Le differenze tra le due figure processuali della sopravvenuta carenza d´interesse e della cessazione della materia del contendere
a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti, Consiglio di Stato
La sopravvenuta carenza di interesse opera solo quando il nuovo provvedimento non soddisfa integralmente il ricorrente, determinando una nuova valutazione dell’assetto del rapporto tra la pubblica amministrazione e l’amministrato; al contrario, la cessazione della materia del contendere si determina quando l’operato successivo della parte pubblica si rivela integralmente satisfattivo dell’interesse azionato. Proprio perché la valutazione dell’interesse alla prosecuzione dell’azione spetta unicamente al ricorrente, la sua carenza può essere conseguenza anche di una valutazione esclusiva dello stesso soggetto, in relazione a sopravvenienze anche indipendenti dal comportamento della controparte (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 11 marzo 2013 n. 1477; id., 31 dicembre 2009 n. 9292). Nella vicenda in trattazione innanzi l Consiglio di Stato e´ tale ultima evenienza che si realizzata in quanto la parte ricorrente, chiedendo di dichiarare la cessazione della materia del contendere, ha dichiarato di non aver più interesse alla prosecuzione dell’azione, imponendo conseguentemente la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse.
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Consiglio di Stato pubblicato in "Gazzetta Amministrativa della Repubblica Italiana"
sabato 27 luglio 2013 07:33 - www.gazzettaamministrativa.it
TESTO DEL PROVVEDIMENTO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal
Comune di Polignano a Mare, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Sartorio, ed elettivamente domiciliato presso il difensore in Roma, via Luigi Luciani, n. 1, come da procura speciale a margine del ricorso;
contro
Gaetano Colacicco e Angela Modugno, rappresentati e difesi dall’avv. Luigi Manzi, ed elettivamente domiciliati presso il difensore in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;
nei confronti di
Vitantonio Giuliani, non costituito in giudizio;
per la revocazione
della decisione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, n. 5759 del 27 ottobre 2011.;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gaetano Colacicco e di Angela Modugno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno 2013 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Petretti, per delega dell'Avv. Sartorio, e Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso il Comune di Polignano a Mare propone istanza per la revocazione della decisione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, n. 5759 del 27 ottobre 2011, con la quale era stato respinto l’appello proposto dal medesimo Comune contro i sigg. Modugno e Colacicco per la riforma della sentenza del Tar Puglia n. 2979 del 14 dicembre 2007.
Davanti al Tribunale Amministrativo per la Puglia, Gaetano Colacicco e Angela Modugno avevano chiesto l’annullamento della concessione edilizia rilasciata al contro interessato Vitantonio Giuliani per la realizzazione di un fabbricato nel centro urbano di Polignano a Mare, unitamente ai precedenti atti, tra cui i pareri endoprocedimentali e la precedente concessione edilizia n. 145 del 26 agosto 1992.
A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, la parte ricorrente aveva lamentato: che nel progetto allegato alla domanda lo stato dei luoghi non era stato rappresentato in modo esatto; e che le opere autorizzate distavano meno di dieci metri dall’edificio antistante; e che dunque erano violate le regole sulle distanze minime stabilite per i cortili ampi e per i patii.
Il ricorso era stato deciso con la sentenza successivamente appellata, la n. 2979 del 2007. In essa, il T.A.R.: aveva ritenuto sussistente il difetto di legittimazione a ricorrere in via principale della sig.ra Modugno;, al contempo aveva convertito l’atto della stessa in intervento ad adiuvandum rispetto al ricorso del coniuge convivente Gaetano Colacicco; aveva rigettato l’eccezione di irricevibilità formulata con riferimento alla concessione edilizia n. 145 del 1992; nel merito, aveva accolto il ricorso per illegittimità della concessione n. 44 del 1995, poiché con essa si violava la distanza minima imposta dall’art. 9 comma 1 del d.m. n. 1444 del 1968, il quale impone il rispetto generalizzato, per gli edifici siti in zone diverse dalla zona A, della distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; erano state assorbite le altre censure.
