Data: 2013-07-06 07:57:17

SUAP, DPR 160/2010, paesaggistica e genio civile - SENTENZA T.A.R.

SUAP, DPR 160/2010, paesaggistica e genio civile - SENTENZA
T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 7 giugno 2013 n. 397
FATTO

Nell’odierno giudizio sui due ricorsi in epigrafe, i sigg.ri Sorrenti e Morgante, consiglieri comunali di minoranza, l’associazione ETHOS e l’Associazione ITALIA NOSTRA ricorrono contro il Comune di Villa San Giovanni e nei confronti della società ECO s.r.l. e dello Sportello Unico Attivita’ Produttive (SUAP) del Comune di Reggio Calabria, per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale di Villa San Giovanni n.11 del 7.02.2012 (pubblicata all’Albo pretorio per 15 gg. a far data dal 15.02.2012 e ripubblicata per la durata di gg. 30 a far data dal 19.03.2012, ancora non pubblicata sul Bur Calabria), avente ad oggetto l’approvazione della proposta della Eco s.r.l. per la realizzazione di un complesso turistico in località Serro La Torre Cannitello in variante allo strumento urbanistico, adottata in esecuzione della Sentenza n.672 del 12.08.2011 del TAR per la Calabria - Sezione staccata di Reggio Calabria.
In entrambi i ricorsi si premette che:
- Con delibera del Consiglio Comunale n.48 del 22/12/2004 il Comune di Villa San Giovanni aderiva allo Sportello Unico (Associato) delle Attività Produttive del Comune di Reggio Calabria.
- In data 27/12/2005, la ECO srl presentava istanza presso lo Sportello Unico delle Attività Produttive di Reggio Calabria, per la realizzazione, su un area di proprietà di circa 280.000 mq, di un complesso turistico - alberghiero in località Serro La Torre Cannitello del Comune di Villa San Giovanni, in variante allo strumento urbanistico vigente (che qualifica l’area come zona agricola).
- Veniva svolto il procedimento istruttorio da parte della SUAP, tramite conferenza dei servizi ex art.5 del DPR 447/98, per esaminare la conformità del progetto alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro, ed all’esito dei lavori il Responsabile SUAP trasmetteva gli atti al Comune di Villa San Giovanni per il provvedimento “d’impulso” di competenza del Consiglio Comunale, previsto dall’art. 14, comma 2, della L.R. 19/2002,.
- Con delibera n.18 del 17/05/2006 il Consiglio Comunale di Villa San Giovanni si determinava nella direzione di “dare impulso” allo Sportello Unico della Attività Produttive, al fine di istruire la proposta progettuale della ECO srl per la realizzazione del complesso turistico-alberghiero.
- Su ricorso della proponente ECO srl, il TAR con sentenza n. 1255/2007 condannava lo Sportello Unico delle Attività Produttive a concludere il procedimento, fornendo riscontro, entro 30 giorni, all’Impresa richiedente sulla domanda presentata; la sentenza veniva appellata, ma il Consiglio di Stato dichiarava cessata la materia del contendere (sentenza n.2409/2008), in quanto nelle more del giudizio con delibera n.40 del 22 dicembre 2007 il Consiglio Comunale si era espresso per il rigetto delle pratiche presentate tramite Suap.
- Tale ultima delibera veniva impugnata avanti il TAR di Reggio Calabria, che con sentenza n. 276/2008 del 7 maggio 2008 lo accoglieva in parte, disponendo l’annullamento della citata delibera consiliare n.40 del 22.12.2007, censurata perché viziata da “eccesso di potere”, per avere considerato la cosiddetta “delibera d’impulso” quale mera proposta di variante, nonché per avere erroneamente affermato che il procedimento seguito dallo Sportello Unico fosse quello semplificato di cui all’art.4 del D.P.R. 447/98, in luogo di quello previsto dal successivo art.5; con decisione n. 2184/2009 il Consiglio di Stato, Sezione IV, a parziale riforma della sentenza di primo grado, affermava che “ […] la delibera n. 18 del 2006 non aveva manifestato l’intendimento del Consiglio Comunale di adottare formalmente una variante al piano regolatore, né di esaurire le proprie valutazioni – o quelle di altre autorità – nell’ambito del procedimento a suo tempo attivato […] Più limitatamente, il Consiglio Comunale si era limitato a dare una valutazione favorevole della iniziativa della società”. In via incidentale, inoltre, la stessa Sezione accoglieva il ricorso della Eco srl per violazione dell’art. 7 della L. 241/90 sul procedimento amministrativo, poiché “ […] La delibera n. 40 del 2007, nel ‘rigettare le proposte progettuali in variante al prg’, e nel ‘sospendere’ la precedente deliberazione di impulso n. 18 del 2006, in sede di riesame ha in sostanza disposto la revoca di tale delibera, di cui ha fatto cessare gli effetti in base ad una valutazione opposta a quella precedente. Essa, pertanto, doveva essere preceduta dall’avviso di avvio del procedimento di riesame per consentire alla società di rappresentare le proprie ragioni, e affinché vi fosse una compiuta valutazione degli interessi in conflitto e di quelli pubblici da soddisfare”, con ciò riconoscendo – secondo parte odierna ricorrente - la legittimità, nel merito, della delibera n.40/2007 ancorchè viziata da difetto di partecipazione al procedimento.
- A seguito della sentenza 2184/2009 del Consiglio di Stato, con provvedimento diretto al Comune di Villa San Giovanni, prot. n.86835 del 12/05/2009, il Responsabile dello Sportello Unico di Reggio Calabria rinnovava “la dichiarazione di conclusione favorevole del procedimento unico semplificato, relativo al progetto denominato Parco dei Falchi e relativo all’autorizzazione per la realizzazione di un complesso turistico - alberghiero in località Serro la Torre di Villa San Giovanni”.
