Data: 2013-08-22 07:55:58

Per bloccare la SCIA non serve avvio del procedimento

Per bloccare la SCIA non serve avvio del procedimento

T.A.R. Lazio Roma, Sezione II Ter, 29 luglio 2013 SENTENZA N. 7686

FATTO

Espone parte ricorrente di svolgere, fin dal 2002, attività nel settore alimentare (commercio al dettaglio di vicinato per una superficie totale dell’esercizio pari a mq. 76, di cui mq. 40 dedicati all’attività nel settore alimentare e mq. 30 non alimentare “articoli da regalo”) presso i locali di via Sant’Andrea delle Fratte, rione Colonna.
Nel febbraio 2012, la società ricorrente modificava in parte la propria attività imprenditoriale con specifico riferimento all’attività di produzione e vendita di gelato, anche da asporto e prodotti affini.
Con SCIA presentata nell’aprile 2012, la ricorrente stessa comunicava la variazione della distribuzione interna del locale e l’apertura di un laboratorio di pasticceria artigianale e di un laboratorio di gelateria.
Con nota del 7 giugno 2012, Roma Capitale comunicava di non prendere in considerazione la SCIA in ragione dell’espressa esclusione dell’attività di laboratorio di gelateria di cui all’art. 6 della delibera consiliare n. 36 del 2006 e del punto 1, lett. a), della successiva deliberazione n. 86 del 2009.
Né, altrimenti, l’Amministrazione intimata ha preso in considerazione l’ulteriore SCIA per variazione esercizio di vicinato, pure presentata dalla società ricorrente.
Premesso che questa Sezione, con sentenza n. 2758 del 22 febbraio 2010 (passata in giudicato) ha annullato i ricordati deliberati consiliari nella parte in cui è stato posto il divieto di apertura di nuove gelaterie artigianali nelle zone di rispetto del Centro Storico, parte ricorrente ha articolato, avverso gli atti gravati, le seguenti censure:
1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10-bis della legge 241/1990, in tema di valida partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo e di garanzie del giusto procedimento. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione. sviamento. Ingiustizia manifesta.
Nel lamentare l’omissione del previsto preavviso di rigetto – asseritamente operante anche in materia di DIA/SCIA – la ricorrente evidenzia che sarebbero state conseguentemente vulnerate le garanzie di partecipazione endoprocedimentale.
2) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 6, comma 1, lett. b) e 19 della legge 241/1990. Eccesso di potere per travisamento ed errore dei presupposti di fatto. Eccesso di potere per carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Violazione del principio di non aggravamento ex art. 1 della legge 241/1990. Eccesso di potere con riferimento alla inesatta applicazione delle delibere consiliari nn. 36 del 6 febbraio 2006 e 86 del 2009. Difetto di istruttoria. Sviamento ed ingiustizia manifesta.
Rammentato di aver presentato SCIA finalizzata alla variazione della distribuzione degli spazi del locale di via Sant’Andrea delle Fratte (ed all’avvio di un laboratorio di pasticceria e di un laboratorio di gelateria), parte ricorrente evidenzia che tale modificazione ha riguardato, esclusivamente, la parte “non alimentare” della precedente autorizzazione: escludendo, per l’effetto, che sia venuta a cessare un’attività tutelata.
Né parte ricorrente avrebbe chiesto l’avvio di un’attività di gelateria artigianale, esclusa nella zona dalle delibere indicate in epigrafe.
3) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 31, comma 2, e 34 del D.Lgs. 6 dicembre 2011 n. 201 (convertito in legge 22 dicembre 2011 n. 214). Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10 e 14 del D.Lgs. 26 marzo 2010 n. 59. Violazione del principio di cui all’art. 97 della Costituzione in materia di buon andamento della Pubblica Amministrazione. Violazione dei principi del libero esercizio dell’attività imprenditoriale, della non discriminazione, della ragionevolezza e della proporzionalità. Eccesso di potere per insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Sviamento ed ingiustizia manifesta.
La delibera consiliare n. 86 del 2009, nell’escludere dal novero delle attività tutelare all’interno del Municipio Roma I quelle relative alla vendita di gelati non confezionati, si porrebbe in contrasto con i principi comunitari (libero esercizio dell’attività imprenditoriale, ragionevolezza, proporzionalità) richiamati da questa Sezione con sentenza n. 2758/2010.
Sotto tale profilo, anche la legislazione statale (decreto legge 201/2011, convertito in legge 214/2011) ha abrogato (art. 34) le restrizioni concernenti il divieto di esercizio di un’attività economica in più sedi, ovvero in una o più aree geografiche; e, ancora, il divieto, nei confronti di alcune categorie di attività economiche, di commercializzazione di taluni prodotti.
In buona sostanza, l’avversato divieto verrebbe a configgere con i principi di non discriminazione, di necessità (ragionevolezza) e di proporzionalità: per l’effetto ribadendosi l’illegittimità della gravata determinazione.
Con motivi aggiunti notificati alla controparte e depositati il 2 aprile 2013, parte ricorrente ha, altresì, impugnato:
- la nota prot. 5175 del 17 gennaio 2013, comunicata il 23 gennaio 2013, con cui Roma Capitale – Municipio I Roma Centro Storico – Unità Organizzativa Amministrativa – SUAP, in sede di riesame del provvedimento quale comunicazione di inefficacia della SCIA CA/35517/2012 di apertura di laboratorio di gelateria per il locale sito in via Sant’Andrea delle Fratte n. 13, ha confermato, con nuove motivazioni, la comunicazione di inefficacia;
- del verbale di sopralluogo del 4 maggio 2013 effettuato dalla Polizia Locale di Roma Capitale, richiamato nella suddetta nota del 17 gennaio 2013.
Tale mezzo di tutela, oltre che dall’originaria ricorrente Sant’Andrea Roma 1940 s.r.l., è stato proposto anche da Quelli che il gelato s.r.l., nella persona del legale rappresentante: la quale, nel premettere di essersi resa cessionaria di azienda relativamente alle attività commerciali in precedenza esercitate dalla prima delle indicate società, ha dispiegato intervento ex art. 111 c.p.c. sostenendo il proprio qualificato ed autonomo interesse alla partecipazione al presente giudizio.