Contestando le statuizioni del primo giudice, aveva proposto appello il sig. Vitantonio Giuliani, evidenziando: l’inammissibilità del ricorso originario, per mancata impugnativa della concessione n. 145 del 1992; l’inapplicabilità alla fattispecie della norma ex art. 9 comma 1 d.m. 1444/1968, riferendosi tale norma alle costruzioni nuove e non alle sopraelevazioni di edifici esistenti; il fatto che il PRG vigente all’epoca dei fatti faceva unicamente riferimento ai limiti di altezza e non a quelli delle distanze; che sarebbe stata corretta l’applicazione del secondo comma del citato articolo 9, mentre il giudice di prime cure ha aveva erroneamente escluso l’operatività di tale deroga; che il Tar non aveva riconosciuto alla delibera comunale la natura di piano particolareggiato, ma di mero studio urbanistico; che in ogni caso i ricorrenti avrebbero dovuto impugnare in modo congiunto anche il PRG vigente, per contrasto con il d.m. 1444/1968; che la circolare emessa sul tema in causanon avesse aveva natura meramente istruttoria, ma vincolante.
Avverso la stessa sentenza aveva proposto appello anche il Comune di Polignano a Mare, il quale censurava le statuizioni del Tar Puglia sulla base dei seguenti motivi:
- la delibera approvata dalla Regione doveva essere considerata piano attuativo di secondo livello, il quale permetteva di derogare alla regola contenuta nel d.m. 1444/1968, con la relativa fissazione del limite di dieci metri per le distanze. Tale delibera veniva in sostanza considerata strumento esecutivo e non di mero studio, tant’è che nella zona B essa consentiva e consente di derogare a quanto previsto dall’art. 9 cit. relativamente alla distanza tra le pareti finestrate;
- la circolare assumeva valenza vincolante e non istruttoria;
- la sentenza impugnata avrebbe dovuto dichiarare inammissibile o irricevibile il ricorso originario per omessa impugnazione degli atti di pianificazione vigenti e per mancata impugnazione della precedente concessione risalente al 1992.
Nel giudizio di appello, si erano costituite le parti controinteressate, Gaetano Colacicco e Angela Modugno, chiedendo di rigettare il ricorso.
Alla pubblica udienza dell’11 ottobre 2011 i ricorsi erano stati congiuntamente discussi e assunti in decisione e rigettati, con la sentenza oggetto di giudizio revocatorio.
Tutti i motivi di ricorso erano stati, infatti, ritenuti da questa Sezione infondati da questa Sezione ritenuti infondati e dunque non meritevoli di accoglimento.
In particolare, quanto al motivo, comune ad entrambe le impugnazioni, riguardante l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva ritenuto ammissibile la deroga di cui al secondo comma dell’art. 9 d.m. 1444/1968, esso era stato rigettato sulla base del fatto che la norma ex comma 1 del medesimo articolo, posta a tutela di fondamentali esigenze igienico-sanitarie, è da ritenersi tassativa e inderogabile. Dunque qualsiasi previsione regolamentare in contrasto con il limite da essa stabilito era illegittima e andava annullata, o comunque disapplicata, con sostituzione automatica della clausola illegittima con la clausola legale.
Data la incondizionata prevalenza della regola ex art. 9 comma 1 d.m. 1444/1968, erano stati altresì respinti i motivi attinenti: alla mancata impugnazione dello strumento urbanistico vigente all’epoca dei fatti; alla asserita vincolatività della circolare regionale del 1972; ed infine alla natura di strumento urbanistico della delibera regionale del 1974.
Contro la suddetta sentenza n. 5759 dell’11 ottobre 2011, è ora proposto dal Comune di Polignano a Mare ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 106 c.p.a., argomentato sui seguenti motivi:
- il valore cruciale della tesi in ordine ad una supposta inesistenza della deliberazione con cui il Comune di Polignano a Mare aveva approvato un Piano particolareggiato con il quale si derogavaderogatorio, ai sensi dell’art. 9 d.m. 1444/1968, quanto al limite di distanza previsto dal primo comma del suddetto articolo;
- mancata pronuncia sulla natura e sull’interpretazione di tale deliberazione del Consiglio comunale.
