Data: 2013-07-11 04:55:12

Self service prepay 24h su 24h - VINCOLI ILLEGITTIMI T.A.R. Lombardia

Self service prepay 24h su 24h - VINCOLI ILLEGITTIMI
T.A.R. Lombardia Brescia, Sezione II, 11 giugno 2013 n. 560

FATTO

Riferisce la Società ricorrente di essere titolare dell’autorizzazione relativa all’attività di vendita di carburante sita in Costa Volpino. Nel maggio 2012 decideva di trasformare la gestione dell’impianto in modalità “self service 24 ore” senza l’ausilio dell’operatore (impianto c.d. Ghost), e notiziava di questo proposito il Comune. In data 09/05/2012, l’amministrazione avvertiva che per detta tipologia era necessaria un’autorizzazione espressa, cosicché la ditta Morzenti Antonio si adeguava e trasmetteva l’istanza per l’emissione del titolo abilitativo. Dopo una richiesta di integrazione documentale, puntualmente soddisfatta, il 9/8/2012, si teneva la Conferenza di servizi (doc. n. 11), all’esito della quale il Responsabile dello sportello unico per le attività produttive denegava il rilascio del provvedimento autorizzatorio “in quanto esistono altri impianti a distanza stradale inferiore a quattro chilometri dall’impianto oggetto di richiesta di modifica e pertanto non viene rispettata la condizione indispensabile prevista dall’art. 88, comma 3, lett. c)” (cfr. atto impugnato 10/8/2012).
Riferisce parte ricorrente che il motivo supportante il diniego è la contrarietà della domanda alle statuizioni dell’art. 88 comma 3 lettera c) della L.r. 2/2/2010 n. 6, che così dispone:
“Sono soggette a preventiva autorizzazione del Comune territorialmente competente le seguenti modifiche degli impianti di distribuzione carburanti:
c) trasformazione di impianto da servito in impianti di cui all’art. 82, comma 1, lettera f) (impianti self service 24h su 24h, n.d.e.): l’autorizzazione può essere rilasciata, anche in deroga ai vincoli stabiliti dalla presente legge, esclusivamente nei Comuni appartenenti alle comunità montane e nei piccoli Comuni di cui alla L.R. n. 11/2004, a condizione che non esistano altri impianti a distanza stradale inferiore a quattro chilometri dall’impianto che si prevede trasformare …”.
Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione, parte ricorrente impugna l’atto in epigrafe, deducendo quale articolato motivo di diritto la violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 83-bis commi 117 e 118 del D.L. 25/6/2008 n. 112, in relazione agli artt. 49 e 54 del TFUE, dell’art. 17 della Costituzione, dell’art. 1 commi 1 e 2 (prima parte) della L. 5/6/2003 n. 131 e dell’art. 10 della L. 62/53 in quanto:
• nel 2008 la Commissione Europea (doc. n. 13) ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia a causa delle restrizioni nazionali nel settore della distribuzione di carburante al dettaglio (ed in particolare in materia di distanze minime per l’apertura di stazioni di servizio), che rendevano estremamente difficile l’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato;
• in data 27/11/2008, la Commissione archiviava il procedimento di infrazione (doc. 14), grazie all’adozione della L. 133/2008 (articolo 83 bis, paragrafi da 17 a 20) “che ha eliminato tutte le restrizioni indicate di seguito e contestate dalla Commissione nel suo parere motivato del 27 giugno 2007 (cfr. IP/07/90 e IP/08/341):
1. la condizione che subordinava l’apertura di nuove stazioni di servizio al rispetto delle condizioni di programmazione (locale) del mercato;
2. gli obblighi strutturali imposti alle nuove stazioni di servizio: superficie minima dei nuovi impianti (variabile da 200 a 4000 m2) e presenza di attività commerciali integrative (attività “non oil”);
3. le distanze minime tra stazioni di servizio (comprese tra 200 metri e 10/15 km);
4. le restrizioni relative agli orari di apertura (in particolare la condizione della chiusura preliminare di 7.000 impianti per consentire l’adozione di orari più flessibili);
5. l’autocertificazione corredata di una relazione giurata di un professionista iscritto al registro italiano”;
