TAR Trento 21/2/2013 n. 64
FATTO e DIRITTO
1. La ricorrente E. S.r.l. agisce nel presente giudizio quale operatrice di Lottomatica Videolot Rete, che è concessionaria del servizio pubblico di gestione telematica del gioco lecito e si occupa della gestione degli apparecchi e dello sviluppo del gioco stesso nel territorio della regione Trentino- Alto Adige.
Nel Comune di Campitello di Fassa la ricorrente ha installato apparecchiature per il gioco, dette “slot machine”, presso la rivendita di generi di Monopolio di S. O..
La ricorrente allega che, successivamente alla stipula del contratto con la citata esercente, il Consiglio comunale di Campitello di Fassa ha adottato la deliberazione n. 20 di data 8 marzo 2012 avente ad oggetto: "Limitazioni alla collocazione di apparecchi da gioco sul territorio comunale ai sensi dell'art. 13 bis della L.P. 9/2000 e s.m." con cui ha vietato la collocazione di apparecchi da intrattenimento con vincita in denaro in un raggio di 300 metri da luoghi definiti “sensibili”, elencati nel provvedimento stesso.
Tale deliberazione sarebbe immediatamente lesiva dell’interesse della ricorrente, sia per l’asserita inibizione alla sostituzione degli apparecchi esistenti presso l’anzidetto esercente con altri nuovi, sia in relazione ad iniziative di sviluppo del gioco, spettanti alla ricorrente come mandataria della concessionaria Lottomatica.
2. Essa ha dunque impugnato tale provvedimento deducendo i seguenti motivi:
1) violazione del D.L. n. 138/2011 che reca la norma secondo cui l’accesso alle attività economiche ed il loro esercizio si basano sul principio di libertà di impresa;
2) violazione dell’art. 6 della L. n. 180/2011 (concernente “Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese”), non essendo stato considerato l’impatto della deliberazione impugnata sull’attività imprenditoriale;
3) eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione in quanto le esigenze di protezione della popolazione dai rischi legati all’insorgenza di dipendenza da gioco d’azzardo (in tal senso, la ludopatia sarebbe collegata al gioco d’azzardo illecito e non al gioco lecito, per il quale il legislatore avrebbe già operato un bilanciamento degli interessi) non sono state né accertate con adeguata istruttoria, né estrinsecate con sufficiente motivazione;
4) violazione dell’art. 13bis della L.P. n. 9/2000, letta in relazione agli artt. 3, 41 e 117 Cost., divenendo impossibile avviare nuove iniziative di raccolta del gioco lecito o sostituire gli apparecchi già esistenti con altri nuovi, poiché non rimarrebbe alcuna zona utile nel territorio comunale, che non sia entro la fascia di rispetto di 300 metri dai siti “sensibili” elencati nella deliberazione impugnata. Il divieto, sostanzialmente generalizzato e surrettiziamente così introdotto, si porrebbe in contrasto diretto con le norme costituzionali di uguaglianza e di libertà di impresa, nonché col principio di libertà della concorrenza. Sotto altro profilo la delibera impugnata violerebbe il principio di legalità e di riserva di legge, trattandosi di regolamentazione che rientra nella materia “pubblica sicurezza”, di competenza statale esclusiva;
5) violazione sotto altro profilo dello stesso art. 13bis della L.P. n. 9/2000; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto il Comune di Campitello di Fassa ha indicato numerosi siti che esulano da quelli enumerati dalla legge provinciale; anche ritenendo che l’elencazione dell’art. 13bis citato non sia tassativa, nondimeno il Comune non avrebbe accertato né spiegato perché gli ulteriori siti, non ricompresi nell’elencazione della legge, siano da considerarsi “sensibili”. Inoltre, non sarebbero stati individuati, in concreto, né la consistenza delle “categorie di popolazione più vulnerabile”, né l’esistenza e l’incidenza del fenomeno della “proliferazione del gioco d’azzardo”, né l’impatto “sulla sicurezza urbana, la viabilità, l’inquinamento acustico ed il disturbo della quiete pubblica”, come previsto dall’art. 13bis , comma 2, della legge provinciale;