Le censure articolate con i suindicati motivi aggiunti riproducono le doglianze già esposte con l’atto introduttivo; e si diffondono, ulteriormente, sui seguenti profili di sostenuta illegittimità degli atti con essi impugnati:
4) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31, comma 2, del decreto legge 201/2011 (convertito, con modificazioni, in legge 214/2011). Eccesso di potere per travisamento ed errore nei presupposti di fatto. Eccesso di potere per carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Eccesso di potere con riferimento all’inesatta applicazione della delibera del Consiglio Comunale n. 36 del 6 febbraio 2006 e della delibera consiliare n. 86/2009. Difetto di istruttoria. Eccesso di potere per contraddittorietà tra più atti amministrativi adottati dalla medesima P.A. Sviamento ed ingiustizia manifesta.
Lamenta in primo luogo parte ricorrente che Roma Capitale abbia omesso di ottemperare, entro il termine assegnato da questa Sezione con ordinanze nn. 3352 del 14 settembre 2012 e 4519 del 12 dicembre 2012, all’ordine di riesame del provvedimento impugnato con l’atto introduttivo.
Evidenzia, poi, che la motivazione addotta a conferma dell’originaria determinazione (piano di intervento per la tutela e la riqualificazione del commercio e dell’artigianato nell’ambito della Città storica, ai sensi della legge regionale 33/1999) non tenga in alcun conto la sopravvenienza normativa integrata dalla ripetuta legge 214/2011.
Soggiunge, inoltre, parte ricorrente che l’Amministrazione comunale ha omesso di apprezzare che la variazione posta in essere non ha riguardato la parte “alimentare” dell’autorizzazione già assentita: per l’effetto escludendosi che sia venuta a cessare una delle attività tutelate, ma soltanto l’attività originariamente prevista per la vendita di articoli da regalo (rispetto alla quale non sarebbe venuto a crearsi alcun vincolo di tutela).
5) Eccesso di potere per carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Eccesso di potere con riferimento all’inesatta applicazione della delibera C.C. 2995/77. Difetto di istruttoria. Difetto di corretta ottemperanza alle statuizioni contenute nell’ordinanza della Sezione Seconda Ter del T.A.R. Lazio n. 3352 del 14 settembre 2012. Sviamento ed ingiustizia manifesta.
Nell’osservare come, a fondamento della determinazione gravata con motivi aggiunti, l’Amministrazione capitolina abbia addotto una prospettazione in fatto precedentemente non esternata, parte ricorrente evidenzia che il richiamo alle disposizioni di cui alle deliberazione consiliare n. 2995/77 sia inconferente, atteso che l’impresa non ha carattere artigianale.
Conclude parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.
L'Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.
La domanda di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato, dalla parte ricorrente proposta in via incidentale, è stata da questo Tribunale accolta con ordinanze n. 3352 e 4519, rispettivamente in data 14 settembre e 12 dicembre 2012.
Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 5 luglio 2013.

DIRITTO

1. Va, in primo luogo, dato atto della piena ammissibilità dell’intervento dispiegato nel presente giudizio, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., da Quelli che il gelato s.r.l., la cui posizione legittimante mutua fondamento dall’essersi tale impresa resa cessionaria di attività aziendale facente originariamente capo alla ricorrente Sant’Andrea Roma 1940 s.r.l.
Il trasferimento dell'azienda o di un ramo d'azienda configura, infatti, una successione a titolo particolare nei rapporti preesistenti che, sul piano processuale, determina, ai sensi dell'art.111 c.p.c., la prosecuzione del processo in corso tra le parti originarie, salvo il diritto del successore a titolo particolare di intervenire nel processo o la possibilità di chiamata in causa dello stesso, atteso che detto trasferimento non determina l'estinzione del cedente: il quale conserva, per espressa disposizione di legge, con l'interesse ad agire e la veste di sostituto processuale dell'acquirente, il potere di esercitare nel processo i diritti di quest'ultimo, fino a quando l'avente causa non abbia esercitato il suo potere di intervento (nonché il potere di impugnazione, fino a quando tale potere non sia stato esercitato dallo stesso avente causa).
La ratio dell'istituto dell'art. 111 c.p.c. (il quale stabilisce che, laddove nel corso del processo, venga trasferito il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il giudizio prosegue tra le parti originarie), è di conservare l'originaria configurazione del litisconsorzio, attraverso la neutralizzazione rispetto al processo di vicende traslative del diritto controverso successive l'instaurazione della lite, ad eccezione di eventi mortis causa rispetto al cui verificarsi, secondo quanto stabilito dal comma 2, il venir meno della parte originaria non può non determinare inevitabili ricadute modificative anche sul piano processuale.
Si tratta, dunque di un principio generale che, con chiaro favore per le parti del processo non interessate da una vicenda traslativa, tende a non aggravarne lo svolgimento, scongiurando quella che, in via logica, avrebbe dovuto risolversi, a prescindersi dalla liberazione ed estromissione dal giudizio del cedente-alienante, in una integrazione del contraddittorio in favore dei soggetti nuovi titolari della res controversa: i quali restano comunque tutelati, sotto il profilo processuale, dalla possibilità di spiegare intervento principale in giudizio (comma 3) e, sotto profilo sostanziale, dall'efficacia diretta della sentenza nei loro confronti (comma 4) (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 29 luglio 2010 n. 17156).
2. Dato come sopra atto dell’estensione dell’ambito soggettivo di rilevanza dell’odierna controversia (e, con esso, dell’area espansiva del giudicato che verrà a formarsi sulla definitiva pronunzia resa in esito al giudizio instaurato), giova procedere ad una necessaria ricostruzione della normativa comunale a presupposto della gravata determinazione recante inefficacia della SCIA presentata dall’originaria ricorrente.