• l’art. 83-bis comma 17 del D.L. 25/6/2008 n. 112 (modificato dall’art. 17 comma 5 del D.L. 24/1/2012 n. 1 conv. in L. 24/3/2012 n. 27) infatti dispone che “Al fine di garantire il pieno rispetto delle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e di assicurare il corretto e uniforme funzionamento del mercato, l’installazione e l’esercizio di un impianto di distribuzione di carburanti non possono essere subordinati alla chiusura di impianti esistenti né al rispetto di vincoli, con finalità commerciali, relativi a contingentamenti numerici, distanze minime tra impianti e tra impianti ed esercizi o superfici minime commerciali o che pongono restrizioni od obblighi circa la possibilità di offrire, nel medesimo impianto o nella stessa area, attività e servizi integrativi o che prevedano obbligatoriamente la presenza contestuale di più tipologie di carburanti, ivi incluso il metano per autotrazione, se tale ultimo obbligo comporta ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalità dell’obbligo”. Il comma 18 testualmente recita: “Le disposizioni di cui al comma 17 costituiscono principi generali in materia di tutela della concorrenza e livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione”;
• la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (terza sezione), con sentenza 11 marzo 2010 resa nel procedimento C-348/08, ha così statuito: “L’art. 43 CE, letto in combinato disposto con l’art. 48 CE, deve essere interpretato nel senso che una normativa di diritto interno, che prevede distanze minime obbligatorie fra gli impianti stradali di distribuzione carburanti, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento sancita dal trattato”;
• in applicazione degli artt. 117, commi 1 e 3 della Costituzione, dell’art. 1 commi 1 e 2 (prima parte) della L. 5/6/2003 n. 131, dell’art. 10 della L. 10/2/1953 n. 62, devono ritenersi abrogate e non più applicabili le norme dettate in materia dalla Regione Lombardia che prevedono distanze minime obbligatorie fra gli impianti stradali di distribuzione carburanti;
• la circostanza che, nella specie, si controverta non di un nuovo impianto ma della trasformazione di un impianto esistente non sposta la questione, sussistendo le medesime ragioni giuridiche e di fatto dirette ad escludere la presenza dei motivi imperativi di interesse generale.
Secondo parte ricorrente anche la normativa della Regione Lombardia (art. 88 comma 3 lett. “c” della L.r. 2/2/2010 n. 6) – nella parte in cui subordina il rilascio dell’autorizzazione per la trasformazione di un impianto da “servito” a “self service 24 h su 24 h” – costituisce violazione dell’art. 49 del T.F.U.E. in relazione a quanto disposto dall’art. 83-bis commi 17 e 18 del D.L. 25/6/2008 n. 112, e deve intendersi abrogata. Parte ricorrente mira, oltre all’annullamento dell’illegittimo diniego, alla condanna del Comune di Costa Volpino all’emanazione dell’atto ampliativo.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale, chiedendo la reiezione del gravame. Osserva in particolare che la Regione Lombardia, ritualmente sollecitata, ha chiarito (doc. 14) che soltanto al di fuori dei centri abitati sono ammessi gli impianti funzionanti in modo continuativo in modalità non assistita (art. 18 del D.L. 1/2012), e la ditta Morzenti intende collocare il proprio self service all’interno del Centro abitato. Sostiene che la libertà di stabilimento sancita agli artt. 49 e 54 del TFUE consiste nella possibilità di costituire e gestire un'impresa (o intraprendere una qualsiasi attività economica) in un Paese dell'Unione Europea, e che la stessa viene lesa subordinando l'apertura di un nuovo impianto di distribuzione carburanti al rispetto di una distanza minima rispetto ad un altro già esistente: ciò non si verifica, invece, in caso di semplice modifica (da “servito” a “ghost”) di un impianto esistente, dal momento che il gestore al quale non è permesso di trasformare il proprio impianto in modalità self-service prepagato 24h su 24h senza la presenza di un operatore durante l'orario di apertura, può sempre continuare ad erogare il servizio in modalità assistita.