6) sviamento di potere e violazione della L.P. n. 1/2008, in quanto l’art. 13bis, che attribuisce ai Comuni una mera facoltà di regolamentazione in subiecta materia, non indica le relative modalità provvedimentali che, però, non potrebbero che essere quelle disciplinate dalla normativa urbanistica, trattandosi di regolamentazione incidente sul governo del territorio, asseritamente inosservate nella fattispecie;
7) violazione del principio di irretroattività degli atti amministrativi, in quanto, pur se si afferma nella deliberazione impugnata che essa non si applica agli apparecchi da gioco già installati, tuttavia si dispone di “monitorare gli apparecchi da gioco esistenti nel Comune, al fine della loro progressiva rimozione”, in tal modo incidendo illegittimamente su situazioni pregresse e consolidate; inoltre, non sarebbe consentita la sostituzione degli apparecchi esistenti con altri nuovi;
8) violazione dell’art. 97 Cost. per la parzialità della limitazione che non va ad incidere su altre offerte di gioco (come, ad esempio, lotto, superenalotto, bingo, totocalcio, etc.);
9) violazione, sotto ulteriore profilo, dell’art. 13bis della L.P. n. 9/2000, in quanto tale norma è inserita in un contesto normativo dedicato all’attività alberghiera e di somministrazione di alimenti e bevande e dovrebbe essere interpretata come riferita esclusivamente a tale categoria di esercizi, mentre la deliberazione comunale impugnata riguarda anche gli apparecchi installati presso tutti, indistintamente, gli esercizi pubblici e commerciali;
10) illegittimità costituzionale dell’art. 13 bis della L.P. n. 9/2000, in relazione agli artt. 3, 41, 117, secondo comma, lett. e) e h), Cost., per violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza, non essendo stati ricompresi nella disciplina limitativa tutti gli altri giochi, per l’irragionevole divieto di sostituire gli apparecchi già installati, per violazione della riserva di legge statale nella materie della tutela della concorrenza e dell’ordine pubblico e sicurezza e per contrasto col principio di libertà dell’iniziativa economica.
3. Si sono costituite in giudizio l’Amministrazione comunale intimata e la Provincia autonoma di Trento, contestando diffusamente la fondatezza del ricorso e concludendo per la sua reiezione.
Con ordinanza n. 88, adottata nella camera di consiglio del 12 luglio 2012, la domanda cautelare presentata dalla ricorrente è stata respinta.
Le parti hanno presentato memorie illustrative delle rispettive posizioni e repliche.
4. In particolare, con le memorie depositate (ma non previamente notificate) il 9.7.2012 ed il 21.12.2012, parte ricorrente ha:
- eccepito la nullità e/o l’inesistenza ed in ogni caso la disapplicabilità della deliberazione impugnata e della presupposta norma di legge provinciale (art. 13bis L.P. n. 9/2000) per contrasto col diritto comunitario, ed in particolare con la direttiva 98/34/CE a causa della mancata comunicazione preventiva alla Commissione Europea, come prescritto trattandosi di “regole tecniche afferenti i servizi della società dell’informazione”;
- chiesto al Tribunale, alla luce della dedotta incompatibilità della normativa provinciale con il diritto comunitario, di valutare l’opportunità di sospendere il giudizio per proporre alla Corte di Giustizia CE la questione pregiudiziale in ordine all’interpretazione della stessa direttiva;
- dedotto il contrasto del citato art. 13bis con la sopravvenuta normativa statale di cui al D.L. 13.9.2012, n. 158 in materia sanitaria (c.d. decreto Balduzzi), convertito nella L. 8.11.2012, n. 189, che si sarebbe sovrapposta alla disciplina di legge provinciale, determinandone la sopravvenuta inapplicabilità.
Alla pubblica udienza del 24 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.
5. Passando alle considerazioni del Collegio, va premesso che la deliberazione in contestazione è stata adottata in applicazione dell’art. 13bis della L.P. 14.7.2000, n. 9 (come introdotto dall’art. 47 della L.P. 27.12.2011, n. 18) che attribuisce ai Comuni la facoltà di limitare nel proprio territorio l’installazione di nuovi apparecchi da gioco con vincite in denaro, mediante la fissazione di fasce di rispetto da luoghi “sensibili”, per tutelare le categorie di persone più vulnerabili e prevenire l’insorgere della dipendenza patologica da gioco (ludopatia).
6. Sulla legittimazione della ricorrente ad impugnare tale deliberazione, attesi i suoi rapporti con la concessionaria Lottomatica Videolot Rete ai fini dello sviluppo della raccolta del gioco telematico con vincite in denaro nel territorio regionale e l’incidenza negativa su tali rapporti economici ad opera del provvedimento comunale impugnato, non vi sono dubbi.
7. Pregiudiziale all’esame dei diversi motivi di ricorso è la questione, posta dalla ricorrente con memoria depositata successivamente al ricorso, se vi sia stata la dedotta violazione della Direttiva n. 98/34/CE, poiché, in tal caso, la norma di legge provinciale e la deliberazione impugnata dovrebbero essere disapplicate (sulla disapplicazione della fonte interna per contrasto con l’ordinamento comunitario, cfr. ad es.: Consiglio di Stato, sez. V, 7 aprile 2011, n. 2155; Corte costituzionale, 24 giugno 2010, n. 227), atteso che l'inadempimento dell'obbligo di notifica costituisce un vizio nel procedimento di adozione delle regole tecniche che comporterebbe la loro inapplicabilità.
8. La Direttiva n. 98/34/CE del 22 giugno 1998 (avente ad oggetto “Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società d’informazione”) reca i seguenti “considerando”:
- “che il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne in cui sia garantita la libera circolazione dei beni, delle persone, dei servizi e dei capitali” e “che, dunque, il divieto di restrizioni qualitative nonché misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative costituisce uno dei fondamenti della Comunità” (considerando 2);
- che “per assicurare il buon funzionamento del mercato interno è opportuno garantire la massima trasparenza delle iniziative nazionali tese ad introdurre norme e regolamenti tecnici” (considerando 3);
- che “gli ostacoli agli scambi dei prodotti, derivanti dalle regolamentazioni tecniche relative agli stessi, sono ammissibili solo se necessari per soddisfare esigenze imperative e se perseguono un obiettivo di interesse generale di cui costituiscono la garanzia basilare” (considerando 4).
L’art. 8 introduce l’obbligo per gli Stati membri di comunicare immediatamente alla Commissione ogni “progetto di regola tecnica”, intendendosi per tale anche le “disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative … che vietano la fabbricazione, l’importazione, la commercializzazione o l’utilizzo di un prodotto oppure la prestazione o l’utilizzo di un servizio o lo stabilimento come fornitore di servizi” (art. 1, comma 11).
La giurisprudenza comunitaria (cfr., Corte di Giustizia, sez. III, sentenza 8.11.2007, n. 20) ha avuto modo di precisare che la nozione di "regola tecnica" è scomponibile in tre categorie: "specificazione tecnica" ai sensi dell'art. 1, punto 3, della Direttiva; "altro requisito", come definito dall'art. 1, punto 4; nonché “divieto di fabbricazione, importazione, commercializzazione o utilizzo”, di cui all’art. 1, punto 11 (in termini, Corte di Giustizia, sentenza 21.4.2005, causa C-267/03, Lindberg).
Nella specie, è pacifico che tale comunicazione non sia stata effettuata né dalla Provincia con riguardo all’introduzione dell’art. 13 bis nella l.p. n. 9 del 2000, né dal Comune di Campitello di Fassa con riferimento alla deliberazione impugnata.
9. Ebbene, ritiene anzitutto il Collegio che la censura in esame, essendo stata proposta con una semplice memoria, tardiva e non notificata, anziché con un rituale motivo di ricorso tempestivamente proposto, sia inammissibile alla luce di quanto afferma la giurisprudenza amministrativa prevalente.
Invero, in base ai noti principi in tema di annullamento di atti contrastanti con il diritto comunitario, l’atto amministrativo adottato in asserita violazione del diritto comunitario (prospettandosi un’illegittimità comunitaria "diretta") è annullabile alla stregua degli ordinari canoni di valutazione della patologia dell'atto, sussistendo, pertanto, il preciso onere della sua impugnazione entro il prescritto termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità.
Analoghi principi vanno seguiti in ipotesi di illegittimità comunitaria "indiretta", cioè quando l'atto sia emanato sulla base di una norma di legge che si asserisce anticomunitaria, non essendovi nemmeno in tal caso alcuna ragione per ritenere incompatibile il sistema impugnatorio disciplinato dall’ordinamento interno con la denuncia dei vizi di tale forma di illegittimità comunitaria.
L'illegittimità "comunitaria" dell'atto amministrativo deve, dunque, essere parificata all'illegittimità tout court, come avviene per qualsiasi vizio che possa determinarne l'annullamento (cfr., C.d.S., sez. VI, 5.3.2012, n. 1244; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 5.4.2012, n. 3142 e, in una fattispecie analoga alla presente, T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 30.11.2012, n. 449).
Per il diritto comunitario, infatti, sussiste l’autonomia degli Stati membri nell'approntare gli strumenti processuali di tutela giurisdizionale a fronte di posizioni giuridiche pur anche di matrice europea, non essendo previsti specifici rimedi a carattere armonizzato, in quanto il Trattato CE non ha creato nuovi mezzi d'impugnazione esperibili dinanzi ai giudici nazionali per rendere effettivo il diritto comunitario, diversi da quelli già contemplati dal diritto nazionale stesso (cfr., Corte di giustizia, sentenza 13.3.2007, in causa C-432/05, Unibert).
Inoltre, l'atto amministrativo che viola il diritto comunitario è affetto dal vizio di illegittimità per violazione di legge e non dal vizio di nullità, come sostenuto dalla ricorrente, poiché l'art. 21 septies della legge 7.8.1990, n. 241, ha codificato in un numero chiuso e limitato le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, tra cui non vi rientra la violazione del diritto comunitario (cfr., C.d.S., sez. VI, 31.3.2011, n. 1983; 31.5.2008, n. 2623; 22.11.2006, n. 6831).
10. Tuttavia, ritiene il Collegio di entrare ugualmente nel merito della questione, tenuto conto dell’orientamento della Corte di giustizia secondo cui è obbligo del giudice adito disapplicare le disposizioni nazionali se la loro applicazione rende impossibile o estremamente difficile l’applicazione del diritto comunitario (cfr., sentenza 27.2.2003, in causa C-327/00, Santex; sentenza 24.5.2012, in causa C-97/11, Amnia).
All’esposta ragione si aggiunge la delicatezza e dalla complessità della materia, al cui chiarimento è utile l’apporto di una decisione di merito, che oltretutto valga a orientare anche altre Amministrazioni, diverse da quella di causa.
La questione è, comunque, priva di fondamento.
A sostegno del proprio assunto la ricorrente ha indicato e prodotto alcune sentenze tra cui - ritenendola particolarmente significativa, in quanto asseritamente relativa alla stessa materia - la sentenza della Corte di Giustizia 26.10.2006 (in causa C-65/05 della Commissione delle Comunità europee contro la Repubblica ellenica).
Con tale decisione si è deciso che la Grecia era venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’appartenenza all’Unione europea, avendo introdotto il divieto, a pena di sanzioni penali o amministrative, di installare e di gestire qualsiasi gioco elettrico, elettromeccanico ed elettronico, compresi tutti i giochi al computer, in qualsiasi luogo pubblico o privato diverso dai Casinò. In particolare, la Grecia non aveva provato di aver attuato tutte le misure tecniche e di organizzazione idonee a conseguire l’obiettivo perseguito utilizzando, con criteri di proporzionalità, misure meno restrittive per gli scambi intracomunitari, come pure la Commissione aveva proposto nel corso della procedura precontenziosa.
Tuttavia, dalla motivazione della citata sentenza del Giudice europeo si desume inequivocabilmente che il caso all’esame della Corte era diverso da quello di cui si controverte in questa sede.
La legge greca aveva ad oggetto, infatti, il divieto assoluto di installare qualsiasi gioco elettrico, elettromeccanico ed elettronico, compresi tutti i giochi al computer, sull’assunto che essi “sono facilmente convertibili in giochi d’azzardo … con la comparsa di gravi problemi sociali”.
In tal senso, in alcuni fondamentali passaggi di quella decisone - dopo aver osservato che la Grecia aveva vietato tutti i giochi, compresi quelli “che non presentano caratteristiche comparabili a quelle dei giochi d’azzardo in quanto non hanno lo scopo di offrire una speranza di vincita in denaro” - la Corte ha soggiunto che:
- la tutela dei destinatari del servizio e, più in generale, dei consumatori, nonché la tutela dell’ordine sociale, sono scopi che rientrano nel novero delle “esigenze imperative” connesse all’interesse generale (cfr., in tal senso, sentenze 24.3.1994, causa C275/92, Schindler; 21.9.1999, causa C124/97, Läärä);
- detti motivi, ma anche considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, ben possono giustificare restrizioni, che possono giungere sino all’introduzione del divieto, purché non assoluto e indiscriminato, di lotterie e di altri giochi d’azzardo nel territorio di uno Stato membro.