- In data 9/07/2009 il Commissario Straordinario (nominato dopo lo scioglimento del consiglio comunale per le dimissioni nel maggio 2009 di undici consiglieri) adottava la delibera n.32, comunicando alla parte l’avvio, ai sensi dell’art. 7 della L. 241/90, del procedimento diretto alla determinazione della richiesta della ECO srl (preavviso di rigetto) e con successiva delibera n.75 del 18/12/2009 il medesimo Commissario Straordinario concludeva il procedimento con il rigetto della proposta progettuale della ECO srl in variante al Prg.
- La proponente ECO srl impugnava la deliberazione n.75 del 18/12/2009 del Commissario Prefettizio avanti il Tar, che accoglieva il ricorso annullandola con sentenza n.672/2011, per difetto di motivazione e con prescrizioni circa la riedizione dell’atto.
- Con delibera n.11 del 7.02.2012 il Consiglio Comunale, all’unanimità dei presenti (ovvero, evidenzia parte ricorrente, all’unanimità della sola maggioranza presente in aula, in quanto la minoranza - con la sola eccezione del consigliere di Villa democratica Giancarlo Melito, astenutosi – abbandonava i lavori prima della messa ai voti del punto all’ordine del giorno relativo all’approvazione della variante oggi oggetto di causa), approvava il progetto, asserendo di volersi attenere alle prescrizioni imposte dal TAR con sentenza 672/2011.
Tale delibera è impugnata con entrambi i ricorsi, con i quali sono proposte le medesime censure di:
(I) Violazione dell’art. 5 comma 3 del DPR 357/97 come modificato dall’art. 6 comma 3 del DPR 120/03. Violazione della Legge regionale n.10 del 2003. Violazione dell’obbligo di effettuare la Valutazione di Incidenza – Contraddittorietà di atti amministrativi;
(II) Violazione delle prescrizioni dettate dalla sentenza del TAR di Reggio Calabria n. 672/2011; (III) Violazione dell’art.14 lett d) L.R. 19/2002;
(IV) Violazione del DPR 447/1998 e del DPR 160/2010 - Violazione del DPR 160/2010 per mancata rinnovazione dell’attività istruttoria;
(V) Violazione del D.M. 14.02.2008, (VI) Violazione del D.L. 13 maggio 2011 n. 70.
Nel solo ricorso nr. 243/2012, i ricorrenti contestano anche specifiche violazioni del procedimento sotto il profilo della redazione della proposta di deliberazione e delle modalità della sua sottoposizione al Consiglio.
Si sono costituite l’Amministrazione intimata e la società controinteressata, che resistono ai ricorsi di cui chiedono il rigetto.
Con ricorso incidentale, parte controinteressata chiede l’annullamento del DM del Ministro dell’Ambiente e Tutela del Territorio 19.6.2009, avente ad oggetto l’elenco delle ZPS classificate ai sensi della direttiva 79/409/CEE pubblicato sulla GU n. 157 del 9.7.2009, nella parte in cui inserisce nell’elenco l’ambito “Costa Viola” e gli altri atti presupposti, subordinatamente all’ipotesi in cui dovesse ritenersene la natura costitutiva e non meramente riepilogativa dell’individuazione in esso operata delle ZPS regionali.
Si è costituito anche il Comune di Reggio Calabria – SUAP che eccepisce la propria carenza di legittimazione passiva.
Alla pubblica udienza del 27 marzo 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente vanno riuniti i due ricorsi in epigrafe per ragioni di connessione oggettiva e parzialmente soggettiva, attesa l’identità delle censure, dell’oggetto del gravame e delle parti resistenti.
I) Riuniti i giudizi, il Collegio prende in esame l’accertamento della legittimazione attiva delle parti ricorrenti, che le difese delle resistenti contestano in relazione a diversi profili.
Va preliminarmente accertata la legittimazione attiva dei consiglieri comunali sigg.ri Luigi Maria Leonida Sorrenti, Massimo Gaetano Morgante, ricorrenti nel giudizio nr. 243/12 (insieme all’associazione Ethos, di cui si tratterà oltre).
Per pacifica giurisprudenza, i consiglieri comunali di minoranza hanno legittimazione a ricorrere avverso le deliberazioni del consiglio di cui fanno parte solo nell'ipotesi di violazione del loro "ius ad officium", ovvero limitatamente a quanto incide sull’esercizio del loro mandato (v. da ultimo Consiglio di Stato sez. V, 14 settembre 2012, n. 4892).
Ne consegue che il gravame da essi proposto è ammissibile limitatamente al primo motivo di censura, con cui fanno valere un’asserita irregolarità nella predisposizione degli atti istruttori e documentali a corredo della proposta deliberativa sottoposta all’esame del Consiglio nella seduta in cui è stata adottata la deliberazione impugnata.
Gli altri motivi, che sono semplicemente coincidenti con quelli dei gravami proposti dalle associazioni ricorrenti, Ethos (nello stesso ricorso nr. 243/12) ed Italia Nostra (nel ricorso nr. 254/2012), e con i quali si deduce l’illegittimità della deliberazione per violazione di norme di protezione ambientale, per carenza di motivazione e per vizi di procedimento, così come proposti (ovvero senza una specifica dimostrazione di come tali pretese illegittimità incidano sull’esercizio del mandato dei consiglieri comunali di minoranza) attengono a questioni che esulano dalla violazione dello jus ad officium.
Quanto alla legittimazione attiva dell’Associazione Ethos, essa va esclusa.
Secondo la giurisprudenza, “le associazioni ambientaliste non riconosciute hanno legittimazione attiva purché operino solo all'interno di un ambito territoriale circoscritto, perseguano la tutela ambientale in modo non occasionale e per espressa previsione dello statuto e godano di un adeguato grado di rappresentatività e stabilità nell'area ricollegabile alla zona in cui si trova il bene ambientale che si presume leso” (da ultimo, v. Consiglio di Stato sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640).
Nessuna prova di tali presupposti sostanziali è stata offerta dalla ricorrente, la quale non ha documentato (tramite la produzione dello Statuto) le proprie finalità associative, non ha offerto alcuna dimostrazione di quale sia l’ambito territoriale in cui opera, né ha dimostrato l’effettivo grado di rappresentatività e stabilità nell’area in cui è localizzato l’intervento da essa osteggiato.