Con ordinanza in data 4/9/2012 n. 440 questo Tribunale ha respinto l’istanza cautelare di sospensione dell’atto impugnato, e al contempo ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Regione Lombardia. Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 484 resa dalla sez. V in data 11/12/2012, ha accolto l’appello ai soli fini della sollecita fissazione del merito da parte del T.A.R.
La Regione, costituitasi in giudizio, ha precisato di aver inoltrato alla Commissione UE il documento ufficiale contenente l’enucleazione del motivo imperativo di interesse generale: si tratta in particolare della tutela dell’occupazione dei gestori degli impianti di distribuzione carburanti in determinate aree, nonché della salvaguardia dei consumatori delle aree svantaggiate (cfr. documento notificato - allegato 3).
Alla pubblica udienza del 9/5/2013 il gravame è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

DIRITTO

La ricorrente censura il provvedimento comunale che ha negato l’autorizzazione alla trasformazione dell’impianto di distribuzione carburante sito in via Piò da “gestito” a “self service prepay 24h su 24h” (cosiddetto ghost).
1. E’ pacifico che il dato ostativo al rilascio dell’atto abilitativo è rappresentato dalla previsione legislativa regionale (art. 88 comma 3 lett. “c” della L.r. 2/2/2010 n. 6 come sostituita dall’art. 2 comma 1 lett. “o” della L.r. 22/11/11 n. 19) che ammette la trasformazione di impianti da “servito” a “ghost”“nei Comuni appartenenti alle comunità montane e nei piccoli comuni … a condizione che non esistano altri impianti a distanza stradale inferiore a quattro chilometri dall'impianto che si prevede di trasformare”, mentre l’art. 18 del D.L. 24/1/2012 n. 1 conv. in L. 24/3/2012 n. 27 (recante aggiunte all’art. 28 comma 7 del D.L. 6/7/2011 n. 98 conv. in L. 15/7/2011 n. 111) statuisce che “Nel rispetto delle norme di circolazione stradale, presso gli impianti stradali di distribuzione carburanti posti al di fuori dei centri abitati, quali definiti ai sensi del codice della strada o degli strumenti urbanistici comunali, non possono essere posti vincoli o limitazioni all'utilizzo continuativo, anche senza assistenza, delle apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato”.
Dalle disposizioni succitate deriva che, all’interno del Centro abitato di Costa Volpino, il mancato rispetto della distanza minima (4 Km.) dagli impianti esistenti preclude la trasformazione da “servito” a “ghost”.
2. Ai sensi dell’art. 26 paragrafo 2 TFUE “il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali …”. Gli artt. 49 e 56 del TFUE, a loro volta, sanciscono la libertà di stabilimento e il diritto alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione Europea e – al pari di tutte le disposizioni del Trattato predetto – hanno efficacia diretta e sono suscettibili di applicazione immediata ed incondizionata negli ordinamenti di tutti gli Stati membri (cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia – 29/9/2011 n. 610; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III – 18/1/2012 n. 93).
Nell'ambito della materia della libera prestazione dei servizi, assume rilevanza la direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 (c.d. direttiva Bolkestein) relativa ai servizi nel mercato interno. In particolare l’attenzione va focalizzata sull’art. 15 il quale prevede al comma 2 che “Gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico subordina tra l’altro l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio al rispetto dei requisiti non discriminatori” quali (lett. a) “ restrizioni quantitative o territoriali sotto forma, in particolare, di restrizioni fissate in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra prestatori”. Il comma successivo statuisce che “Gli Stati membri verificano che i requisiti di cui al paragrafo 2 soddisfino le condizioni seguenti:
a) non discriminazione: i requisiti non devono essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le società, dell’ubicazione della sede legale;
b) necessità: i requisiti sono giustificati da un motivo imperativo di interesse generale;
c) proporzionalità: i requisiti devono essere tali da garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito; essi non devono andare al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo; inoltre non deve essere possibile sostituire questi requisiti con altre misure meno restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato (...)”.