Viene, innanzi tutto, in considerazione la deliberazione consiliare n. 187 del 29 settembre 2003; la quale, all’art. 6 dell’Allegato A, ha stabilito che:
- “sono attività tutelate quelle insediate presso i locali siti nei tessuti T1, T2, T3, T4, T5 ovunque localizzati e T6 localizzati all’interno del Municipio Roma I, nonché nelle aree interessate da Piani di riqualificazione del commercio e dell’artigianato (PRCA) e da Progetti di strada (PDS)”, in cui si svolga una delle attività dalla stessa disposizione dettagliate (tra le quali, alla lett. a), la vendita di “alimentari in forma tradizionale – solo esercizi di vicinato”);
- “qualora venga a cessare una delle attività tutelate, negli stessi locali è consentita l’attivazione esclusivamente di una o più delle medesime attività appartenente al medesimo settore alimentare o non alimentare”;
- “tale vincolo decade nei seguenti casi:
- a) nei locali con destinazione commerciale che siano rimasti inutilizzati da almeno cinque anni in conseguenza dell’espulsione dell’esercente dell’attività tutelata;
- b) nei locali con destinazione commerciale in caso di cessazione, cessione o trasferimento volontari da parte dell’esercente dell’attività tutelata, a condizione che sussista la concomitanza della proprietà dell’azienda e dell’immobile ove l’azienda stessa è situata;
- c) nei locali in cui la o le suddette attività siano esercitate da meno di due anni continuativi, sempre che in precedenza non sia stata svolta un’altra attività tutelata per un periodo che, sommato a quello di attività del nuovo esercizio, non superi complessivamente i due anni”.
Tale deliberato è stato successivamente modificato ad opera della deliberazione consiliare n. 36 del 6 febbraio 2006 (nel senso che la riportata lett. a) del comma 2 dell’art. 6 è stata “riscritta” sopprimendo la locuzione “in forma tradizionale (solo esercizi di vicinato)” ed aggiungendo “fino a mq. 250, in deroga al limite previsto per gli esercizi di vicinato dalla deliberazione del Consiglio Comunale n. 66 del 27 luglio 2001 e successive modificazioni”).
La riportata disposizione ha, poi, formato oggetto di ulteriore intervento manipolativo per effetto della deliberazione di Consiglio Comunale n. 86 del 7-8 ottobre 2009, la quale (sempre con riferimento alla previsione di cui all’art. 6 sopra riportato) ha stabilito che:
- “Sono attività tutelate quelle insediate presso i locali siti nei tessuti T1, T2, T3, T4, T5, ovunque localizzati e T6 localizzati all’interno del Municipio Roma 1 in cui si svolga una delle seguenti attività:
- a) alimentari fino a mq. 150 nelle zone di rispetto di cui all’art. 11 e nei Rioni Pigna, Colonna, Campo Marzio e Santangelo e fino a mq. 250, in forme di esercizio di vicinato, con esclusione di vendita di gelati non confezionati, nel restante territorio della Città Storica, in deroga al limite previsto per gli esercizi di vicinato dalla deliberazione del Consiglio Comunale n. 66 del 27 luglio 2001 e successive modificazioni;
- [omissis];
- Qualora venga a cessare una delle attività tutelate, negli stessi locali è consentita l’attivazione esclusivamente di uno o più delle medesime attività appartenente al medesimo settore alimentare o non alimentare.
- Tale vincolo decade nei seguenti casi:
- a) nei locali con destinazione commerciale che siano rimasti inutilizzati da almeno cinque anni;
- b) nei locali in cui la o le suddette attività siano esercitate da meno di due anni continuativi, sempre che in precedenza non sia stata svolta un’altra attività tutelata per un periodo che, sommato a quello di attività del nuovo esercizio, non superi complessivamente i due anni”.
3. Se il quadro di riferimento tiene conto delle coordinate illustrate al punto che precede, va osservato come la ricorrente abbia esercitato attività nel settore commerciale in virtù di autorizzazione rilasciata il 6 giugno 2002, avente ad oggetto l’esercizio di attività commerciale al dettaglio su una superficie complessiva di mq. 76, 40 dei quali dedicati all’attività nel settore alimentare e la rimanente parte relativa alla vendita di “articoli da regalo”.
Nell’osservare come soltanto la prima di esse (vendita di generi alimentari) rientri nel novero delle attività “tutelate” ai sensi della riportata normativa comunale, si soggiunge che nel febbraio 2012 parte ricorrente ha deciso di modificarla (parzialmente) rimodellandone i contenuti (giusta quanto esplicitato nelle corrispondenti disposizioni statutarie) in:
- commercio di prodotti alimentari:
- produzione e vendita di gelato artigianale, e non, anche da asporto, torte, semifreddi, granite ed altre tipologie di pasticceria.
Tale modificazione veniva esplicitata, al cospetto dell’Autorità comunale, con corrispondente SCIA; mentre con altra segnalazione veniva evidenziata l’apertura – sempre nei locali di via Sant’Andrea delle Fratte – di un laboratorio di gelateria e di un laboratorio di pasticceria.
Interveniva, allora, il provvedimento gravato con l’atto introduttivo del giudizio, con il quale Roma Capitale ha rappresentato di non prendere in considerazione la SCIA in ragione dell’esclusione dell’attività di gelateria artigianale dall’elenco delle attività tutelate ai sensi delle delibere consiliari nn. 26 del 2006 e 86 del 2009, in precedenza riportate.
A seguito della proposizione del presente ricorso, la Sezione – dapprima con ordinanza n. 3352 del 12 settembre 2012; quindi, con ordinanza n. 4519 del 12 dicembre 2012 (quest’ultima, adottata in ragione del perdurante inadempimento prestato da Roma Capitale all’ordine con il primo dei detti provvedimenti impartito) – disponeva che l’Amministrazione capitolina provvedesse ad un riesame della posizione della ricorrente.