Va quindi esaminata la sussistenza della legittimazione a ricorrere di Italia Nostra che, nei termini che si sono appena indicati, sussiste.
Invero, come condivisibilmente evidenziato dalla difesa della ricorrente, l’Associazione ITALIA NOSTRA per Statuto (depositato in giudizio), all’art.1, ha come scopo quello “di concorrere alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e naturale della Nazione” così come articolatamente esposto al successivo art. 3, che demanda all’Associazione la promozione di azioni a tutela, per la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali, dell’ambiente, del paesaggio urbano, rurale e naturale, dei monumenti, dei centri storici e della qualità della vita sotto diversi aspetti.
Coerente con questi scopi sono le motivazioni del gravame, che è volto ad ottenere l’annullamento di un atto che, secondo parte ricorrente, in maniera illegittima autorizza una trasformazione urbana che per contenuto e presupposti amministrativi, è ritenuta incompatibile con l’ambiente in cui è collocato il progetto.
II) Quanto alla legittimazione passiva del SUAP – Comune di Reggio Calabria, si osserva che nell’odierno giudizio va parimenti ritenuta, dal momento che le censure proposte sono rivolte a contestare la deliberazione impugnata anche con riferimento a questioni che avrebbero dovuto essere trattate nel procedimento tenuto dall’organo consortile responsabile dell’istruttoria, così come sarà meglio evidenziato nel prosieguo.
III) Nel merito del gravame, il Collegio prende in esame preliminarmente l’ultima censura del ricorso nr. 254/2012, che, nella misura in cui deduce la violazione delle regole del procedimento nell’istruttoria della deliberazione consiliare impugnata, possiede priorità logico-giuridica rispetto alle altre doglianze.
Con il quarto motivo di ricorso, Italia Nostra lamenta la violazione delle prescrizioni dettate dalla sentenza del TAR di Reggio Calabria n. 672/2011, la violazione dell’art.14 lett d) L.R. 19/2002, e la violazione del DPR n. 447/1998 e del DPR 160/2010, nonché la violazione del DPR n. 160/2010 per mancata rinnovazione dell’attività istruttoria.
Secondo parte ricorrente, il Comune di Villa San Giovanni, associato allo Sportello Unico di Reggio Calabria, ai sensi dell’art. 2 del DPR n. 160/2010, non avrebbe potuto avviare alcuna istruttoria e, semmai, in forza della sentenza n. 672/2011, avrebbe dovuto sollecitare il SUAP a riattivare il procedimento.
Il SUAP avrebbe avuto peraltro l’obbligo di verificare che i nulla osta, gli atti di assenso ed ogni altro parere, rilasciati quasi sei anni prima, fossero ancora validi, ma anche conformi e coerenti con il quadro normativo vigente al 2012.
Posto che l’istruttoria non è stata mai rinnovata, insufficiente sarebbe il presupposto della deliberazione, posto che, dopo la conferenza dei servizi conclusasi nel 2006, sarebbe entrato in vigore il Decreto Leg.vo 9/04/2008 n.81 “Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro”, espressamente richiamato dalla normativa di riferimento (art. 5, comma 1, del DPR 447/98 e ss.mm.ii) quale requisito da verificarsi a cura del SUAP. Analoga deduzione viene svolta dalla ricorrente per quanto attiene al parere dei Vigili del Fuoco (DPR 151/2011), così come per le verifiche in ordine alle strade di accesso, per il parere con prescrizioni ex art. 13 della L. 64/1974 e art. 89 del D.P.R. 280/2001, più volte richiamato sia in sede di conferenza dei servizi del 2006, sia nella nota dell’Ufficio Tecnico, sia nella nota 4921/UT, sia, infine e soprattutto, nella delibera del Consiglio Comunale n.11/2012, che sarebbe divenuto inutilizzabile per effetto del Decreto del Ministro delle Infrastrutture del 14 gennaio 2008 (Gazzetta Ufficiale del 4/02/2008 n. 29), che, emanando “Nuove Norme Tecniche per le Costruzioni”, avrebbe abrogato il D.M. 11/03/1988 sul quale il parere si basava. Stesso discorso per il parere con prescrizioni rilasciato nel 2006 dalla Soprintendenza per i beni paesaggistici, che sarebbe divenuto inutilizzabile perché scaduto.
Le censure dedotte al quarto, quinto e sesto motivo di ricorso sono fondate nei limiti che si espongono a seguire.
III.1) Va premesso che, secondo la giurisprudenza, la legittimità di un provvedimento va apprezzata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione secondo il principio tempus regit actum (TAR Latina, 28 settembre 2011, nr. 755), ma ciò non esclude che “nel procedimento amministrativo il limite all'applicabilità dello jus superveniens e l'intangibilità delle situazioni giuridiche ormai consolidate devono essere individuate nell'autonomia delle singole fasi procedimentali con la conseguenza che, ove il procedimento si divida in varie fasi fra loro coordinate, le nuove norme devono trovare applicazione alle sole fasi del procedimento che non siano ancora esaurite “ (TAR Perugia, I, 16 gennaio 2013, nr. 9); in base a questi principi, ad esempio, nelle pubbliche gare, si ritiene irrilevante il mutamento normativo intervenuto dopo la pubblicazione del bando (TAR Salerno, 9 maggio 2012, nr. 867), salvo il potere di autotutela (TAR Milano, 14 settembre 2012, nr. 2343), perché il bando ha valenza esterna e fonda una sequenza procedimentale compiuta, destinata a concludersi con l’aggiudicazione.
