Data: 2013-06-28 08:20:21

Ordinanza giudizio di legittimità costituzionale art. 103 l.r. 6/2010

BURL Serie Ordinaria n. 26 - Venerdì 28 giugno 2013

Ordinanza 3 giugno 2013 - n. 124
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
(OMISSIS)
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 5-bis, comma
10, della legge della Regione Lombardia 3 aprile 2000, n. 22
(Disciplina delle vendite straordinarie e disposizioni in materia di
orari degli esercizi commerciali), e dell’articolo 103, comma 13,
della legge della Regione Lombardia 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo
unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere),
promosso dal Consiglio di Stato nei giudizi riuniti tra il Comune
di Erbusco ed altra e Le Porte Franche s.c. a r.l. ed altri, con ordinanza
del 29 novembre 2011, iscritta al n. 65 del registro ordinanze
2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di costituzione della Le Porte Franche s.c. a r.l. ed
altri;
udito nell’udienza pubblica del 23 aprile 2013 il Giudice relatore
Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Ettore Ribolzi e Mariano Protto per Le Porte
Franche s.c. a r.l. ed altri.
Ritenuto che, nel corso di più giudizi riuniti di appello avverso
sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia,
sezione staccata di Brescia - che avevano accolto le impugnazioni
proposte da operatori di due centri polifunzionali e
commerciali (ubicati rispettivamente nei territori dei Comuni di
Erbusco e Corte Franca) riguardo ai provvedimenti con i quali
i Comuni competenti avevano negato l’autorizzazione all’apertura
generalizzata degli esercizi nei giorni festivi, in ragione della
non inclusione del territorio di detti Comuni nel novero degli
«àmbiti territoriali a forte attrattività» per i quali è invece prevista
la deroga al generale divieto di apertura festiva e domenicale -,
il Consiglio di Stato, con ordinanza emessa il 29 novembre 2011,
ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 41, 97, 103, 113 e
117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, questione
di legittimità costituzionale dell’articolo 5-bis, comma 10, della
legge della Regione Lombardia 3 aprile 2000, n. 22 (Disciplina
delle vendite straordinarie e disposizioni in materia di orari degli
esercizi commerciali), riprodotto dall’articolo 103, comma 13,
della legge della Regione Lombardia 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo
unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere),
anch’esso censurato;
che - rilevato che i territori di entrambi i Comuni interessati erano
stati originariamente qualificati «ad economia prevalentemente
turistica», e quindi ammessi a godere della deroga all’obbligo
di chiusura domenicale prevista dall’art. 12 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa
al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della
legge 15 marzo 1997, n. 59) - il rimettente osserva che la Regione
Lombardia, con la legge regionale 28 febbraio 2007, n. 30
(Normativa in materia di orari degli esercizi commerciali), ha
modificato la legge regionale n. 22 del 2000, eliminando ogni
riferimento, nella regolamentazione delle aperture domenicali,
ai Comuni ad economia prevalentemente turistica e limitando
le deroghe (sempre consentite agli esercizi commerciali di vendita
al dettaglio in sede fissa aventi superficie fino a 250 metri
quadrati) ai soli «ámbiti territoriali a forte attrattività», così definiti
in modo puntuale dal censurato comma 10 dell’art. 5-bis con
un elenco che comprende, alla lettera b), i «Comuni rivieraschi
dei laghi lombardi di cui all’allegato A della legge regionale 11
marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio)»;
che la norma in questione, peraltro, è stata abrogata dall’art.
155, comma 1, lettera f), della legge regionale 2 febbraio 2010,
n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e
fiere), ed è stata integralmente trasfusa nell’art. 103 di detta ultima
legge, il cui comma 13 disciplina appunto le aperture degli
esercizi ubicati nei territori dei Comuni a forte attrattività;
che – dedotta l’impossibilità di seguire l’interpretazione costituzionalmente
orientata attribuita dal giudice di primo grado
alle norme censurate, e sottolineato il carattere puntuale e tassativo
della individuazione dei territori per i quali è consentita, in
via generale, l’apertura al pubblico nelle giornate domenicali
e festive - il rimettente ritiene che le norme censurate suscitino
dubbi di costituzionalità, «nella parte in cui fissa[no] un elenco
tassativo che non lascia spazio all’individuazione amministrativa
di ulteriori situazioni qualificate», così escludendo l’operatività
nei Comuni in causa dalla deroga all’obbligo di chiusura festiva
degli esercizi in questione;
che, in particolare, il rimettente rimarca la diversità della odierna
tematica rispetto a quella su cui è intervenuta la sentenza di
questa Corte n. 288 del 2010 (allora riguardante il regime generale
delle aperture domenicali e festive, rimessa alla discrezionalità
del Comune interessato, nel rispetti della competenza
regionale in materia di commercio), osservando che la normativa
regionale qui impugnata, ponendosi in linea di discontinuità
rispetto alla legge nazionale che demandava ad un’indagine
amministrativa concreta l’individuazione dei Comuni ad economia
prevalentemente turistica esonerati dalla regola della
chiusura domenicale e festiva, ha sostituito la nozione statale
dei Comuni ad economia prevalente turistica con quella degli
ambiti territoriali a forte attrattività, accedendo ad una aprioristica
tipizzazione legislativa;
che, da ciò, il rimettente deduce la violazione: a) degli artt.
