E' possibile secondo voi lo svolgimento di attivita' di estetica presso il domicilio del cliente? Se si, quali adempimenti devono essere attivati, in particolare per quanto riguarda gli aspetti igienico sanitari?
Grazie, come sempre, per la preziosa collaborazione.
E' possibile secondo voi lo svolgimento di attivita' di estetica presso il domicilio del cliente? Se si, quali adempimenti devono essere attivati, in particolare per quanto riguarda gli aspetti igienico sanitari?
Grazie, come sempre, per la preziosa collaborazione.
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CERTO CHE E' possibile e non può essere negata o limitata da discipline comunali.
I requisiti sono quelli igienici minimi FUNZIONALI (cioè relativi alle attrezzature utilizzate) e non, ovviamente, alle strutture (in quanto userà ambienti, servizi igienici e altro della abitazione o altro luogo dove andrà ad operare.
Se il soggetto svolge l'attività esclusivamente al domicilio presenterà SCIA (indicando tale modalità) al Comune dove ha la sede legale. Non ci sono allegati nè è tenuto/a ad indicare i luoghi dove andrà ad operare (che potranno essere su tutto il territorio comunitario).
Consiglia di tenere una scia da esibire agli organi di vigilanza.
Buongiorno Simone,
intervengo in questa discussione, perche ritengo che la norma non sia così chiara come tu la interpreti.
La finalità del legilatore era quella di permettere a coloro che già esercitano l'attività di estetica, di poter completare le proprie prestazioni erogando il servizio di manicure, pedicure e make-up anche al domicilio del committente.
Questa opportunità viene concessa a chi già esercita l'attività presso una sede fisica.
Non è corretto, secondo la mia interpretazione, giustificare soggetti che esercitano esclusivamente l'attività estetica presso il domicilio del committente.
Il comma 7 dell'art 8 della LR 28/2004 recita
[i]L'attività di estetica può essere svolta presso il domicilio dell'esercente in locali che rispondano ai requisiti previsti dal
regolamento comunale di cui all'articolo 6. [b]Coloro che esercitano l´attività di estetica, o i loro dipendenti appositamente
incaricati,[/b] in possesso della qualifica professionale di estetista, possono fornire, presso il domicilio del committente, determinate
prestazioni individuate dal regolamento regionale di cui all´articolo 5.[/i]
C'e una diversa interpretazione tra la definizione "attività di estetica" e la definizione di "coloro che esercitano l'attività di estetica o i loro dipendenti appositamente incaricati".
Nel primo caso si parla di una attività autonoma rispetto a quella svolta presso i laboratori di estetica; nel secondo caso si parla di una opportunità data ai singoli operatori qualificati (titolari e dipendenti di imprese esistenti con locali autorizzati), che sono autorizzati ad effettuare prestazioni anche al di fuori dei locali autorizzati.
E' una opportunità per dare a questi soggetti la possibilità di completare le proprie prestazioni, non è l'autorizzazione di una nuova modalità di erogare il servizio di estetica.
Non avrebbe infatti senso la precisazione che tale opportunità viene concessa anche ai dipendenti .
Se il legilatore avesse voluto intendere che l'attività di estetica esclusivamente presso il domicilio del committente, poteva acqusire validità autonoma, poteva indicare come in altre parti della legge, la definizione "l'attività di estetica"
ti ringrazio per l'attenzione
ciao
Fabrizio Fallani
CNA Firenze
Buongiorno Simone,
intervengo in questa discussione, perche ritengo che la norma non sia così chiara come tu la interpreti.
La finalità del legilatore era quella di permettere a coloro che già esercitano l'attività di estetica, di poter completare le proprie prestazioni erogando il servizio di manicure, pedicure e make-up anche al domicilio del committente.
Questa opportunità viene concessa a chi già esercita l'attività presso una sede fisica.
Non è corretto, secondo la mia interpretazione, giustificare soggetti che esercitano esclusivamente l'attività estetica presso il domicilio del committente.
Il comma 7 dell'art 8 della LR 28/2004 recita
[i]L'attività di estetica può essere svolta presso il domicilio dell'esercente in locali che rispondano ai requisiti previsti dal
regolamento comunale di cui all'articolo 6. [b]Coloro che esercitano l´attività di estetica, o i loro dipendenti appositamente
incaricati,[/b] in possesso della qualifica professionale di estetista, possono fornire, presso il domicilio del committente, determinate
prestazioni individuate dal regolamento regionale di cui all´articolo 5.[/i]
C'e una diversa interpretazione tra la definizione "attività di estetica" e la definizione di "coloro che esercitano l'attività di estetica o i loro dipendenti appositamente incaricati".