Con atto del 17 gennaio 2013 (gravato con i motivi aggiunti illustrati in narrativa), Roma Capitale confermava l’inefficacia, ex art. 19 della legge 241 del 1990, della SCIA presentata da Sant’Andrea Roma 1940, rimarcando la valenza preclusiva a tal fine assunta dal contenuto dei deliberati consiliari nn. 36 del 2006 e 86 del 2009.
Ciò in quanto:
- nel locale sito in via di Sant’Andrea insiste un vincolo di tutela nel settore merceologico alimentare in ragione del pregresso svolgimento ultrabiennale di attività di commercio nel settore anzidetto (a fronte della cessazione della quale, è consentita esclusivamente l’attivazione di una o più delle medesime attività “tutelate”);
- l’attività di laboratorio di gelateria è espressamente esclusa dal novero delle attività di che trattasi ex art. 6 della delibera consiliare n. 36/2006 e punto 1, lett. a) della delibera C.C. 86/2009;
- il sopralluogo effettuato dalla Polizia di Roma Capitale il 4 maggio 2012 evidenziava – in difformità rispetto alla SCIA presentata dalla parte ricorrente – l’attivazione di un laboratorio di gelateria (e non di pasticceria) e l’esercizio di attività di vendita nel settore alimentare.
Va ulteriormente soggiunto che la determinazione comunale in discorso, a premessa delle considerazioni sopra riportate, ha posto in luce che l’Amministrazione capitolina ha adottato i deliberati consiliari precedentemente indicati nel quadro di un “piano di intervento per la tutela e la riqualificazione del commercio e dell’artigianato nell’ambito della Città Storica, considerata di particolare pregio storico-culturale e patrimonio dell’UNESCO … in attuazione a quanto prescritto dalla legge regionale 33/1999”.
4. Come sopra riassunti i contenuti rilevanti della disciplina regolamentare che ha trovato applicazione nella fattispecie, nonché i presupposti fattuali che ne hanno determinato l’applicazione ad opera della competente Autorità comunale, va in primo luogo dato atto dell’improcedibilità del gravame, limitatamente alle determinazioni (in data 7 giugno 2012) impugnate con l’atto introduttivo del giudizio.
Per effetto dell’ordinato riesame della posizione della ricorrente, Roma Capitale ha infatti adottato un provvedimento (in data 17 gennaio 2013) integralmente sostitutivo rispetto alle pregresse determinazioni.
L’interesse dalla parte dedotto in giudizio viene, per l’effetto, ad incentrarsi esclusivamente sull’atto comunale da ultimo adottato (gravato con motivi aggiunti), che produce effetti attualmente pregiudizievoli per la posizione dalla ricorrente vantata (inefficacia/archiviazione delle SCIA presentate da Sant’Andrea Roma 1940): per l’effetto dovendosi dare atto, limitatamente alle determinazioni del 7 giugno 2012, della sopravvenuta carenza di interesse alla delibazione delle censure avverso esse dedotte.
5. Concentrata, per l’effetto, la demandata disamina ai soli motivi aggiunti, non può omettere il Collegio di esaminare il fondamentale nucleo assertivo esposto dalla ricorrente, incentrato sull’affermata incompatibilità della illustrata normativa regolamentare comunale con la normazione primaria che, a far tempo dall’ultimo semestre del 2011, ha puntualizzato l’ambito applicativo del principio (di evidente promanazione costituzionale) della libertà dell’iniziativa economica e di esercizio dell’attività commerciale.
5.1 Non può omettere il Collegio di rammentare che la Sezione, con sentenza 7 luglio 2009 n. 6571, ha avuto modo di rilevare, quanto alla delibera consiliare 6 febbraio 2006 n. 36, che tale normativa regolamentare (cor)rispondeva agli indirizzi della Regione Lazio stabiliti nella delibera 6 novembre 2002 n. 131 del Consiglio Regionale, il cui art. 8 prevedeva che i Comuni potessero introdurre, nei centri storici, limitazioni all’insediamento di attività non tradizionali e/o qualitativamente rapportabili ai caratteri storici, architettonici e urbanistici dei centri medesimi; nonché “ai principi generali e di programmazione di cui alle delibere C.C. 29 settembre 2003 n. 187 e 27 marzo 2002 n. 41”.
Tali disposizioni – viene condivisibilmente osservato nella sentenza ora in rassegna – “si pongono in una linea logica di salvaguardia dei centri storici, nelle connotazioni attive di tradizione, onde evitarne l’abbandono e il conseguente degrado e snaturamento. A monte vi sono le previsioni legislative di massima per la tutela dei centri storici del Lazio mediante localizzazioni di strutture di vendita tradizionali (legge della Regione Lazio n. 33/1999, art. 20), del centro di Roma in particolare (L.R. n. 22/2001) e, a livello statuale con richiamo alle competenze delle regioni, per la tutela dei centri storici attraverso la salvaguardia e la riqualificazione delle attività commerciali e artigianali in grado di svolgere un servizio di vicinato (artt. 6 e 10 del D.Lgs. n. 114/1998)”.
Nell’osservare come “la delibera consiliare n. 36/2006 … non consente un indiscriminato divieto di installazione di nuove strutture di vendita nei centri storici, … ma è intesa alla preservazione delle attività di tradizione, artigianali e commerciali, ad esse riservando i locali ove dette attività sono state svolte per lungo tempo”, la pronunzia di che trattasi si è data carico di valutare la compatibilità delle relative disposizioni con le previsioni legislative introdotte dal decreto legge 4 luglio 2006 n. 223 (convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006 n. 248), recante – fra l’altro – norme per la liberalizzazione del commercio con esclusione della apponibilità di limitazioni quantitative e qualitative di vendita delle merci per gli esercizi autorizzati.
Se la normazione statale del 2006 non ha introdotto previsioni ostative alla tutela delle attività tradizionali nei centri storici (non potendo, conseguentemente, essere invocata per affermare l’illegittimità di disposizioni regolamentari che non escludono l’esercizio nei centri storici di attività diverse da quelle tradizionali, pur riservando a queste ultime i locali in cui erano svolte in precedenza), la Sezione ha poi ritenuto di puntualizzare che a tali fini non rivela valenza ostativa neppure “il principio costituzionale di libertà nell’iniziativa economica privata, la quale deve comunque essere coordinata e indirizzata alle utilità e alle finalità sociali, non potendo svolgersi in contrasto con esse”.
5.2 Le riportate considerazioni – che meritano convinta conferma – hanno incontrato omogeneo riscontro anche da parte del Giudice d’appello.
Con sentenza 10 maggio 2010 n. 2758, la Sezione V del Consiglio di Stato, sempre a proposito della consentita attivazione, nel caso di cessazione delle attività tutelate nelle zone localizzate nel Municipio Roma I – Centro Storico e per un arco temporale quinquennale, di una o più delle medesime attività appartenenti al medesimo settore alimentare o non alimentare, ha ritenuto che il deliberato consiliare n. 36/2006 sia indenne da mende quanto alla presenza “di una base normativa di legittimazione”, nonché con riferimento al “contrasto con i principi, nazionali e comunitari, in materia di liberalizzazione degli esercizi commerciali”; e ciò in quanto:
- “nel perseguire la finalità istituzionale di salvaguardia dei caratteri tradizionali dei centri storici contrastando il rischio di degrado e snaturamento, il Comune ha esercitato una sua competenza che trova alimento nelle previsioni legislative regionali di massima per la tutela dei centri storici del Lazio mediante localizzazioni di strutture di vendita tradizionali (legge della Regione Lazio n. 33/1999, art. 20) e del centro di Roma in particolare (L.R. n. 22/2001); nonché, sul piano statale, nelle disposizioni che richiamano le competenze delle regioni per la tutela dei centri storici attraverso la salvaguardia e la riqualificazione delle attività commerciali e artigianali in grado di svolgere un servizio di vicinato (artt. 6 e 10 del D.Lgs. n. 114/1998)”;
- “gli stessi principi costituzionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa economica e di tutela della concorrenza non escludono che esigenze di tutela di valori sociali di rango parimenti primario possano suggerire condizionamenti e temperamenti al dispiegarsi dei diritti individuali. Detti limiti sono vieppiù costituzionalmente compatibili, oltre che in ragione dei confini temporali che li perimetrano, anche in virtù della considerazione che al titolare dell’esercizio dell’attività cessata non è imposto un puntuale sbarramento merceologico in quanto gli è consentito di intraprendere da subito qualsiasi attività appartenente al medesimo genere, alimentare o non alimentare, di quella venuta meno”;
ulteriormente soggiungendosi che “le misure in esame, senza imporre limitazioni quantitative e qualitative incompatibili con la disciplina nazionale, perseguono la concorrente finalità di tutelare il consumatore garantendo la permanenza, negli ambiti territoriali tutelatiti, di un’offerta variegata di beni e servizi che non sia depauperata di attività tradizionali altrimenti a rischio di estinzione”.
5.3 Se il nucleo assertivo delle pronunzie precedentemente riportate consente, laddove vengano in gioco premianti e preminenti interessi pubblici (rappresentati dalla tutela della caratterizzazione dei centri storici e dalla connesse esigenza di salvaguardarne il tradizionale tessuto sociale ed economico), di validare la compatibilità di una disciplina di regolamentazione delle modalità autorizzative per gli esercizi commerciali con i principi di liberalizzata esercitabilità dell’attività imprenditoriale, omogenee considerazioni assistono l’introduzione del complesso di disposizioni dipanatosi dal decreto legge 138/2011, fino al decreto “Cresci-Italia” 1/2012.
In tal senso, la Corte Costituzionale, investita della verifica di legittimità in ordine alla disposizione di cui all’art. 3, comma 3, del decreto-legge 138 del 2011 (convertito, con modificazioni, dalla legge 148 del 2011), ha rilevato (sentenza 20 luglio 2012 n. 200) che “il Legislatore ha inteso stabilire alcuni principi in materia economica orientati allo sviluppo della concorrenza, mantenendosi all'interno della cornice delineata dai principi costituzionali. Così, dopo l'affermazione di principio secondo cui in ambito economico «è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge», segue l'indicazione che il legislatore statale o regionale può e deve mantenere forme di regolazione dell'attività economica volte a garantire, tra l'altro – oltre che il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari e la piena osservanza dei principi costituzionali legati alla tutela della salute, dell'ambiente, del patrimonio culturale e della finanza pubblica – in particolare la tutela della sicurezza, della libertà, della dignità umana, a presidio dell'utilità sociale di ogni attività economica, come l'art. 41 Cost. richiede. La disposizione impugnata afferma il principio generale della liberalizzazione delle attività economiche, richiedendo che eventuali restrizioni e limitazioni alla libera iniziativa economica debbano trovare puntuale giustificazione in interessi di rango costituzionale o negli ulteriori interessi che il legislatore statale ha elencato all'art. 3, comma 1”.
Con considerazione che si dimostra pienamente espandibile anche alle previsioni di cui ai decreti legge 201/2011 e 1/2012, il Giudice delle leggi ha osservato che “il principio della liberalizzazione prelude a una razionalizzazione della regolazione, che elimini, da un lato, gli ostacoli al libero esercizio dell'attività economica che si rivelino inutili o sproporzionati e, dall'altro, mantenga le normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l'utilità sociale”.
6. L’esclusa presenza di profili di inconciliabilità della regolamentazione comunale all’esame rispetto al quadro normativo di rango primario evocato dalla parte ricorrente induce il Collegio ad escludere che le censure al riguardo dedotte evidenzino elementi di condivisibile fondatezza.
Va, al riguardo, preliminarmente osservato come le disposizioni di cui agli artt. 31 del decreto legge 201/2011 e 1 del decreto legge 1/2012 non abbiano immediata attitudine conformativa, atteso che:
- il comma 2 dell’art. 31 stabilisce che “Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012”;
- il comma 4 dell’art. 1 del decreto 1/2012 ha previsto che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni si adeguano ai principi e alle regole di cui ai commi 1, 2 e 3 entro il 31 dicembre 2012, fermi restando i poteri sostituitivi dello Stato ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione. A decorrere dall'anno 2013, il predetto adeguamento costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi enti …”.