3 e 97 Cost., poiché - una volta sancito, a livello nazionale come
in campo regionale, il principio secondo cui gli esercizi
commerciali operanti in bacini territoriali caratterizzati da una
speciale attrattività debbono godere dell’esenzione dalla generale
regola della chiusura festiva onde corrispondere alla più
intensa domanda di mercato - è illogica e foriera di immotivate
sperequazioni la fissazione (con una legge-provvedimento)
di una presunzione juris et de jure, che finisce per vincolare il
potere sindacale di fissazione del calendario di apertura degli
esercizi commerciali e, soprattutto, per sostituirsi alle statuizioni
provvedimentali previste dall’art. 12 del decreto legislativo n. 114
del 1998, senza il supporto di una specifica istruttoria finalizzata
ad analizzare le realtà territoriali e ad effettuare una ponderazione
comparativa di interessi in relazione a criteri orientativi
previamente definiti; b) degli artt. 24, 103 e 113 Cost., in quanto
l’invasione legislativa della sfera amministrativa si riflette negativamente
sulla tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive
incise; c) degli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost.,
poiché l’introduzione di una normativa regionale di fatto più
restrittiva di quella previgente, che si distacchi in peius dai parametri
di riferimento dettati dal decreto legislativo n. 114 del
1998, determina un’irragionevole lesione del principio di tutela
della libertà di iniziativa economica collegata all’incisione delle
scelte organizzative degli operatori economici e si riflette negativamente
sui livelli di tutela della concorrenza (invadendo la
competenza riservata alla legislazione statale), in quanto finisce
per deprimere le potenzialità competitive degli esercizi commerciali
siti in Comuni che, pur essendo a forte attrattività turistica
secondo i parametri della legge nazionale, non sono compresi
nel numerus clausus dei bacini territoriali presi in considerazione
dal legislatore regionale;
che, con un unico atto, si sono costituite nel presente giudizio
le società operatrici del centro polifunzionale sito nel comune
di Erbusco, che concludono chiedendo la declaratoria di illegittimità
costituzionale delle norme censurate, sulla base di argomentazioni
conformi a quelle svolte dal Collegio rimettente;
e che, in una memoria illustrativa (ribadite le rassegnate conclusioni
e le relative argomentazioni a sostegno) sottolineano
come il sopravvenuto art. 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011,
n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla
legge 22 dicembre 2011, n. 214 abbia fatto venire meno le limitazioni
relative agli orari ed ai giorni di apertura degli esercizi
commerciali individuati nella legislazione regionale ad esso precedente,
oltre che nel decreto legislativo n. 114 del 1998, sicché
ogni norma regionale che preveda tali limiti deve ritenersi implicitamente
abrogata, secondo la regola desumibile dall’art. 10
della legge 10 febbraio 1953, n. 62.
Considerato che il Consiglio di Stato dubita della legittimità
costituzionale dell’articolo 5-bis, comma 10, della legge della
Regione Lombardia 3 aprile 2000, n. 22 (Disciplina delle vendite
straordinarie e disposizioni in materia di orari degli esercizi commerciali)
- rubricato «Orari delle attività di vendita al dettaglio in
sede fissa», secondo cui, «Nel rispetto dei limiti di cui ai commi
2, 3 e 11, l’apertura al pubblico nelle giornate domenicali e festive
è consentita negli ambiti territoriali a forte attrattività, così
individuati: […] b) i comuni rivieraschi dei laghi lombardi di cui
all’allegato A della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (legge
per il governo del territorio), con esclusione dei capoluoghi di
provincia e limitatamente ai laghi in cui è presente un servizio
pubblico di navigazione di linea per il trasporto di persone e
cose; […]» -, nonché dell’articolo 103, comma 13, della legge
della Regione Lombardia 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle
leggi regionali in materia di commercio e fiere) in cui (a seguito
della abrogazione della legge regionale n. 22 del 2000, ai sensi
dell’art. 155, comma 1, lettera f, della legge regionale n. 6 del
2010), è stato trasfuso il testo dell’art. 5-bis, comma 10;
che, in sintesi, il rimettente fonda le proprie censure sul presupposto
che la normativa regionale impugnata - nel sostituire la
nozione statale dei Comuni «ad economia prevalente turistica»
con quella degli «ámbiti territoriali a forte attrattività» - determinerebbe
una aprioristica tipizzazione legislativa, ponendosi in
linea di discontinuità rispetto all’art. 12 del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore
del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge
15 marzo 1997, n. 59), che viceversa demandava ad un’indagine
amministrativa l’individuazione dei Comuni ad economia
prevalentemente turistica, esonerati dalla regola della chiusura
domenicale e festiva;
che ciò, secondo il rimettente, provocherebbe la violazione:
a) degli artt. 3 e 97 Cost., per illogicità della fissazione (con una
legge-provvedimento) di una presunzione juris et de jure, che
finisce per vincolare il potere sindacale di fissazione del calendario
di apertura degli esercizi commerciali e, soprattutto, per
sostituirsi alle statuizioni provvedimentali previste dal menzionato
art. 12 del decreto legislativo n. 114 del 1998, senza il supporto
di una specifica istruttoria finalizzata ad analizzare le realtà territoriali
e ad effettuare una ponderazione comparativa di interessi
in relazione a criteri orientativi previamente definiti; b) degli artt.