La direttiva predetta è stata recepita nel nostro ordinamento con l'art. 12 del D. Lgs. 26/3/2010 n. 59 recante “Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi del mercato interno”. In tal modo hanno trovato ingresso nel diritto nazionale i principi comunitari di liberalizzazione dei servizi interni, intendendosi per "servizi" tutte le prestazioni anche a carattere intellettuale svolte in forma imprenditoriale o professionale, fornite senza vincolo di subordinazione e normalmente dietro retribuzione.
Dopo aver sottolineato in termini generali (art. 10) che “Nei limiti del presente decreto, l'accesso e l'esercizio delle attività di servizi costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica e non possono essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie”, l’art. 12 puntualizza al comma 1 che “Nei casi in cui sussistono motivi imperativi di interesse generale, l'accesso e l'esercizio di una attività di servizio possono, nel rispetto dei principi di proporzionalità e non discriminazione, essere subordinati al rispetto …” di taluni requisiti, tra i quali si rinvengono (lett. a) le “restrizioni quantitative o territoriali sotto forma, in particolare, di restrizioni fissate in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra prestatori”. Il comma successivo dispone poi che “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 11 [divieto di imporre requisiti discriminatori], le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alla legislazione riguardante i servizi di interesse economico generale per i quali non sono previsti regimi di esclusiva, nella misura in cui ciò non sia di ostacolo alla specifica missione di interesse pubblico”.
3. In buona sostanza, la normativa nazionale attuativa della c.d. direttiva Bolkestein prescrive che soltanto “motivi imperativi” – quali per esempio la sanità pubblica, la tutela dei consumatori e la protezione dell'ambiente – giustificano l'applicazione di regimi di autorizzazione e altre restrizioni, che non possono in ogni caso rappresentare ostacoli o barriere alla libera circolazione dei servizi e alla libertà di stabilimento (cfr. T.A.R. Trentino Alto Adige Trento – 22/2/2013 n. 69). Nel settore che ci riguarda, la disciplina nazionale relativa all'installazione di impianti di carburante e, in particolare, quella relativa agli obblighi di distanze minime (D. Lgs. 32/98 e legislazione regionale attuativa) è stata sottoposta a scrutinio del giudice comunitario in relazione alle norme ed ai principi posti a tutela della libertà di stabilimento (cfr. Corte di Giustizia – sentenza 11/3/2010 n. 384/08, Attanasio Group). Dopo aver sottolineato che “La realizzazione di impianti stradali di distribuzione di carburanti rientra nella nozione di «stabilimento» ai sensi del Trattato. Tale nozione è molto ampia e implica la possibilità, per un cittadino dell’Unione, di partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal suo Stato di origine e di trarne vantaggio (par. 36)”, la pronuncia ha interpretato l'art. 43 CE (oggi art. 49 TFUE) – in combinato disposto con l'art. 48 CE (oggi art. 54 TFUE) – nel senso che una normativa di diritto interno, come quella italiana, che prevede distanze minime obbligatorie fra gli impianti stradali di distribuzione di carburanti, costituisce una restrizione della libertà di stabilimento sancita dal trattato: “Una disciplina del genere, infatti, che si applica unicamente ad impianti nuovi e non ad impianti già esistenti prima dell’entrata in vigore della medesima, pone condizioni all’accesso all’attività della distribuzione di carburanti e, favorendo quindi gli operatori già presenti sul territorio italiano, è idonea a scoraggiare, se non ad impedire, l’accesso al mercato italiano degli operatori provenienti da altri Stati membri” (cfr. par. 45).
I motivi imperativi di interesse generale costituiscono una categoria di formazione giurisprudenziale equiparata alle “ragioni di pubblico interesse” ed esemplificata attraverso l'elencazione di valori di ampio spettro: dall'ordine pubblico alla sicurezza pubblica, al perseguimento degli obiettivi sociali e culturali (Consiglio di Stato, sez. V – 13/2/2013 n. 865).