Se, quindi, va esclusa –ratione temporis – la consistenza di una condotta inosservante da parte della resistente Amministrazione comunale quanto alla (eventuale) rimodulazione della disciplina regolamentare riguardante la materia all’esame, va – ancora una volta – ribadita la piena esercitabilità di un potere di regolamentazione, in ragione della tutela degli interessi precedentemente illustrati, delle caratteristiche e/o tipologie delle attività commerciali nell’ambito del Centro storico, anche a fronte della liberalizzata esercitabilità del commercio: dovendo escludersi, da ultimo, che riveli profili ostativi alla persistente vigenza della normazione comunale di che trattasi il principio costituzionale di libertà nell’iniziativa economica privata, la quale – come è noto – deve comunque essere coordinata e indirizzata al perseguimento delle utilità e finalità sociali, non potendo svolgersi in contrasto con esse (art. 41, commi 2 e 3, Cost.).
Nel dare atto, alla stregua dei ribaditi principi in materia elaborati dagli orientamenti giurisprudenziali dei quali si è data contezza, della piena congruità e logicità delle indicazioni promananti dalla regolamentazione in proposito adottata dal Comune di Roma (ora: Roma Capitale), va ulteriormente escluso che la disciplina all’esame evidenzi ricadute distorsive in ragione della (pure sostenuta) sproporzione tra mezzi e finalità perseguite: piuttosto dovendosi confermare la corretta commisurazione delle prescrizioni riguardanti la delimitata esercitabilità delle attività commerciali a fronte della più volte ripetuta esigenza di salvaguardia delle attività “tradizionali” (già) insediate nel Centro Storico di Roma (e, con esse, del tessuto socio-economico di tale area urbana).
7. Escluso, sulla base delle argomentazioni precedentemente esposte, che la formazione comunale riveli profili di confliggenza con la legislazione statale in tema di “liberalizzazione” (dello svolgimento) delle attività commerciali, in ragione del necessario contemperamento di tale principio con interessi di tutela che rivelano preminente attenzione, sì da indurre profili di recessività dello stesso, la disamina va concentrata sulla compatibilità delle attività commerciali di produzione e vendita di prodotti alimentari del genere “gelato artigianale” rispetto al novero delle attività legittimamente esercitabili nel perimetro del Centro Storico della Capitale.
Evoca parte ricorrente, al riguardo, la pronunzia della Sezione n. 2758 del 22 febbraio 2010 (non appellata; e, quindi, assistita da forza di giudicato), con la quale la portata applicativa delle norme regolamentari di cui al deliberato consiliare n. 36 del 2006 sarebbe stata significativamente depotenziata, se non altro in termini di assolutezza dell’operatività del divieto di conduzioni di attività commerciali non rientranti nel novero di quelle “tutelate”.
Nel dare atto della puntuale pertinenza della pronunzia anzidetta rispetto al sottoposto thema decidendum (atteso che la relativa controversia verteva, omogeneamente, sull’apertura di un’attività di gelateria artigianale nel Centro Storico; ed era incentrata sulla contestata legittimità del divieto al riguardo posto dalla delibera consiliare n. 36 del 2006), si rammenta come la Sezione abbia, in tale circostanza, osservato che:
- lo “scopo della delibera del Comune …, … volta alla tutela del Commercio e Artigianato nel centro storico di Roma, nonché delle altre attività di competenza della città storica, con l’obiettivo di salvaguardare le caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi al patrimonio artistico ed ambientale” giustifica l’esercizio di “un potere di controllo sulle attività intraprese particolarmente penetrante da parte dell’amministrazione comunale sui nuovi insediamenti produttivi del centro storico”;
- tale “potere di controllo e di autorizzazione del Comune [deve] essere esercitato nel quadro generale dei principi che governano la materia e nell’ambito delle attività ormai in essere nella città storica e soprattutto tenendo conto delle singole caratteristiche dei locali in cui esse si svolgono, al fine di contemperare l’interesse pubblico al decoro ed alla salvaguardia del centro storico di Roma e l’incomprimibile esigenza degli imprenditori privati che nel centro storico esercitano o vorrebbero esercitare la loro impresa”;
con conseguente illegittimità della “delibera impugnata, … in quanto immotivatamente pone un divieto assoluto per un preciso tipo di attività commerciale, senza tener conto di parametri legati al territorio, o al numero di attività similari già in essere, e si pone in violazione, in primo luogo, del principio del libero esercizio dell’attività imprenditoriale; in secondo luogo appare irragionevole anche in relazione ai criteri succitati volti alla promozione delle attività artigianali rispetto a quelle di carattere industriale”.
A tale riguardo, prosegue la sentenza in rassegna, “l’esercizio del potere di controllo ed indirizzo da parte dell’amministrazione comunale deve esplicarsi secondo criteri di ragionevolezza che impongono di astenersi dal porre divieti assoluti ad alcune categorie di attività commerciali, modificando senza alcuna fase di transizione, il relativo regime autorizzatorio”; facendo inoltre carico a Roma Capitale il rispetto dell’“ambito generale di riferimento normativo che ha introdotto criteri e principi opposti a quelli a cui si è ispirata la delibera in parte qua”.
Nel dare atto come la portata dispositiva della pronunzia all’esame rechi l’annullamento della deliberazione impugnata “nella parte in cui pone il divieto di apertura di nuove gelaterie artigianali nelle zone indicate dalla delibera medesima”, osserva il Collegio come il principio fondamentalmente “estraibile” dalla sentenza 2758 del 2010 non rivela elementi di contiguità con una generalizzata “liberalizzazione” nel Centro Storico delle attività commerciali di che trattasi, come apoditticamente sostenuto dalla difesa della ricorrente.
