di sovraffollamenti all’interno degli esercizi sia tutt’altro che ipotetico – e sicuramente meno ipotetico della compensazione di tipo statistico prefigurata dalla difesa comunale – lo dimostra il fatto notorio (strumento, il cui impiego nel processo amministrativo è ammesso da dottrina e giurisprudenza: cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 18 maggio 2005, n. 6497; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 9 marzo 2004, n. 826; id., Sez. II, 19 dicembre 1989, n. 631) della presenza in Firenze, e specialmente nel Centro storico, di ingenti masse di turisti. Quanto al preteso vantaggio che per ogni operatore si produrrebbe in forza del beneficio di immagine derivante a tutta la città dall’adozione della misura contestata, anche in questo caso si tratta di un ragionamento ipotetico e che non tiene conto del fatto che ben maggiori vantaggi in termini di immagine possono derivare da altri fattori, quali la pulizia, la manutenzione e la sicurezza delle strade, la massima disponibilità nella fruizione dei monumenti e dei servizi museali, la puntuale cura e conservazione dei medesimi, ecc.. Né si può sostenere che l’obbligo contestato non sia gravoso perché comunque gli esercizi di somministrazione sono tenuti a mantenere a disposizione dei dipendenti e dei clienti un servizio igienico, che quindi deve, in ogni caso, formare oggetto di attività di pulizia e manutenzione: in contrario, è agevole ribattere che una cosa è l’attività di pulizia e manutenzione di un locale destinato ad uso bagno, se ne possono far uso un numero limitato ed in una certa misura preventivabile di persone, tutt’altra cosa è tale attività, se a poter fruire del locale destinato a bagno è la generalità del pubblico, cioè, all’occorrenza, masse di persone ingenti e non predeterminabili (si pensi ad es. agli afflussi di pubblico, formato non soltanto da turisti, in occasione di famose manifestazioni culturali e cerimonie). Il Comune di Firenze ha del tutto trascurato l’eventualità che, nell’ipotesi di gruppi di turisti, possano formarsi, addirittura, delle file di persone all’interno ed all’esterno dei locali sede degli esercizi, onde fruire dei servizi igienici, ciò che causerebbe, oltre a rischi e difficoltà di gestione di tali file, anche rilevanti danni economici agli esercizi stessi, la cui attività non potrebbe non esserne intralciata. Se ne desume la complessiva infondatezza delle obiezioni comunali.
4.2. Per quanto ora esposto, sono fondati sia il terzo, sia il quarto motivo di ricorso. Quest’ultimo è, poi, da accogliere anche nella parte in cui censura le previsioni impugnate, per essere queste dettate da ragioni di impatto estetico. Ciò, alla luce del comunicato stampa del Comune del 25 luglio 2008, nel quale l’imposizione dell’obbligo per cui è causa viene qualificata come “un modo per evitare il pullulare in città di servizi pubblici che, se in gran numero, tali, cioè, da soddisfare le esigenze della cittadinanza e dei turisti, rappresenterebbe un impatto estetico negativo e comporterebbe difficoltà di gestione”. A tal proposito, vero è che le disposizioni censurate sono contenute in atti a contenuto generale (il Piano della funzione di somministrazione) o regolamentare (il Regolamento di Polizia Municipale), gli uni e gli altri sottratti all’obbligo di motivazione, in ragione dell’eccezione prevista dall’art. 3, comma 2, della l. n. 241/1990 (cfr. C.d.S., Sez. V, 8 febbraio 2005, n. 342). Nondimeno, si può e si deve attribuire rilevanza alle dichiarazioni contenute nel succitato comunicato stampa, in virtù della sua provenienza ufficiale: dichiarazioni che, peraltro, sono confermate dalle osservazioni formulare in argomento dalla difesa comunale (senza che per queste ultime si possa parlare in alcun modo di integrazione postuma della motivazione). Si tratta, infatti, di elementi da cui si può dedurre il superficiale apprezzamento dei fatti e, ancora una volta, la sproporzione tra questi e le misure che sono state assunte con l’imposizione dell’obbligo de quo ai privati: è evidente, cioè, che il Comune, alle prese con il problema di conciliare la garanzia di un servizio pubblico e l’esigenza di preservare il decoro estetico (pregevolissimo) della città, si è liberato delle relative responsabilità, “scaricando” le incombenze connesse al servizio in discorso sui privati e così evitando di doversene far carico. In tal modo, risultano però obliate eventuali soluzioni alternative, che non riposano certo soltanto sulla predisposizione dei “bagni chimici” (di difficile compatibilità estetica con la città di Firenze), come pretenderebbe la difesa comunale. Questa mancata considerazione di soluzioni alternative (quali ad es. il riservare il predetto servizio in apposite aree della città, lontane dalle zone di maggior pregio e specificamente attrezzate, onde ridurre il relativo impatto per la popolazione), in favore della scelta di addebitare i relativi compiti in capo ad una certa categoria di operatori economici, senza neppure dettare misure di compensazione per costoro, è sintomo dell’illegittimità delle disposizioni gravate: queste vengono dunque sindacate sotto il profilo della loro irragionevolezza ed illogicità, senza che vi sia alcun sconfinamento nel merito delle scelte amministrative.
5. In definitiva, il ricorso è fondato e deve essere accolto, attesa la fondatezza del secondo, del terzo e del quarto motivo e con assorbimento del primo. Per conseguenza, va pronunciato l’annullamento delle previsioni gravate, e cioè dell’art. 22, comma 1, del Piano della distribuzione e localizzazione della funzione di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 2008/C/00071 datata 24 luglio 2008), nonché dell’art. 29, comma 3, del Regolamento di Polizia Municipale, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 69, di pari data.
6. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Seconda Sezione, così definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati, nei termini specificati in motivazione.
Condanna il Comune di Firenze al pagamento, in favore dei ricorrenti, di spese ed onorari di causa, che liquida in via forfettaria in complessivi € 3.000,00 (tremila/00), più I.V.A. e C.P.A., come per legge.
Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2010, con l’intervento dei Magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere
Pietro De Berardinis, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/03/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO