Data: 2013-09-05 04:16:20

EDICOLE definitivamente liberalizzate - Consiglio di Stato 2/9/2013

EDICOLE definitivamente liberalizzate - Consiglio di Stato 2/9/2013

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 2 settembre 2013 n. 4337

N. 04337/2013REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11224 del 2001, proposto da:

Comune di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Massimo Colarizi, Giambattista Rizza e Maria Domenica Cisaro, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 87;

contro

Parrella Giuseppe, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Piemonte – Torino, Sezione I, n. 01667/2001, di accoglimento del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento del Comune di Torino del 22.5.2001, prot. n. 200100230742, con cui è stato ordinato al sig. Giuseppe Parrella l’immediata cessazione della attività di rivendita di quotidiani e periodici in quanto, subentrando nella attività, aveva iniziato la stessa in un punto esclusivo, omettendo di inviare al Comune la relativa comunicazione ed in assenza di autorizzazione;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e udito per la parte appellante l’avvocato M. Colarizi;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Con provvedimento del Dirigente della Divisione economia e sviluppo, Settore attività economiche e di servizio, contenzioso e commercio fisso del Comune di Torino del 22.5.2001, prot. n. 200100230742, è stata ordinata al sig. Giuseppe Parrella l’immediata cessazione della attività di rivendita di quotidiani e periodici, che aveva iniziato, quale subentrante del precedente titolare, senza comunicazione del sub ingresso al Comune; ciò in quanto, visto l’art. 5 della l.r. n. 40/1992 (di modifica della l.r. n. 40/1985), sussistevano i presupposti di cui all’art. 22, comma 6, del d. lgs. n. 144/1998, ai sensi del quale, in caso di esercizio abusivo della attività, va ordinata la chiusura immediata dell’esercizio di vendita.

Il T.A.R. Piemonte, cui l’interessato ha presentato ricorso per l’annullamento di detto provvedimento, con la sentenza in epigrafe indicata ha innanzi tutto affermato che l’art. 6, comma 3, della l. r. n. 40/1985 era stato abrogato, in base all’art. 10, comma 1, della l. n. 62/1953, dall’art. 7 del d. lgs. n. 114/1998 (che ha previsto la necessità della sola comunicazione al Comune per l’apertura, il trasferimento e l’ampliamento degli esercizi di vicinato, tra cui rientra quello per cui è causa, stabilendo un principio incompatibile con la normativa regionale precedente che prescriveva la necessità dell’autorizzazione); ha quindi accolto il gravame, sostenendo che l’attività in questione non poteva considerarsi abusiva ex art. 22, comma 6, del d. lgs. n. 114/1998 e che poteva essere sanzionata solo con una pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 22, comma 3, dello stesso articolo, e non con la chiusura.

Con il ricorso in appello in esame il Comune di Torino ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza, deducendo i seguenti motivi:

1.- Con il provvedimento impugnato la cessazione della attività non è stata ordinata perché l’appellato non era stato autorizzato ex l.r. n. 40/1985, ma perché abusiva, non avendo adempiuto alla prescrizione di cui all’art. 26, comma 5, della l. n. 114/1998; nel provvedimento è stato citato anche l’art. 5 di detta l. r. solo per menzionare il susseguirsi di norme che hanno disciplinato la fattispecie.

2.- Erroneamente è stato asserito che l’art. 7 del d. lgs. n. 114/1998 ha disposto la sufficienza della semplice comunicazione al Comune per la apertura degli esercizi di vicinato.

3.- Non è condivisibile la tesi che l’attività in questione non potesse considerarsi abusiva ex art. 22, comma 6, del d. lgs. n. 114/1998 e che potesse solo essere sanzionata con una pena pecuniaria ex art. 22, comma 3, dello stesso articolo.

Alla pubblica udienza del 23.4.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza dell’avvocato della parte appellante, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dal Comune di Torino, di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato accolto il ricorso proposto dal sig. Giuseppe Parrella per l’annullamento del provvedimento del Comune di Torino, del 22.5.2001, prot. n. 200100230742, con cui è stato ordinato al suddetto l’immediata cessazione della attività di rivendita di quotidiani e periodici perché abusivamente svolta, in quanto, subentrando nella attività aveva iniziato la stessa in un punto esclusivo, in assenza di autorizzazione ed omettendo di inviare al Comune la relativa comunicazione.

2.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che con il provvedimento impugnato la cessazione della attività non è stata ordinata perché l’appellato non era stato autorizzato ex l.r. n. 40/1985, ma in quanto abusivo, non avendo adempiuto alla prescrizione di cui all’art. 26, comma 5, della l. n. 114/1998. Nel provvedimento è stato citato anche l’art. 5 della l. r. n. 40/1992 solo per menzionare il susseguirsi di norme che hanno disciplinato la fattispecie, ma è poi contenuta la indicazione di detto art. 26, comma 5, del d. lgs. n. 114/1998 (che riguarda la comunicazione in caso di sub ingresso), che non avrebbe dovuto essere apposta se il Comune avesse voluto ordinare la immediata cessazione della attività solo per mancato possesso della autorizzazione di sub ingresso.

2.1.- Osserva la Sezione che il provvedimento impugnato contiene sia il richiamo all’art. 5 della l. r. n. 40/1992, ai sensi del quale per il sub ingresso nella titolarità dell’esercizio è necessaria la autorizzazione, sia il richiamo all’art. 26, comma 5, del d. lgs. n. 114/1998 (ai sensi del quale è soggetto alla sola comunicazione al Comune competente per territorio il trasferimento della gestione o della proprietà per atto tra vivi o per causa di morte nonché la cessione dell’attività relativa agli esercizi di cui agli artt. 7, 8 e 9); pertanto, ritenuti sussistenti i presupposti di cui all’art. 22, comma 6, di detto d. lgs. (ai sensi del quale, in caso di svolgimento abusivo della attività, il Sindaco ordina la chiusura immediata dell’esercizio di vendita), è stata disposta la cessazione della attività in questione.

Il T.A.R. non si è, tuttavia, limitato ad affermare che l’art. 6, comma 3, della l. r. n. 40/1985 era stato abrogato dall’art. 7 del d. lgs. n. 114/1998, ma ha anche sostenuto che dell’attività in questione non poteva disporsi la cessazione perché non poteva considerarsi abusiva, ex art. 22, comma 6, del d. lgs. n. 114/1998, e avrebbe potuto essere sanzionata solo con una pena pecuniaria, ex art. 22, comma 3, dello stesso articolo.

La censura in esame, anche se correttamente individua il sostanziale motivo posto a base del provvedimento impugnato, omette quindi di evidenziare la fondamentale circostanza che la sentenza è basata anche su detto rilievo che la omissione della comunicazione del sub ingresso al Comune, prescritta dall’art. 26, comma 5, del d. lgs. n. 114/1998, non avrebbe mai potuto comportare l’adozione della impugnata sanzione dell’immediata cessazione della attività di rivendita di quotidiani e periodici.

Il motivo di ricorso in esame è quindi inconferente rispetto al fine perseguito di dimostrare la complessiva erroneità della decisione, assunta con la sentenza impugnata, di dichiarare la illegittimità del provvedimento impugnato.

3.- Con il secondo motivo di gravame è stato asserito che erroneamente il T.A.R. ha ritenuto che, in base all’art. 7 del d. lgs. n. 114/1998, fosse sufficiente la semplice comunicazione al Comune per la apertura degli esercizi di vicinato; infatti, mentre per i sub ingressi detto d.lgs. ha implicitamente abrogato la l.r. n. 40/1985, per le aperture l’autorizzazione era rimasta in vigore ex art. 14 della l. n. 416/1981, ancora vigente all’epoca, e poi è stato emanato il d. lgs. n. 170/2001, che (ribadita la necessità della autorizzazione per la apertura di punti vendita di quotidiani e periodici) ha asserito, al comma 1 dell’art. 9, che, per quanto non previsto dal decreto, si applicava il d. lgs. n. 114/1998, mentre, al comma 2, ha disposto l’abrogazione dell’art. 14 della l. n. 416/1981 e dell’art. 7 della l. n. 67/1987, così confermando che l’art. 1, comma 3, della l. n. 108/1999 (che prevede l’assoggettamento dei punti esclusivi di vendita di quotidiani e periodici al d. lgs. n. 114/1998) non aveva già tacitamente abrogato l’art. 14 della l. n. 416/1981.

Tanto consentirebbe di contestare la asserzione del T.A.R. che, se l’art. 7 della l. n. 114/1998 esclude espressamente la necessità dell’autorizzazione per la nuova apertura, a maggior ragione l’autorizzazione non può più ritenersi necessaria per il sub ingresso nella titolarità di un esercizio esistente.

3.1.- La Sezione osserva innanzi tutto che l’appello conferma espressamente la tesi del T.A.R. che l’art. 6, comma 3, della l.r. n. 40/1985, che richiede il rilascio di autorizzazione per il sub ingresso nella titolarità di un esercizio di vicinato, è stata implicitamente abrogata dall’art. 7 del d.lgs. n. 114/1998, essendo asserito nel gravame che "…mentre per i sub ingressi è stata la Legge Regionale 40/85 implicitamente abrogata dal D.L.vo 11/98 (quindi è stata abolita l’autorizzazione per i sub ingressi), per le aperture l’autorizzazione rimane in vigore ai sensi dell'art. 14 della l. 5 agosto 1981, n. 416".

Sul punto deve quindi ritenersi che si sia formato il giudicato.

Ciò posto, il motivo è volto a dimostrare che è incondivisibile la tesi del primo Giudice che, se l’art. 7 della l. n. 114/1998 esclude espressamente la necessità dell’autorizzazione per la nuova apertura, a maggior ragione l’autorizzazione non può più ritenersi necessaria per il sub ingresso nella titolarità di un esercizio esistente

Premesso che l’art. 14 della l. n. 416/1981 stabiliva che "Le autorizzazioni di rivendita in posti fissi di giornali quotidiani e periodici sono rilasciate dai comuni in conformità ai piani comunali predisposti sulla base dei criteri fissati dalle regioni", non può condividere il Collegio la tesi del Comune appellante che il d. lgs. n. 170/2001 avrebbe confermato (nel disporre espressamente, all’art. 9, comma 2, l’abrogazione dell’art. 14 della l. n. 416/1981) che in precedenza l’art. 1, comma 3, della precedente l. n. 108/1999 (che prevedeva l’assoggettamento dei punti esclusivi di vendita di quotidiani e periodici al d. lgs. n. 114/1998) non aveva implicitamente abrogato l’art. 14 della l. n. 416/1981, sicché, all’epoca dei fatti di causa sarebbe stata vigente la disposizione che prevedeva che era necessaria l’autorizzazione comunale per svolgere l’attività in questione e conseguentemente anche per subentrare nella gestione della rivendita di cui trattasi.

Invero detto d. lgs. n. 170/2001 ha disposto il riordino del sistema di diffusione della stampa quotidiana e periodica, a norma dell'articolo 3 della legge 13 aprile 1999, n. 108, visto anche il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recante la riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59.

Non può essere intesa detta disposizione abrogatrice nel senso che prima della sua emanazione fosse ancora vigente l’art. 14 della l. n. 416/1981, che prevedeva il rilascio di autorizzazione per l’esercizio della attività in questione, nonostante l’emanazione, nelle more, del d. lgs. n. 114/1998.