Piuttosto – ancorché la valenza conformativa della sentenza stessa ben avrebbe potuto inalveare con più puntuali e stringenti indicazioni le coordinate di legittimità dell’attività provvedimentale in materia rimessa all’Amministrazione capitolina – il divieto di che trattasi, sfrondato da una connotazione in termini di (rigida) assolutezza (e, conseguentemente, di indiscriminata attitudine attuativa) va contemperato con un apprezzamento che l’Autorità comunale è chiamata a condurre “caso per caso”, verificando l’eventuale presenza di profili eventualmente ostativi all’insediamento dell’attività commerciale in discorso, necessariamente parametrati sulle esigenze primarie di tutela del Centro Storico correttamente rappresentate dai deliberati consiliari del 2006-2009.
8. Le indicazioni precedentemente fornite meritano ulteriore precisazione, in relazione alla tipologia di attività commerciale “tutelata”, esercitabile nel perimetro del Centro Storico, relativamente alla vendita di gelati.
Nell’osservare come la nozione di “gelateria artigianale” presupponga “l’esistenza e l’uso nell’esercizio di un apposito laboratorio per la produzione propria del gelato” (cfr. T.A.R. Lazio, sez. II-ter, 18 maggio 2011 n. 4311, confermata da Cons. Stato, sez. V, 3442 del 12 giugno 2012), rammenta il Collegio che la Sezione (sentenza n. 9605 del 6 dicembre 2011) abbia, puntualmente, sottolineato che l’attività di vendita di gelato “sfuso” non sempre – e necessariamente – viene a coincidere con l’attività di gelateria “artigianale”.
Infatti (ferma l’attività di vendita al pubblico di gelati confezionati):
- se da un lato è configurabile la “vendita di gelati di produzione artigianale, ma forniti già pronti dalla ditta produttrice in apposite vaschette al fine del mero confezionamento di coni o coppette per il servizio di asporto ai clienti, senza l’intervento di alcuna attività di tipo artigianale, ulteriore e diversa, da parte del titolare” (per la quale il titolo per lo svolgimento di detta attività “è … l’autorizzazione commerciale alla vendita di prodotti del settore alimentare”);
- diversamente, la gelateria artigianale implica “l’esistenza e l’uso nell’esercizio di un apposito laboratorio per la produzione propria del gelato”.
Nel richiamare il contenuto della “deliberazione C.C. n. 86 del 2009 che ha apportato alcune significative modificazioni alla indicata deliberazione C.C. n. 36 del 2006; in particolare aggiungendo al comma 1 dell’articolo 6 la seguente esclusione “a) alimentari … in forme di esercizio di vicinato, con esclusione di vendita di gelati non confezionati …”. la sentenza da ultimo citata ha escluso che l’attività di “vendita di gelato fornito già pronto e da confezionare soltanto per la vendita alla clientela ma non certamente di gelato confezionato nel senso proprio del termine” possa “essere valutata alla stregua di attività tutelata ai sensi della richiamata normativa comunale nella materia”.
9. Quanto sopra premesso, è persuaso il Collegio della fondatezza solo parziale del presente ricorso, per come delimitato (giusta quanto sopra osservato sub 4.) alla sola contestazione del provvedimento reso dall’Autorità comunale in data 17 gennaio 2013.
Rileva, in primo luogo, la difformità per tabulas del contenuto della SCIA presentata dalla parte ricorrente il 22 maggio 2012 (nella quale vengono espressamente indicate, quale “attività esercitata o che si intende esercitare”, la “vendita alimentare” ed il “laboratorio di pasticceria”): laddove, come diffusamente esposto negli atti di parte e come ulteriormente constatato dall’Amministrazione previa effettuazione di sopralluogo, il laboratorio di che trattasi riguarda la “gelateria” e non la “pasticceria”.
Se, alla stregua di quanto sopra posto in evidenza, l’inesatta rappresentazione di fatti di cui alla SCIA non poteva non giustificare la declaratoria, in parte qua, di inefficacia della stessa (correttamente evidenziata da Roma Capitale), va d’altro canto osservato che l’esercizio dell’attività di che trattasi avrebbe necessariamente meritato, alla luce della (parziale) illegittimità del contenuto dell’atto deliberativo n. 36 del 2006, più attento e puntuale approfondimento ad opera dell’Autorità emanante.
Ferma la consentita esercitabilità di attività di vendita di prodotti alimentari, in quanto tutelata nel perimetro del Centro Storico, l’ormai inconfigurabile assolutezza del divieto ex art. 6 per quanto concerne le gelaterie artigianali (ed in tale novero rientra l’attività che la ricorrente si è ripromessa di intraprendere, in quanto assistita da compresente laboratorio di gelateria, pur non indicato nella SCIA) avrebbe dovuto imporre una necessaria valutazione della compatibilità di tale attività:
- nel quadro delle esigenze di tutela precedentemente indicate
- ed alla luce del peculiare contesto rappresentato dalla consistenza e configurazione degli esercizi commerciali insistenti nell’area di via Sant’Andrea delle Fratte
- nonché della connotazione dimensionale dell’esercizio commerciale e dei riflessi sulla preservazione urbanistica e storico-architettonica della zona alla luce del potenziale bacino di utenza servito dalla gelateria in discorso.
L’omesso svolgimento delle ponderazioni descritte consente al Collegio di affermare che – pur ribadita la legittima declaratoria di inefficacia della SCIA, nella parte in cui viene, difformemente da vero, omessa la rappresentazione della creazione di un laboratorio di gelateria – la rinnovata determinazione comunale è inficiata sotto il profilo della omessa e, comunque, inadeguata motivazione in ordine alla eventuale presenza di profili di compatibilità dell’esercizio dell’attività commerciale di vendita di gelato artigianale rispetto alle coordinate che – per effetto della declaratoria di illegittimità del divieto di cui al deliberato consiliare n. 36 del 2006 – impongono, ora, di procedere ad una ponderazione comparativa di interessi.