24, 103 e 113 Cost., in quanto l’invasione legislativa della sfera
amministrativa si riflette negativamente sulla tutela giurisdizionale
delle posizioni soggettive incise; c) degli artt. 41 e 117, secondo
comma, lettera e), Cost., per l’introduzione di una normativa
regionale più restrittiva di quella previgente, che determinerebbe
un’irragionevole lesione del principio di tutela della libertà
di iniziativa economica collegata all’incisione delle scelte organizzative
degli operatori economici, riflettendosi negativamente
sui livelli di tutela della concorrenza e finendo per deprimere le
potenzialità competitive degli esercizi commerciali siti in Comuni
che, pur essendo a forte attrattività turistica secondo i parametri
della legge nazionale, non sono compresi nel numerus clausus
dei bacini territoriali presi in considerazione dal legislatore
regionale;
che, dopo la proposizione della odierna questione (sollevata
con ordinanza emessa il 29 novembre 2011), è sopravvenuta la
previsione del comma 1 dell’art. 31 del decreto-legge 6 dicembre
del 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità
e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che - nel disporre
che, «in materia di esercizi commerciali, all’articolo 3, comma 1,
lettera d-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito,
con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono soppresse
le parole: «in via sperimentale» e dopo le parole «dell’esercizio
» sono soppresse le seguenti «ubicato nei comuni inclusi
negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte»» - ha
radicalmente riformulato il dettato di tale ultima norma, la quale
(ponendo le regole di tutela della concorrenza nel settore della
distribuzione commerciale), nel testo attualmente vigente, è
dunque venuta a stabilire che, «ai sensi delle disposizioni dell’ordinamento
comunitario in materia di tutela della concorrenza e
libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire
la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità
ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché
di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme
di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul
territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo,
lettere e) ed m), della Costituzione, le attività commerciali, come
individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e
di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i
seguenti limiti e prescrizioni: […] d-bis) il rispetto degli orari di
apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e
festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale
dell’esercizio [..]»;
che tale previsione rappresenta il momento finale della evoluzione
della disciplina degli orari degli esercizi commerciali e
della chiusura domenicale e festiva, che ha subíto rilevanti modifiche
ad opera del legislatore statale, già intervenuto con l’art.
35, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni
urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, inserendo la lettera
d-bis) nel comma 1 dell’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2006,
n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale,
per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica,
nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 4
agosto 2006, n. 248, che, in aggiunta all’elenco degli àmbiti normativi
per i quali è espressamente escluso che lo svolgimento di
attività commerciali possa incontrare limiti e prescrizioni, aveva
indicato anche la disciplina degli orari e della chiusura domenicale
o festiva degli esercizi commerciali, sia pure solo in via sperimentale
e limitatamente agli esercizi ubicati nei comuni inclusi
negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte;
che, dunque, l’eliminazione (ad opera dello ius superveniens)
dal testo della norma novellata del riferimento ai Comuni inclusi
negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte
estende la liberalizzazione della disciplina degli orari degli esercizi
commerciali e della chiusura domenicale e festiva a tutte le
attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del
commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15
marzo 1997, n. 59);
che, infatti, sulla base della modifica operata dal menzionato
art. 31 del decreto-legge n. 201 del 2011 - in attuazione di un
principio dinamico di liberalizzazione, finalizzato alla creazione
di un mercato più aperto all’ingresso di nuovi operatori, anche
a beneficio dei consumatori, attraverso misure coerenti con l’obiettivo
di promuovere la concorrenza (sentenze n. 27 del 2013
e n. 299 del 2012) - oggi dette attività commerciali non possono
più incontrare limiti o prescrizioni relativi agli orari di apertura e
chiusura e alle giornate di chiusura obbligatoria;
che compete al rimettente (cui, pertanto, occorre restituire gli
atti) verificare se la motivazione in ordine alla rilevanza e alla
non manifesta infondatezza della questione, prospettata nell’ordinanza
di rimessione, resti valida alla luce del novum normativo
e della incidenza di questo sulla definizione del giudizio principale
(ordinanza n. 59 del 2012).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Consiglio di Stato rimettente.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 3 giugno 2013.
F.to:
Franco Gallo, presidente
Paolo Grossi, redattore
Gabriella Melatti, cancelliere
Depositata in cancelleria il 5 giugno 2013
Il direttore della cancelleria
F.to: Gabriella Melatti

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