Come ben evidenziato dal Consiglio di Stato (cfr. sentenza sez. V – 15/2/2013 n. 940), nella fattispecie esaminata dalla Corte di Giustizia i motivi imperativi di interesse generale non sono stati ritenuti idonei a giustificare restrizioni alla concorrenza dato che:
“a) i limiti rinvenibili nella normativa italiana a tutela della salute, dell'ambiente, della sicurezza stradale non sono adeguati e proporzionati posto che si applicano solo ai nuovi impianti di distribuzione e non a quelli preesistenti;
b) i controlli per la tutela dei su indicati interessi pubblici possono essere efficacemente demandati al concreto riscontro dell'autorità competente, senza inadeguate limitazioni generali basate sul calcolo delle distanze;
c) la tutela dei consumatori, sub specie di "razionalizzazione del servizio reso agli utenti della rete distributiva", costituisce un motivo economico e non un motivo imperativo di interesse generale;
d) in ogni caso tale "razionalizzazione" si rivela, su piano pratico, un espediente per favorire gli operatori già presenti sul territorio”.
4. Nella fattispecie affrontata in questa sede, la difesa regionale ha richiamato la comunicazione effettuata alla Commissione UE a sostegno della previsione legislativa. In particolare, la Regione ha affermato che il motivo imperativo consiste nella “… tutela dell’occupazione dei gestori degli impianti di distribuzione carburanti. E quindi il perseguimento di obiettivi di politica sociale e occupazionale in determinate aree”. Nella motivazione dettagliata (par. 11) si specifica che la disposizione “non introduce regole discriminatorie in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le Società, dell’ubicazione della sede legale”, “è necessaria per salvaguardare l’occupazione dei gestori degli impianti di distribuzione carburanti, a maggior ragione nell’attuale periodo di crisi economica con ricadute negative anche nel settore dei servizi” (la categoria è stata già pesantemente penalizzata dalle politiche statali con il D. Lgs. 32/98) ed “è proporzionale all’obiettivo perseguito in quanto ammette il servizio non assistito nelle zone svantaggiate del territorio …”.
Detta giustificazione non appare al Collegio convincente, dato che – come già sottolineato – le considerazioni di natura economica non sono sussumibili tra i motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare la limitazione di una libertà fondamentale garantita dal Trattato. Se il sostegno all’occupazione assume rilevanza fondamentale nelle politiche dei paesi membri dell’UE, detta finalità non può estrinsecarsi in indebite restrizioni al pieno sviluppo della concorrenza, con la precostituzione di una nicchia di mercato per gli operatori esistenti: il disegno che mira a favorire (o quanto meno a sostenere) le attività già avviate realizza uno squilibrio nell’andamento delle dinamiche economiche, che rischia di perpetuare disfunzionalità e marginalizzare iniziative imprenditoriali utili per la collettività. Si richiama al riguardo il parere espresso dal Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato Prof. Giovanni Pitruzzella nel corso dell’audizione del 4 aprile 2012 alla X^ Commissione del Senato (e riguardante il D.L. 24/3/2012 n. 29 recante integrazioni al decreto “liberalizzazioni” n. 1/2012 e il decreto “consolidamento conti pubblici” n. 201/2011). Dopo aver apprezzato “le significative innovazioni pro-concorrenziali che sono state introdotte in materia di regolamentazione delle libere professioni, di energia elettrica, di gas naturale, di servizi pubblici locali e di Autorità di regolamentazione dei trasporti”, il garante aggiunge che “Tuttavia, le cronache di questi mesi continuano a mettere in risalto una vera e propria “emergenza dei prezzi dei carburanti” in relazione alla quale occorre, a nostro avviso, dare un segnale forte alle imprese e ai cittadini. Per quanto si siano fatti numerosi passi in avanti nel processo di riforma delle rete distributiva dei carburanti – da un lato rimuovendo gli ostacoli all’uscita di impianti inefficienti e creando le condizioni per una maggiore indipendenza di una quota crescente di impianti di distribuzione dalle società petrolifere, dall’altro, migliorando le informazioni al consumatore sui prezzi dei carburanti – non può non rilevarsi, quanto agli impianti completamente automatizzati (cd. full ghost), che appare critica la limitazione alle sole aree extraurbane, prevista dal decreto “liberalizzazioni” (art. 18). Ciò in quanto, fuori dai centri abitati, gli impianti in genere sono molto grandi (spesso nuovi), con infrastrutture per la vendita di prodotti non oil e dunque non particolarmente indicati per la modalità ghost (limitare alle sole aree extraurbane questa tipologia di impianti potrebbe dunque rivelarsi una norma priva di riscontro pratico)”.