Nel corso del giudizio è stata poi presentata dal Comune di Polignano a Mare una istanza per la declaratoria della cessazione della materia del contendere, avendo lo stesso aderito, con deliberazione n. 246 del 23/10/2012, alla transazione intervenuta tra le parti private Giuliani e Colacicco-Modugno mediante la quale questi ultimi, a loro volta, rinunciavano al ricorso introduttivo n. 1784/1995 e all’efficacia esecutiva della sentenza n. 2979/2007 del Tar Puglia.
Alla pubblica udienza del giorno 11 giugno 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. - In via preliminare, osserva la Sezione come non possa darsi seguito alla richiesta di rinuncia presentata dagli originari ricorrentiricorrenti istanti in appello Colacicco e Modugno in relazione all’originario ricorso e all’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, atteso che si tratta di un processo oramai concluso con sentenza passata in giudicato, e quindi in contrasto con l’art. 84 del codice del processo amministrativo, che permette tale opzione solo “in ogni stato e grado della controversia” e quindi non successivamente all’intervenuta decisione definitiva.
Va infatti rammentato come l’attuale vicenda attiene a una fase processuale, come quella della revocazione della sentenza di secondo grado, che interviene ove il giudizio è già terminato e si inquadra tra i mezzi di impugnazione di carattere straordinario, proprio perché non concorrono alla formazione del giudicato, ma lo presuppongono e quindi mirano a porlo nel nulla, derogando così alla regola della immodificabilità ed incontrovertibilità della cosa giudicata.
2. - L’irrilevanza della dichiarazione di rinuncia impone peraltro di procedere alla valutazione dell’istanza proposta dal Comune di Polignano a Mare, il quale ha proposto una istanza per la declaratoria della cessazione della materia del contendere, avendo lo stesso aderito, con deliberazione n. 246 del 23/10/2012, alla transazione intervenuta tra le parti private Giuliani e Colacicco-Modugno mediante la quale questi ultimi, a loro volta, rinunciavano al ricorso introduttivo n. 1784/1995 e all’efficacia esecutiva della sentenza n. 2979/2007 del Tar Puglia.
Sulla scorta di quanto dichiarato, stante l’intervenuta transazione che interviene giunge a chiusura di una vicenda già coperta dal giudicato, la Sezione deve unicamente valutare gli esiti nel giudizio in corso, del quale si è già valutata la natura straordinaria, evidenziando come il fatto in sé non sia in grado di porre nel nulla l’esistenza della sentenza revocanda e quindi non possa essere considerato di natura satisfattiva.
Pertanto, per far assumere un congruo valore all’istanza proposta, questa deve essere necessariamente inquadrata non nella fattispecie della cessata materia del contendere, ma nell’ambito della vicenda limitrofa della sopravvenuta carenza di interesse ai sensi dell’art. 35 comma 1 lett. c) c.p.a..
Le due figure si differenziano tra loro nettamente per la diversa soddisfazione dell’interesse leso. La sopravvenuta carenza di interesse, infatti, opera solo quando il nuovo provvedimento non soddisfa integralmente il ricorrente, determinando una nuova valutazione dell’assetto del rapporto tra la pubblica amministrazione e l’amministrato; al contrario, la cessazione della materia del contendere si determina quando l’operato successivo della parte pubblica si rivela integralmente satisfattivo dell’interesse azionato.
Inoltre, proprio perché la valutazione dell’interesse alla prosecuzione dell’azione spetta unicamente al ricorrente, la sua carenza può essere conseguenza anche di una valutazione esclusiva dello stesso soggetto, in relazione a sopravvenienze anche indipendenti dal comportamento della controparte (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 11 marzo 2013 n. 1477; id., 31 dicembre 2009 n. 9292).
Tale ultima evenienza si realizza proprio nella fattispecie in esame, in quanto la parte ricorrente, chiedendo di dichiarare la cessazione della materia del contendere, ha dichiarato di non aver più interesse alla prosecuzione dell’azione, imponendo conseguentemente la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse.
3. - Il ricorso va quindi dichiarato improcedibile. Le spese possono essere integralmente compensate, come richiesto dalle parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Dichiara improcedibile il ricorso per revocazione n. 3376 del 2012 per sopravvenuta carenza di interesse;
2. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:
Paolo Numerico, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere, Estensore
Umberto Realfonzo, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
G.A. Luglio 2013
Fonte: www.gazzettaamministrativa.it
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