In altri termini, esclusa la legittimità di un atteggiamento rigidamente preclusivo fondato, esclusivamente, sulla pretesa insuperabilità del divieto all’esercizio di vendita di gelato artigianale, l’Amministrazione avrebbe dovuto darsi carico di una puntuale ricognizione in ordine alla assentibilità del (parziale) mutamento di attività esplicitato dalla ricorrente mediante presentazione di SCIA.
In tal senso, i previsti ambiti di interlocuzione endoprocedimentale ben avrebbero potuto propiziare l’emersione delle (contrapposte) ragioni e degli interessi ad esse presupposti, sì da consentire quel (motivato e) ponderato apprezzamento nel quale risiede il proprium dell’esercizio della discrezionalità in materia rimesso all’Autorità comunale.
Non intende sottrarsi, sul punto, il Collegio all’esame della problematica concernente l’applicabilità della previsione dettata dall’art. 10-bis della legge 241 del 1990, dalla parte ricorrente sollevata con l’atto introduttivo del giudizio e ribadita in sede di presentazione dei motivi aggiunti.
Sia pure in tema di DIA/SCIA riguardante l’esercizio dell’attività edilizia, è stato in giurisprudenza osservato (cfr. T.A.R. Umbria, 19 dicembre 2012 n. 537) che “l’istituto della denuncia di inizio di attività, disciplinato dagli art. 22 e 23 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, evidenzia profili di incompatibilità con le nuove norme di ordine generale dettate in tema di comunicazione (preventiva) dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza; in particolare l'adozione del provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina al privato di non effettuare l'intervento da lui denunciato non deve essere preceduta dalla comunicazione di cui all'art. 10 bis, l. n. 241/1990 ostando in tal senso non solo la circostanza che la denuncia di inizio di attività non può, letteralmente, considerarsi una "istanza di parte", ma anche (e soprattutto) la speciale disciplina della notifica all'interessato dell’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento, contenuta dal comma 6 dell'art. 23 cit., dove già è prevista la motivazione dell'ordine inibitorio e dove viene assicurata una forma di confronto e di tutela del privato, a favore del quale viene comunque fatta salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia”.
L’orientamento del quale si è dato precedentemente conto si innesta su una corrente ermeneutica maggioritaria (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2007 n. 4828; T.A.R. Liguria, 22 febbraio 2010 n. 663 e 19 febbraio 2009 n. 251; T.A.R. Campania, Napoli, 16 luglio 2010 n. 16812, 26 novembre 2008 n. 5651 e 23 maggio 2006 n. 5487; T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Trento, 10 novembre 2008 n. 286; T.A.R. Lombardia, Milano, 17 aprile 2007 n. 1775; T.A.R. Veneto, 12 gennaio 2007 n. 81), che ha ritenuto che la presentazione di una Denuncia di Inizio di Attività edilizia non determini l'apertura di un procedimento ad istanza di parte, ma fondi ex se una posizione favorevole per il privato, per bloccare i cui effetti è però possibile l'intervento negativo della P.A, ma solo nel ristretto arco temporale di gg. 30, rispetto al quale appare incompatibile l'innesto di una ulteriore fase procedimentale riconducibile all'art. 10-bis della legge 241/1990: con la conseguenza che le norme contenute nel Capo III della stessa legge 241 fissano garanzie minime inderogabili che, tuttavia, cedono il passo alle norme contenute in leggi regolanti specifici settori, ove sia prevista una specifica e maggiore tutela in chiave partecipativa per i destinatari del provvedimento finale (come appunto nel caso della D.I.A. prevista dal D.P.R. 380/2001).
Se le coordinate interpretative come sopra esposte inducono ad escludere l’immanenza, a fronte di SCIA, dell’obbligo di comunicazione del preavviso di rigetto, va nondimeno osservato come le rimanenti modalità che assicurano il contraddittorio in ambito endoprocedimentale ben avrebbero potuto consentire l’attivazione di un confronto fra il segnalante e l’Amministrazione preordinato, nell’alveo applicativo della fondamentale coordinata ex art. 97 della Costituzione, all’emersione delle contrapposte ragioni di interesse; e, segnatamente alla luce della valenza non (più) rigidamente preclusiva assunta dal divieto all’esercizio delle gelaterie artigianali nel Centro Storico della Capitale, alla individuazione dei concrete e puntuali elementi sostanziati dalla concreta fattispecie per la quale è controversia.
10. Come sopra delimitata l’accoglibilità del gravame alla sola inadeguatezza motivazionale appalesata dall’atto del 17 gennaio 2013 – ed ulteriormente ribadita la latitudine espansiva dell’apprezzamento discrezionale che l’Amministrazione è chiamata ad esercitare in sede di rieffusione del potere ad essa spettante (sul presupposto, ovviamente, della rinnovata presentazione, ad opera della ricorrente, di SCIA recante descrizione delle attività che si intendono intraprendere conforme alla realtà fattuale) – dispone il Collegio l’annullamento in parte qua della nota prot. 5175 del 17 gennaio 2013, con cui Roma Capitale – Municipio I Roma Centro Storico – Unità Organizzativa Amministrativa – SUAP, in sede di riesame del provvedimento quale comunicazione di inefficacia della SCIA CA/35517/2012 di apertura di laboratorio di gelateria per il locale sito in via Sant’Andrea delle Fratte n. 13, ha confermato, con nuove motivazioni, la comunicazione di inefficacia precedentemente esplicitata con note del 17 giugno 2012.
La complessità della controversia e delle problematiche sottese alla definizione della stessa integrano, ad avviso del Collegio, la presenza di giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:
- dichiara improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l’atto introduttivo del giudizio in relazione ai provvedimenti con lo stesso gravati;
- accoglie, nei termini e nei limiti di cui in motivazione, i motivi aggiunti dalla parte ricorrente successivamente proposti e, per l'effetto, in tali termini e limiti annulla la determinazione di Roma Capitale in data 17 gennaio 2013 con tale mezzo di tutela impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Roberto Politi, Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro, Consigliere

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