In buona sostanza, non pare degno di positivo apprezzamento il risultato prodotto dalla disposizione contestata la quale, al fine di favorire gli operatori storici, ostacola nei fatti l’introduzione di sistemi di gestione più economici, che permetterebbero all’utente di beneficiare di costi inferiori per il rifornimento di carburante: la penalizzazione per i consumatori è evidente, e il vulnus arrecato non è bilanciato dall’interesse di categoria al mantenimento di una quota di mercato ex lege (peraltro in conflitto con il valore comunitario primario della concorrenza).
5. L’amministrazione comunale ha osservato che la disposizione intende tutelare il bacino di utenza che risulterebbe assai svantaggiato da una totale "selfizzazione prepay" degli impianti, ossia in particolare disabili, soggetti anziani o, più in generale, tutte le persone che, anche solo per comodità, privilegiano rifornirsi presso l'impianto di distribuzione carburanti collocato nelle vicinanze, facendosi assistere dal relativo personale durante l'orario di apertura.
Detta finalità appare in astratto idonea a supportare la previsione di garantire, in piccole realtà come quella di Costa Volpino, un servizio di pubblica utilità completo, sicuro e capace di assicurare un “confort minimo” ai cittadini. Si concorda con l’obiezione per cui questa qualità verrebbe sicuramente meno laddove ciascun impianto del centro urbano funzionasse in modalità self-service prepagato 24h su 24h. Tale eventualità, però, è stata smentita dall’attestazione resa dalla difesa comunale nel corso dell’udienza pubblica di discussione della causa, dal momento che risultano presenti – lungo arterie non lontane da Via Piò ad una distanza variabile tra 1,9 Km e 2,3 Km. – altri 3 distributori di carburante che contemplano la presenza del gestore (TOTAL Gratacasolo, AGIP Pisogne, IP Costa Volpino): ne deriva che l’utenza “debole” può senza sforzi eccessivi raggiungere detti impianti (uno dei quali ubicato proprio a Costa Volpino) per rifornirsi in comodità e sicurezza.
6. Estranea alla finalità di sicurezza stradale, di tutela ambientale e della salute risulta la previsione limitativa di cui si discorre. Siamo, infatti, di fronte a un impianto funzionante, ubicato nel territorio in una determinata posizione, e destinato semplicemente a subire una modifica. Gli indicati scopi sottesi alle distanze minime potrebbero essere raggiunti con adeguate prescrizioni tecniche – capaci di assicurare adeguati standard minimi di sicurezza – e con il potenziamento dei controlli “a valle”. Sotto altro punto di vista, l’ostacolo alla trasformazione di un impianto esistente – contrariamente a quanto opina la difesa comunale – lede ugualmente la libertà di stabilimento poiché se è vero che l’operatore è già insediato sul territorio, gli viene impedito di armonizzare la propria strategia imprenditoriale – elaborata con considerazioni economiche e vagliando le opportunità di investimento – alle variabili di mercato, con una restrizione incomprensibile della piena espansione della libertà economica, che si traduce anche nel mantenimento dell’attività sul territorio a condizioni e secondo modalità maggiormente convenienti.
7. In conclusione il ricorso è fondato e merita accoglimento, in quanto la previsione legislativa è in contrasto con i principi del trattato e della direttiva “Bolkestein” e deve essere disapplicata dall’amministrazione procedente. Quest’ultima è tenuta a riesaminare la domanda e ad adottare l’atto finale del procedimento alla luce delle statuizioni di questo Tribunale.
La natura interpretativa della pronuncia giustifica la compensazione integrale delle spese di causa tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere
Stefano Tenca, Consigliere, Estensore

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