Nel sistema dell’art. 5 del DPR 447/2008, la conferenza dei servizi conclude la formulazione di una proposta al Consiglio Comunale di approvazione in variante, sul presupposto di una favorevole analisi degli interessi pubblici di cui sono responsabili le diverse amministrazioni coinvolte, della cui regolarità il Consiglio Comunale è comunque responsabile, essendo tenuto a riscontrare la correttezza della Conferenza dei servizi sul piano del procedimento e dei relativi presupposti, costituendo essa condizione di legittimità rispetto all’eventuale decisione di approvare la variante semplificata (e dunque il Consiglio Comunale deve verificare la regolarità del procedimento, specie in relazione alla sussistenza di tutti i pareri richiesti e, laddove essi siano acquisiti o acquisibili per silenzio assenso, la regolarità delle convocazioni delle Amministrazioni assenti).
Di conseguenza, l’esito della Conferenza dei servizi ha solo una valenza istruttoria interna al procedimento, non ha rilevanza esterna (come il bando di gara) ed è dunque insuscettibile di legittimare i terzi controinteressati alla sua impugnazione, non avendo natura immediatamente lesiva per costoro, dal momento che ben potrebbe il Consiglio Comunale discostarsi dalle sue conclusioni e non approvarle (ed in questo caso la Conferenza dei servizi non produrrebbe alcun effetto).
In altri termini, è solo la delibera consiliare di approvazione del progetto in variante che, ai sensi dell’art. 5 del DPR 447/1998, costituendo l’atto conclusivo del procedimento semplificato, determina il relativo assetto d’interessi, con la conseguenza che è l’unico atto impugnabile, contro il quale far valere anche eventuali vizi del procedimento di fronte allo Sportello Unico.
Per tali ragioni non può accogliersi l’eccezione difensiva del Comune e della società ECO Srl controinteressata, secondo i quali la sentenza nr. 672/11 del TAR avrebbe costituito un giudicato sul punto (essendo deducibile – secondo tale tesi - il vizio della delibera consiliare impugnata in quella sede sotto il profilo della necessità di ripetere il procedimento di fronte allo Sportello Unico o sotto quello della sopravvenienza di nuove normative tecniche).
La sentenza nr. 672/2011 è stata pronunciata tra il Comune e la società ECO, ricorrente avverso il diniego del primo, e, nell’annullare tale provvedimento, il Tar ha altresì statuito circa la necessità che l’Ente concludesse il procedimento apertosi per effetto dell’istanza a suo tempo proposta dalla stessa ECO Srl.
Avendo l’Ente ottemperato al giudicato ed adottato la delibera conclusiva del procedimento, nessuna questione attinente alla regolarità di quest’ultimo può essere ostacolata dal giudicato stesso, poiché la delibera adottata, avente solo essa (e non la conferenza dei servizi) rilievo esterno, costituisce atto potenzialmente in grado di essere lesivo degli interessi dei terzi.
Questi ultimi sono dunque legittimati a far valere - impugnandola - sia vizi del procedimento svoltosi di fronte allo Sportello Unico che ne costituisce il presupposto necessario, come anche la sopravvenuta inefficacia dei presupposti tecnici della progettazione e del relativo parere della Conferenza dei servizi, scaturenti dal sopravvenuto mutamento del quadro normativo di riferimento, che attiene in via immediata e diretta ai presupposti tecnici e progettuali dell’intervento e che pertanto costituisce un vizio specifico ed ulteriore della deliberazione, in nessun modo deducibile nel precedente giudizio da parte dei terzi (essendo la precedente deliberazione di contenuto reiettivo della proposta), poiché la legittimazione di questi ultimi scaturisce dall’avvenuta adozione della deliberazione consiliare (favorevole alla proponente) di conclusione del procedimento.
Queste stesse ragioni consentono di respingere l’ulteriore e distinta eccezione difensiva della controinteressata, che lamenta l’abuso del diritto da parte dei ricorrenti, evidenziando che il procedimento tra ritardi della PA e processi giurisdizionali, non si sarebbe ancora concluso dal 2006 ad oggi, circostanza di per sé condivisibile, ma insufficiente a denotare una qualunque responsabilità della parte ricorrente.
Va comunque precisato che nessuna norma del DPR n. 160/2010 impone – di per sé - di ripetere i procedimenti svoltisi nella vigenza del DPR n. 447/2008 e non conclusisi con delibera del Consiglio comunale, limitandosi le norme transitorie a determinare un periodo differito di entrata in vigore che si conclude con il decorso di un anno dalla pubblicazione del testo normativo sulla Gazzetta Ufficiale.
Del resto, la normativa introdotta con il DPR n. 160/2010, avente valore organizzativo e di impulso delle attività amministrative preordinate all’apertura di imprese ed attività di iniziativa imprenditoriale, non modifica l’assetto d’interessi del procedimento precedentemente posto in essere rispetto alla sua entrata in vigore.
III.2) Va rilevato che lo Sportello Unico ha provveduto (da quanto emerge dalla stessa delibera impugnata) a riconfermare la conclusione favorevole dell’istruttoria in data 12 maggio 2009 (provvedimento allegato sub 12 al ricorso).
Tuttavia, la motivazione di quest’ultimo atto di riconferma si limita a riepilogare, nella sua premessa, le vicende amministrative successive alla conclusione della conferenza dei servizi del 2006, dando atto che il relativo procedimento è rimasto indenne rispetto alle diverse pronunce giurisdizionali intervenute tra le parti e, su questa base “provvede di rinnovare la dichiarazione di conclusione favorevole del procedimento unico semplificato su progetto denominato Parco dei Falchi” senz’altro riscontro.
Nessun riferimento è contenuto nell’atto circa una rinnovazione della verifica di compatibilità delle risultanze istruttorie rispetto alle sopravvenienze normative ed il mutamento del contesto della precedente conferenza dei servizi (anzi, a fronte della specifica censura formulata in tal senso, la difesa del Comune e quella della controinteressata si sono limitate ad eccepire che la normativa sopravvenuta avrebbe trovato applicazione ai fini del permesso unico a costruire, ancora da rilasciarsi, con il che si deve desumere che il vizio non è solo formale, ma anche sostanziale); del resto, il provvedimento conclusivo impugnato in questa sede si fonda comunque sugli stessi pareri acquisiti espressamente o tacitamente nel procedimento e che erano stati posti a base della conclusione della conferenza dei servizi del 28.09.2006.