Nel primo caso si parla di una attività autonoma rispetto a quella svolta presso i laboratori di estetica; nel secondo caso si parla di una opportunità data ai singoli operatori qualificati (titolari e dipendenti di imprese esistenti con locali autorizzati), che sono autorizzati ad effettuare prestazioni anche al di fuori dei locali autorizzati.
E' una opportunità per dare a questi soggetti la possibilità di completare le proprie prestazioni, non è l'autorizzazione di una nuova modalità di erogare il servizio di estetica.
Non avrebbe infatti senso la precisazione che tale opportunità viene concessa anche ai dipendenti .
Se il legilatore avesse voluto intendere che l'attività di estetica esclusivamente presso il domicilio del committente, poteva acqusire validità autonoma, poteva indicare come in altre parti della legge, la definizione "l'attività di estetica"
ti ringrazio per l'attenzione
ciao
Fabrizio Fallani
CNA Firenze
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Salve Fabrizio.
L'interpretazione da te proposta è senz'altro una delle possibili (ed anzi direi la più diffusa) a fronte di un testo normativo, purtroppo, NON CHIARO (ma in Italia dobbiamo convivere con questo fenomeno).
A fronte di tale formulazione letterale, ed in presenza di più interpretazioni possibile, da sempre riteniamo che l'art. 3 del Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui [color=red]l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge[/color]) porti a ritenere doverosa l'intepretazione più favorevole (che non obbliga alla disponibilità di una sede fissa).
Ciò anche in virtù dei principi del Dlgs 59/2010 sulla libertà di stabilimento dei professionisti comunitari (che possono senz'altro operare in Italia senza avere da noi una sede stabile) e del principio di divieto di discriminazione inversa (Parità di trattamento) per cui i cittadini italiani possono invocare le norme sulle liberalizzazioni qualora trovino applicazione per i cittadini comunitari.
In questo senso segnalo:
http://www.comune.casalecchio.bo.it/upload/casalecchiodireno_ecm6/gestionedocumentale/all_D_parere_avv_Longano_prov_784_17653.pdf
In questo senso i nostri esperti si sono pronunciati (ovviamente ciò non significa che abbiano ragione!):
http://www.omniavis.it/web/forum/index.php?topic=19982.0
http://www.omniavis.it/web/forum/index.php?topic=14957.0
http://www.omniavis.it/web/forum/index.php?topic=18178.0
http://www.omniavis.it/web/forum/index.php?topic=29707.0
Non ci risulta giurisprudenza sull'argomento ....
Anche nell'ipotesi in cui sia prescritta la dotazione di una sede fissa, l'interessato potrebbe aggirare la norma:
1) attivandola presso altro esercizio e poi operando solo a domicilio (avrebbe sede autorizzata ... ma non sarebbe obbligato ad esercitare nella sede)
2) attivandola in altro Stato UE (soluzione tecnicamente possibile ma più difficile)
Pur nella consapevolezza di come la questione sia delicata, i principi di cui al DL 138/2011 e al DL 1/2012 (tralasciando altre norme analoghe) rappresentano delle fondamenta imprescindibili sulle quali basare l’interpretazione delle norme che regolano le attività produttive. Parimenti, la corte costituzionale ha chiarito che l’esercizio di una professione deve trovare la medesima potenzialità a livello nazionale.
Ecco, in base a queste norme è possibile, ad esempio, leggere SCIA dove è scritto autorizzazione (vedi il caso delle edicole) ed è possibile ritenere che ogni divieto afferente ad un’attività produttiva necessiti di una motivazione particolare e di un’affermazione così esplicita da non lasciare dubbi.
Riporto un passo di una recente sentenza del TAR Milano (n. 149/2015):
[i]Ciò posto, trova applicazione al caso di specie il principio, di matrice giurisprudenziale, secondo il quale le norme comportanti restrizioni e vincoli allo svolgimento dell’attività commerciale privata devono essere interpretate, in caso di dubbio, in modo da consentire il più ampio svolgimento dell’iniziativa economica (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 6309/2001; T.A.R. Lazio, Sez. ll, n. 5036/2013).
2.6. Tale impostazione, peraltro, trova conforto anche nella previsione normativa contenuta nell’art. 1, comma 2, del D.L. n. 1/2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 27/2012, secondo il quale “le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate e applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l’iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti
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