Invero l’art. 7 di detto d.lgs. n. 114/1998 stabiliva che "L'apertura, il trasferimento di sede e l'ampliamento della superficie fino ai limiti di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), di un esercizio di vicinato sono soggetti a previa comunicazione al comune competente per territorio e possono essere effettuati decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione".

Anche il settore della distribuzione e vendita dei giornali è da considerarsi esercizio di vicinato e quindi non si sottraeva all'ambito di applicazione della norma citata, perché si tratta, come è evidente, di attività commerciale.

Peraltro solo con riguardo al Titolo IV, relativo agli orari di vendita, l’art. 13 del ridetto d. lgs. n. 114/1998 detta la disposizione speciale che "Le disposizioni del presente titolo non si applicano alle seguenti tipologie di attività: … alle rivendite di giornali".

Del resto costituisce orientamento della Sezione che l'attività di distribuzione e vendita di giornali e riviste sia da annoverare tra le attività comuni aperte alla libera concorrenza previste dal d.lgs. n. 114/1998, come provato dal disposto dell'articolo 13 del decreto (Consiglio di Stato, sez. V, 9 aprile 2013, n. 1945).

Posto che la norma che prevedeva la necessità della autorizzazione per l’apertura, e conseguentemente per il subentro, nella attività di cui trattasi era stata implicitamente abrogata a seguito della emanazione del d. lgs. n. 113/1998, non può concordarsi con la parte appellante che la successiva abrogazione espressa di essa norma, con l’art. 9, comma 2, del d. lgs. n. 170/2001, sarebbe indice della mancata pregressa abrogazione a seguito della emanazione del citato d. lgs..

Va anzitutto ricordato che l'abrogazione tacita si ha nei casi di incompatibilità e di contraddizione logico - formale assoluta tra la pregressa e la nuova norma, per cui dalla applicazione della nuova deriva necessariamente la disapplicazione o l'inosservanza dell'antica (Cass. Civ. 7.3.1979 n. 1423).

L'incompatibilità tra le nuove disposizioni e quelle precedenti - che costituisce una delle due ipotesi di abrogazione tacita ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale - può quindi ritenersi sussistente allorché, come nel caso di specie, fra le leggi considerate vi sia una contraddizione tale da renderne impossibile la contemporanea applicazione, perché dall'applicazione ed osservanza dell’art. 7 del d. lgs. n. 114/1998 non poteva non derivare la disapplicazione e/o l'inosservanza dell’art. 14 della l. n. 416/1981.

Poiché nel nostro ordinamento non è dato riconoscere maggiore dignità all'abrogazione espressa rispetto a quella tacita, deve ritenersi che la successiva abrogazione espressa della norma che prevedeva la necessità della autorizzazione in questione abbia solo inteso precisare e confermare, nel riordinare sistematicamente le disposizioni al riguardo, che comunque la precedente disposizione era incompatibile con la nuova, senza che ciò possa essere inteso nel senso che fino ad allora essa fosse ancora vigente e non abrogata implicitamente dal d. lgs. n. 114/1998.

Anche il motivo in esame non è quindi suscettibile di assenso.

4.- Con il terzo motivo di appello è stato dedotto che comunque non sarebbe condivisibile la tesi che l’attività in questione non potesse considerarsi abusiva ai sensi dell’art. 22, comma 6, del d. lgs. n. 114/1998 e che potesse solo essere sanzionata con una pena pecuniaria ex art. 22, comma 3, dello stesso articolo.

Dalla lettura di detto comma 6 del citato art. 22 si evincerebbe che la cessazione della attività è riferita a tutte le attività individuate nello stesso articolo ai commi 1 e 3 (altrimenti il comma 6 sarebbe stato apposto dopo il comma 1), con la conseguenza che la chiusura della attività sarebbe stata prevista anche per le violazioni di cui ai commi 1 e 3 (considerato che in quest’ultimo è sanzionata la violazione dell'art. 14), come confermato dalla locuzione "svolgimento abusivo della attività" in cui sarebbe da comprendere l’attività svolta senza comunicazione del sub ingresso.