Pertanto, nella specifica fattispecie si conferma quanto dedotto dalla ricorrente, e cioè che il procedimento di approvazione in variante semplificata dell’investimento della società ECO Srl si è concluso in un contesto normativo di tipo tecnico modificato rispetto a quello vigente allorché si era tenuta e conclusa la conferenza dei servizi che costituisce il presupposto della deliberazione consiliare impugnata, cosa che non consente – in mancanza di specifiche allegazioni o dimostrazioni in tal senso – di accertare se l’istruttoria sia ancora valida in termini di riscontro della corrispondenza del progetto alle norme tecniche che ne disciplineranno la concreta realizzazione.
Ne deriva l’illegittimità della deliberazione impugnata per difetto di motivazione e di istruttoria, non avendo l’Autorità emanante verificato la validità attuale dell’istruttoria ai fini del rispetto della normativa tecnica sopravvenuta (come il Decreto Legislativo del 09/04/2008 n.81 “Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro”, espressamente richiamato quale requisito da verificare a cura del SUAP dalla normativa di riferimento ex art. 5, comma 1, del DPR 447/98 e ss.mm.ii; la normativa in tema di prevenzione antincendi – ovvero il parere dei Vigili del Fuoco ex DPR 151/2011; il Decreto del Ministro delle Infrastrutture del 14 gennaio 2008, con il quale sono state emanate le “Nuove Norme Tecniche per le Costruzioni”, normativa che, appunto, sostituisce il D.M. 11/03/1988, al quale ultimo avevano fatto riferimento i pareri resi nella Conferenza dei servizi, sostituito a decorrere dal 1 luglio 2009 come da circolare N. 617 del 2 febbraio 2009 del Ministero delle Infrastrutture; e così via).
III.3) Da respingersi invece è l’altro argomento di censura, pure articolato tra il quarto ed il quinto motivo di ricorso, secondo cui il procedimento di approvazione in variante sarebbe illegittimo in quanto il parere ex art.13 della l. n. 64/1974 ed art. 89 DPR 380/2001 avrebbe dovuto richiedersi prima della deliberazione d’impulso e non successivamente a questa, nel corso della conferenza dei servizi svoltasi per effetto di essa.
Giova premettere il consolidato indirizzo secondo il quale "La finalità di cui all'art. 13 l. n. 64 del 1974, deve ritenersi adeguatamente perseguita anche nei casi in cui il parere delle sezioni a competenza statale dell'ufficio del genio civile sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati, prima della delibera di adozione, nonché sulle lottizzazioni convenzionate e loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio, sia intervenuto in corso di procedimento, prima della sua conclusione ed approvazione, non formulando alcun rilievo sostanziale in ordine alla variante nel suo complesso, indicando solo prescrizioni di carattere generale relative ai successivi interventi edilizi" (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 27 aprile 2004 , n. 2521; IV, 4 marzo 2003, n. 1196; cfr. altresì Cons.giust.amm. Sicilia , sez. giurisd., 22 dicembre 1999 , n. 655; T.A.R. Lombardia, Brescia, 21 ottobre 1997, n. 912; T.A.R. Sicilia, Catania, II, 29 dicembre 1993, n. 1082; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 6 aprile 1990 , n. 282; T.A.R. Calabria Catanzaro, 19 gennaio 1980 , n. 20).
Inoltre, è stato recentemente affermato che “L'art. 13, l. 2 febbraio 1974 n. 64, nel prevedere l'obbligo del Comune, ricadente in zona dichiarata sismica, di richiedere il parere all'ufficio del genio civile (o Regione) sui piani regolatori anteriormente all'adozione della relativa deliberazione, deve essere interpretato nel senso che tale parere deve anche intervenire anteriormente all'adozione medesima, atteso che la norma si conforma all'esigenza per cui, in sede di programmazione di primo ed anche di secondo livello, deve essere valutata la compatibilità della destinazione impressa alla zona ed alle aree nella stessa ricomprese, con la struttura, la morfologia e l'andamento del territorio” (T.A.R. Perugia Umbria sez. I, 14 dicembre 2012, n. 521)
Nel caso in esame, la delibera d’impulso è solo un atto che scandisce una fase intermedia del procedimento, mentre la variazione urbanistica vera e propria deriva dalla deliberazione consiliare di approvazione definitiva della proposta in variante, con la conseguenza che è quest’ultima che deve essere assistita dal prescritto parere ex art. 89 del DPR n. 380/2001.
Le altre argomentazioni della difesa della ricorrente, volte ad evidenziare le incongruità del procedimento svoltosi di fronte allo Sportello Unico in ordine alla presenza o meno del parere, nonché relative all’applicabilità o meno del silenzio diniego allo spirare del termine di sessanta giorni dalla richiesta del parere (che avrebbe dovuto determinare un esito negativo della conferenza stessa, in luogo dell’avvenuta sanatoria costituita dalla sua emissione tardiva) sono ininfluenti nel caso di specie, dal momento che il procedimento semplificato andrà ripetuto allo scopo di verificare la compatibilità del progetto con il quadro normativo sopravvenuto ed in tale contesto dovrà necessariamente essere richiesto un nuovo parere al Settore tecnico decentrato.
III.4) Fondata è la censura con la quale la ricorrente fa valere l’illegittimità del procedimento e della deliberazione impugnata, per essere scaduta l’autorizzazione paesaggistica, che va rinnovata.
Si deve premettere che, agli atti di causa, risulta il verbale del 6.4.2006 (prot. Sportello Unico 1037), in cui quanto al parere della Soprintendenza B.A.P. (rappresentata dall’arch. Dario Dattilo, di cui non risulta la sottoscrizione) è indicato “vedi parere allegato”.
Nonostante tale indicazione, nelle copie depositate agli atti il parere non è allegato e dunque non è dato conoscerne il contenuto, né gli estremi.
