Il dirigente risponde del danno indiretto cagionato all'Ente a causa di condotte mobbizzanti a danno di un dipendente
[Sez. giur. Calabria, sent. n. 228 del 25/06/13]
Integra mobbing la condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e consistente nel compimento di una pluralità di atti (giuridici e meramente materiali ed eventualmente anche leciti) diretti alla persecuzione o all’emarginazione del dipendente di cui viene lesa la sfera professionale o personale; né la circostanza che la condotta di mobbing provenga da un altro dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro- su cui incombono gli obblighi ex art. 2049 c.c - ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo, dovendosi escludere la sufficienza di un mero (e tardivo) intervento pacificatore, non seguito da concrete misure di vigilanza. Da tale situazione, reiterata anche per breve tempo, derivano conseguenze dannose per la lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro, tutelato dall’art. 1 e 2 Costituzione e il danno che ne deriva è di per sé suscettibile di risarcimento, e ciò sulla base dei principi generali di cui all’art. 2043 c.c. e di quelli indicati dall’art. 2087 c.c., in considerazione della mancanza di una specifica disciplina del mobbing e della sua riconduzione (anche secondo la sentenza della Corte cost. n. 239 del 2003) alla violazione dei doveri del datore di lavoro, tenuto ai sensi dell’art. 2087 c.c. alla salvaguardia sul luogo di lavoro della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore
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