Sarebbe stato quindi legittimo il provvedimento impugnato.

4.1.- La Sezione non condivide dette tesi.

L’art. 26, comma 5, del d.lgs. 114/1998 stabilisce che "È soggetto alla sola comunicazione al comune competente per territorio il trasferimento della gestione o della proprietà per atto tra vivi o per causa di morte, nonché la cessazione dell'attività relativa agli esercizi di cui agli articoli 7, 8 e 9. Nel caso di cui al presente comma si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 7".

L’art. 22, comma 3, di detto d. lgs. stabilisce che "Chiunque viola le disposizioni di cui agli articoli 11, 14, 15 e 26, comma 5, del presente decreto è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 1.000.000 a lire 6.000.000".

L’art. 22, comma 6 del ridetto d. lgs. prescrive che "In caso di svolgimento abusivo dell'attività il sindaco ordina la chiusura immediata dell'esercizio di vendita".

Non sussistono, ad avviso del Collegio, ragioni logico giuridiche in base alle quali la sanzione della chiusura dell’esercizio di vendita debba essere disposta in aggiunta alla sanzione amministrativa del pagamento delle somme stabilite ai commi 1 e 3 dell’art. 22 del d. lgs. di cui trattasi, innanzi tutto per ragioni letterali, in quanto in tal caso il citato comma 6 avrebbe dovuto statuire che "oltre alle sanzioni di cui ai commi 1 e 3, in caso di svolgimento abusivo dell’attività il sindaco ordina la chiusura immediata dell’esercizio di vendita" (o, a loro volta, i commi 1 e 3 contenere la locuzione "oltre che con la chiusura immediata chiunque viola le disposizioni …. è punito con la sanzione amministrativa…..).

Oltre a ragioni di carattere letterale sussistono ragioni logico giuridiche per escludere che, oltre alla sanzione amministrativa stabilita dal comma 3 suddetto, del pagamento di una somma da lire 1.000.000 a lire 6.000.000, dovesse essere applicata anche la sanzione della chiusura dell’esercizio in questione.

L’art. 11 del d. lgs. n. 114/1998 riguarda infatti gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio, il seguente art. 14 riguarda la indicazione dei prezzi di vendita al pubblico prodotti esposti per la vendita al dettaglio, l’art. 15, a sua volta, riguarda le vendite straordinarie e l’art. 26, comma 5, come detto, la comunicazione al Comune della variazione della gestione o della proprietà delle attività in questione; tutte dette fattispecie non configurano ipotesi di svolgimento abusivo della attività, sanzionabili con la chiusura ex art. 22, comma 6, del medesimo d. lgs., ma semplici irregolarità della gestione.

5.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

6.- Nessuna determinazione può essere assunta dal Collegio in ordine alle spese e agli onorari del presente grado di giudizio, stante la mancata costituzione in giudizio della parte intimata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, respinge l’appello in esame.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

Antonio Bianchi, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 02/09/2013.

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Data: 2014-01-15 10:36:10

Re:EDICOLE definitivamente liberalizzate - Consiglio di Stato 2/9/2013

QUESTO è UN SUBINGRESSO NON UNA NUOVA EDICOLA

riferimento id:15318

Data: 2014-01-15 22:44:43

Re:EDICOLE definitivamente liberalizzate - Consiglio di Stato 2/9/2013


QUESTO è UN SUBINGRESSO NON UNA NUOVA EDICOLA
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Al di là del caso di specie si sottolinea il passaggio: "[color=red]costituisce orientamento della Sezione che l'attività di distribuzione e vendita di giornali e riviste sia da annoverare tra le attività comuni aperte alla libera concorrenza previste dal d.lgs. n. 114/1998, come provato dal disposto dell'articolo 13 del decreto (Consiglio di Stato, sez. V, 9 aprile 2013, n. 1945).[/color]"

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