Posto che non è dubbio tra le parti né l’esito favorevole (sia pure con prescrizioni), né la natura (ovvero la sua riconducibilità all’art. 146 del dlgs 42/2004, attesa la caratteristica dell’intervento), può prescindersi dal disporre istruttoria sul punto e si deve ritenere – allo stato degli atti – che la censura è fondata.
Come conferma la giurisprudenza, “alla luce della disciplina contenuta sia nel r.d. n. 1357 del 1940 che nell'art. 146 del d.lg. n. 42 del 2004, l'autorizzazione paesaggistica ha durata quinquennale. Se i lavori non vengono realizzati in tale arco temporale è necessario richiedere un ulteriore titolo abilitativo al fine di effettuare un nuovo controllo di conformità dell'intervento all'ambiente in cui lo stesso si colloca” (Consiglio di Stato, 4 dicembre 2012, nr. 6216; TAR Bari, Puglia, 25 maggio 2011, nr. 784).
In particolare, nella decisione richiamata nr. 6216/2012 del Consiglio di Stato, viene chiarito che, in relazione alla disciplina dell'autorizzazione paesaggistica, alla sua durata e ai controlli su di essa effettuabili, la legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali) prevedeva che i proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, di immobili vincolati, ai sensi delle previsioni contenute nella stessa legge, avrebbero dovuto ottenere una apposita autorizzazione dalle autorità competenti per i lavori che intendessero eseguire. L'art. 16 del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357 (Regolamento per l'applicazione della legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali) disponeva che la predetta autorizzazione "vale per un periodo di cinque anni, trascorso il quale, l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione". Il potere di annullamento ministeriale era in origine disciplinato dall'art. 82 d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382).
Il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), applicabile ratione temporis, ha abrogato la legge n. 1497 del 1939, ribadendo, all'art. 151, in continuità normativa, la necessità, in presenza di immobili vincolati, del rilascio dell'autorizzazione ad effettuare lavori, con potere ministeriale di annullare la predetta autorizzazione. L'art. 161 dello stesso decreto ha previsto che "restano in vigore, in quanto applicabili, le disposizioni del regolamento approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357" e, pertanto, per quanto interessa in questa sede, anche l'art. 16 che dispone la durata quinquennale dell'autorizzazione.
L'intera materia è oggi regolata, in ulteriore continuità, dal d.lgs. n. 42 del 2004. In particolare, l'art. 146, nel disciplinare l'autorizzazione paesaggistica, dispone che la stessa "non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi" e che "è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione". La stessa norma contempla il parere vincolante della Soprintendenza in relazione agli interventi da eseguire su immobili ed aree sottoposti a tutela.
Tali conclusioni non possono che valere anche per l’analogo nulla osta rilasciato dall’Amministrazione all’interno di una conferenza dei servizi ex art. 5 DPR 447/1998 che ha ad oggetto un intervento edilizio come quello per cui è causa, essendo mutato solo il contesto in cui il parere è reso, non il regime normativo che ne disciplina il decorso e gli effetti.
Pertanto, nel caso in cui l’autorizzazione ex art. 146 del d.lg. n. 42 del 2004 sia resa all’interno di una conferenza dei servizi al fine dell’approvazione in variante semplificata di un intervento ex art. 5 del DPR 447/1998, si applica egualmente il previsto termine quinquennale di efficacia.
Ne deriva che non solo entro il predetto termine va concluso il procedimento con la deliberazione consiliare di approvazione in variante, ma vanno anche eseguiti i lavori, posto che il chiaro tenore dell’art. 146 cit. assoggetta al titolo nel periodo della sua efficacia “l'esecuzione dei progettati lavori” ed osta ad un rilascio del titolo successivo agli stessi.
Né può valere il rinnovo della conclusione del procedimento disposta dal SUAP nel 2009, poiché – a tacere del fatto che il rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica può avvenire solamente da parte della stessa Autorità preposta al vincolo – l’ufficio, come si è già chiarito, si è comunque limitato alla sola verifica del procedimento al fine di riscontrare l’assenza di vizi derivanti dalle pronunce giurisdizionali medio tempore intervenute, e dunque nessuna volontà di rinnovo dell’autorizzazione scaduta può farsi derivare dalla menzionata conferma amministrativa della conferenza dei servizi.
III.5) Pertanto, ferma restando la delibera d’impulso che è tutt’ora in vigore, il procedimento di fronte allo Sportello Unico va ripetuto allo scopo di consentire ad ogni Amministrazione responsabile di accertare l’attuale validità dei pareri e dei nulla osta comunque denominati già espressi o acquisiti, nonché rinnovare l’autorizzazione paesaggistica.
Dovendosi ripetere il procedimento, la Conferenza dei Servizi sarà condotta nel rispetto delle norme di cui al DPR n. 160/2010, che sono nel frattempo entrate in vigore.
Da quanto sopra consegue che il ricorso è, sul punto, fondato e merita accoglimento con l’annullamento della deliberazione consiliare impugnata e con l’obbligo per il Comune di Villa San Giovanni di provvedere nuovamente sull’istanza della controinteressata, previo rinnovo del procedimento della variante semplificata tramite lo Sportello Unico istituito presso il Comune di Reggio Calabria, cui il Comune di Villa San Giovanni ha aderito, che andrà svolto nel rispetto della normativa sopravvenuta, mediante nuova convocazione della Conferenza dei servizi e nel rispetto delle norme di cui al DPR n. 160/2010 (con particolare riferimento all’art. 8), allo scopo di verificare l’attuale compatibilità del progetto della controinteressata rispetto al quadro normativo oggi in vigore.
IV) Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente nel giudizio nr. 243/2012 lamenta la violazione dell’art. 5 comma 3 del DPR n. 357/1997 e della legge regionale n.10 del 2003, in quanto l’approvazione del progetto avrebbe dovuto essere preceduta dalla conforme Valutazione di Incidenza, dal momento che l’area per cui il Consiglio Comunale ha approvato la variante al PRG con la delibera n.11/2012 ricade nella Zona di Protezione Speciale (ZPS) “Costa Viola” dal 1 agosto 2005.
Alla trattazione di tale motivo di censura parte ricorrente ha interesse, dal momento che il suo eventuale accoglimento determinerebbe precise conseguenze in ordine alla riedizione del potere che, si è visto sub III), deriva dall’accoglimento delle censure di ordine procedimentale che si sono esaminate e ritenute fondate.
A tale proposito, dunque, la ricorrente precisa che:
- il territorio oggetto del progetto è sin dal 1989 riconosciuto come IBA (Important Bird Area) cod. 150, denominazione “Costa Viola”, e alla luce di tale riconoscimento è sottoposto all’applicazione rigorosa dell’art 4 paragrafo 4 della Direttiva 79/409/CE, meglio conosciuta come Direttiva Uccelli (oggi 2009/147/CE);
- la Delibera del Ministero dell’Ambiente del 2 dicembre 1996 ha equiparato le ZPS (alcune IBA erano state già riconosciute come ZPS nel 1988) alle aree naturali protette ai sensi della Legge n. 394/91; la Regione Calabria, con legge regionale n. 10 del 14 Luglio 2003, art. 30, relativa alle Norme in materia di aree protette, oltre a sottolineare gli obiettivi di tutela e conservazione dei siti Natura 2000, SIC, ZPS, SIN e SIR, inserisce tali siti nel Registro Ufficiale delle aree protette della Regione Calabria; a seguito della sentenza di condanna della Corte di Giustizia Europea, C. 378/01, la stessa Regione Calabria, unitamente ad altre regioni italiane, ha riconosciuto nuove ZPS, tra cui l’IBA cod. 150, individuata quale Zona di Protezione Speciale (ZPS) con Decreto della Regione Calabria n. 607 del 27 giugno 2005, pubblicato sul BUR del 1 agosto 2005.
Gli atti impugnati non terrebbero conto di tutto ciò.
Posto che il progetto ricade in ZPS, ovvero tra i siti individuati ai sensi della Direttiva 92/43/CE (Direttiva Habitat) e 79/409/CE ora 147/09/CE (Direttiva Uccelli), ovvero, i Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e le Zone di Protezione Speciale (ZPS), ai sensi dell’art. 5 comma 3 del DPR n. 357/1997 come modificato dall’art. 6 comma 3 del DPR n. 120/03, sussiste l’obbligo di effettuare la Valutazione di Incidenza – secondo le indicazioni di cui all’Allegato G del medesimo DPR - strumento conoscitivo indispensabile ed obbligatorio per tutti i piani e/o progetti che non siano direttamente connessi alla gestione del sito protetto, l’assenza del quale (specie in considerazione dell’estensione dell’intervento pari a 280.000 mq totali, di cui 45.000 da edificare, con realizzazione di nuove strade e altre opere di urbanizzazione) determinerebbe l’intrinseca nullità degli atti.
Ne deriverebbe altresì che, trattandosi di area soggetta a Valutazione di incidenza, la normativa della L n. 241/1990 e successive modifiche, relativa alla conferenza dei servizi (artt. 14 e ss.), e soprattutto all’acquisizione dei pareri con l’istituto del silenzio assenso (art. 20) non troverebbe applicazione.
Oppongono i resistenti che l’area interessata non rientra tra i siti protetti con obbligo di valutazione d’incidenza, dal momento che gli atti regionali di perimetrazione risultano annullati in sede giurisdizionale.
Quest’ultimo argomento trova la condivisione del Collegio.
Nello specifico, è accaduto che il Dipartimento Ambiente della Regione Calabria, sulla base dell’Inventario IBA 89 e della relativa versione aggiornata nel 2002, aveva redatto una proposta di revisione delle ZPS sul territorio regionale, approvata dalla Giunta regionale con delibera n. 607 del 27 giugno 2005 (con la quale sono state ampliate le superfici delle ZPS già esistenti sul territorio calabrese e sono state individuate nuove ZPS, tra cui “Costa Viola”, che include i territori compresi tra la Costa Viola ed il monte S. Elia, nei quali è localizzato l’intervento oggetto di giudizio), ma non dalla competente IV Commissione consiliare “Tutela dell’Ambiente” che, nella seduta del 20.11.2006 ha espresso il proprio parere negativo (evidenziando, tra l’altro, “carenze su dati, fonti e studi tecnico-scientifici sul campo utilizzati per la perimetrazione delle ZPS”).
La Giunta Regionale provvedeva ad una nuova elaborazione del piano delle ZPS con deliberazione del 5 maggio 2008 n. 350 (comprendente ancora una volta l’individuazione di tre nuove ZPS, tra cui quella denominata “Costa Viola”), questa volta approvata dalla IV Commissione “Tutela dell’Ambiente” (seduta del 18 settembre 2008 -parere n. 47/8^), di cui con successiva delibera 3 novembre 2008 n. 816, la Giunta Regionale prendeva atto.
Tuttavia le deliberazioni n. 350 del 5 maggio 2008 e n. 816 del 3 novembre 2008 venivano impugnate dinanzi al TAR Calabria sez. Catanzaro, che con sentenza del 27.10.2010 n. 47 le annullava e la relativa sentenza risulta confermata in appello dal Consiglio di Stato con decisione nr. 3853 del 2 luglio 2012.
Poiché la censura introdotta da Italia Nostra ha per oggetto la prospettata illegittimità della delibera, per mancato rispetto della procedura di valutazione d’incidenza prevista dall’art. art. 5 comma 3 del DPR 357/97 come modificato dall’art. 6 comma 3 del DPR 120/03, nel presupposto che l’area interessata rientri in una perimetrazione ZPS, circostanza questa che, seppure oggetto di previsioni amministrative pregresse, risulta non essere attuale al momento dell’adozione dell’atto impugnato, le eccezioni e deduzioni difensive del Comune e della controinteressata sono condivisibili, quanto al tema della necessaria valutazione di incidenza.
Tale circostanza comporta il rigetto del gravame sul punto e carenza d’interesse alla pronuncia sul ricorso incidentale.
Quest’ultimo è infatti volto ad ottenere l’annullamento del DM del Ministero dell’Ambiente 19.6.2009, nella parte in cui elenca tra le ZPS ivi individuate anche l’ambito relativo alla già prevista ZPS Costa Viola; tuttavia, l’annullamento delle deliberazioni regionali inerenti la relativa perimetrazione privano il predetto DM di efficacia precettiva, posta la sua natura meramente riepilogativa e ricognitoria delle ZPS di tipo regionale in vigore (come quella in esame).
In questi limiti, pertanto, la censura va respinta, sebbene si rendano necessarie alcune precisazioni.
Su questo punto il ricorso è affidato solamente ad una contestazione di tipo normativo: posto che l’area ricade in una zona di protezione, si postula l’insufficienza del procedimento, in quanto mancante della valutazione d’impatto ambientale ed in quanto non assoggettabile ai meccanismi semplificati di cui alla l. 241/90 di formazione della volontà amministrativa provvedimentale.
Tuttavia, in linea di principio, si deve evidenziare che, dalla stessa ricostruzione dei fatti operata dalle difese dei resistenti, non è dubbio che l’area della Costa Viola, interessata al progetto della ECO Srl, possiede una specifica valenza ambientale, tanto che rientra nelle IBA (Important Bird Area) registrate nell’apposito “Inventory” pubblicato nel 1989 ai sensi della direttiva 79/409/CEE.
Da ciò non deriva – come correttamente evidenzia la difesa di ECO Srl – un vincolo giuridico immediatamente precettivo nei rapporti tra le parti, ma neppure può ragionevolmente affermarsi che il sito sia equiparabile, sul piano degli interessi pubblici derivanti dall’oggettivo contesto, ad una qualsiasi zona agricola.
Sotto questo profilo potrebbe dunque riconoscersi alla censura introdotta dalla ricorrente Italia Nostra un valore sostanziale di contestazione dell’investimento sotto il profilo del rapporto con l’ambiente circostante, a prescindere da una qualificazione giuridica formale, quindi sotto il profilo dell’eccesso di potere derivante da una carente istruttoria e da una insufficiente motivazione sostanziale; ma anche in questo caso, il gravame andrebbe comunque respinto.
Nell’assenza di una precisa e vincolante normativa di protezione (normativa o di pianificazione), chi agisce in giudizio per ottenere il riconoscimento dell’illegittimità di un progetto edilizio per contrasto con i valori di tutela dell’ambiente e del paesaggio, deve offrire una prova specifica che documenti l’esistenza di tale contrasto, ovvero dimostri la lesione dell’interesse protetto di cui la parte ricorrente si fa portatrice; e tale prova dev’essere tale da poter mettere efficacemente in discussione la motivazione sostanziale degli atti amministrativi che il progetto abbiano approvato.
Nel caso sottoposto all’esame del Collegio, la controinteressata ECO Srl documenta che il progetto dell’insediamento contiene esplicite valutazioni circa il rapporto con l’ambiente circostante (vedasi lo studio di inserimento ambientale allegato alla memoria depositata il 15 giugno 2012 da parte della ECO Srl, redatto sulla base del DPC del 27.12.1988, che conclude circa la non necessità di azioni mitigative, atteso il basso impatto ambientale dell’investimento); del resto anche il procedimento svoltosi a cura dello Sportello Unico ha affrontato, tra gli altri, il tema della compatibilità ambientale del progetto, concludendosi con esito positivo.
Parte ricorrente, a sua volta, si limita ad affermare una generale e radicale incompatibilità dell’investimento con l’ambiente, attesa da un lato l’estensione dell’insediamento e, dall’altro, il valore naturalistico dell’area derivante dalla sua qualificazione come zona di protezione regionale; tuttavia, nessuna censura viene dedotta nello specifico contro il progetto, o contro la sua valutazione ambientale, né contro le determinazioni del procedimento (ad esempio per far valere un eccesso di volumetria, l’adozione di specifiche tipologiche dell’insediamento disarmoniche con il paesaggio o tali da ridurne le potenzialità e così via).
In altri termini, se si accedesse ad una qualificazione del gravame nei termini esposti, esso andrebbe inteso come una radicale opposizione all’insediamento in quanto tale, o meglio alla decisione comunale di consentire l’uso del terreno difformemente dalla previsione urbanistica d’origine: ma, nell’assenza di una precisa descrizione delle ragioni di contrasto tra le caratteristiche dell’insediamento ed il paesaggio o l’ambiente, questa censura si rivela priva di quei requisiti di specificità idonei a veicolare il giudizio entro precisi termini di riscontro, con conseguente genericità ed indeterminatezza.
V) In ordine alle altre censure, con le quali Italia Nostra fa variamente valere il vizio di difetto di motivazione della deliberazione impugnata, in quanto sarebbe stato violato il giudicato formatosi sulla sentenza nr. 672/2011 e sarebbe stato violato il regime di pubblicità della delibera di variante, parte ricorrente non ha interesse alla loro trattazione, dal momento che dovrà essere ripetuto il procedimento.
Per le stesse ragioni non hanno interesse i ricorrenti Sorrenti e Morgante alla trattazione del proprio gravame, nei limiti in cui si è riconosciuta la legittimazione a ricorrere.
In conclusione il ricorso nr. 243/2012 è inammissibile in parte per carenza di legittimazione a ricorrere ed in parte per carenza d’interesse, mentre il ricorso nr. 254/2012 è fondato nei limiti esposti e dunque va accolto, con annullamento della consiliare n. 11 del 7 febbraio 2012 e con obbligo di riedizione del procedimento, che andrà svolto nel rispetto di quanto sin qui statuito.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria
definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione, dichiara inammissibile il ricorso nr. 243/2012 ed accoglie il ricorso nr. 254/2012.
Per l’effetto, annulla la deliberazione consiliare impugnata, con obbligo di riedizione del procedimento nei termini e con le modalità di cui in parte motiva.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2013 e del 22 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Ettore Leotta, Presidente
Caterina Criscenti, Consigliere
Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore

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