11. Altra pronuncia della Corte di giustizia, citata da parte ricorrente (8.11.2007, in causa C-20/05) riguarda invece l’obbligo di apporre il contrassegno distintivo SIAE sui compact disc, che è stato considerato “regola tecnica”, Anche questo caso è dunque diverso da quello in esame.
Nemmeno conferente alla fattispecie qui dedotta appare la sentenza della Corte di giustizia 21.4.2005, in causa C-267/03, in quanto il divieto di organizzare lotterie con l’impiego di macchine da gioco automatiche, ivi considerato, è stato ritenuto “regola tecnica” solo “qualora si accerti che la portata del divieto in questione è tale da consentire solamente un utilizzo puramente marginale del prodotto” (così nel § 1 del dispositivo).
All’opposto delle fattispecie esaminate dal Giudice comunitario, gli apparecchi detti slot machine continuano ad essere installabili nel Comune di Campitello di Fassa, seppur nel rispetto delle distanze dai siti “sensibili”.
Al riguardo, vale rammentare che anche recentemente la Corte di Giustizia ha puntualizzato che la disciplina dei giochi d'azzardo rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale. Conseguentemente, si è ribadito le restrizioni alle predette attività di gioco possono essere introdotte se giustificate da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell'incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco medesimo (cfr., sentenza 24.1.2013, nelle cause riunite C-186/11 e C-209/11).
12. Dunque, leggendo e applicando con rigoroso e puntuale criterio ermeneutico l’insegnamento della Corte di Giustizia, ben può affermarsi che:
- alla luce dell’art. 28 (ora art. 36) del Trattato CE - che fa salvi eventuali divieti introdotti dai singoli Stati membri giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone, nonché in considerazione di specificità socioculturali - nel territorio di uno Stato membro sono perfettamente ammissibili restrizioni che vadano sino al divieto delle lotterie e di altri giochi a pagamento e con vincite in denaro; in tal caso, trattandosi di un divieto generalmente riconosciuto nell'Unione Europea per superiori finalità di interesse generale, non vi è dunque contrasto con il diritto comunitario perché non vengono creati nuovi ostacoli al libero scambio;
- in ogni caso, il divieto di organizzare lotterie e giochi d’azzardo con l’impiego di macchine da gioco automatiche può rappresentare una “regola tecnica” soltanto laddove la portata del divieto sia tale da consentire un utilizzo puramente marginale di tali prodotti. Evento, questo, non configurabile nel caso di specie, in cui non si tocca il “patrimonio” tecnologico esistente né il suo rinnovamento, ma si opera solo una sua limitazione per finalità di interesse generale.
La giurisprudenza citata, inoltre, non torna utile a parte ricorrente perché dimostra che la Corte di Giustizia ha sempre valorizzato il disposto dell’ultimo comma dell’art. 1 della Direttiva n. 98/34/CE in esame, ove esclude dalla sua applicazione “le misure che gli Stati membri ritengono necessarie nel contesto del trattato per garantire la protezione delle persone … in occasione dell’impiego di prodotti, a condizione che tali misure non influiscano sui prodotti stessi”.
13. Alla luce delle suesposte considerazioni si deve concludere affermando che, anche ad ammettere che si tratti di prescrizioni tecniche nel settore dei servizi di informazione (cosa già di per sé dubbia), la norma di legge provinciale qui di interesse non contiene, comunque, regolamentazioni tecniche dell’attività economica in questione tali che avrebbero dovuto essere previamente comunicate alla Commissione. L’art. 13 bis ha, più semplicemente, introdotto norme finalizzate alla restrizione dell’impiego del gioco in delimitate aree per “tutelare determinate categorie di persone maggiormente vulnerabili e per prevenire la dipendenza dal gioco”, cioè per tutelare un interesse fondamentale salvaguardato dallo stesso Trattato CE e, ancor prima, dalla nostra Costituzione, qual è quello alla salute.
Alla stregua di tali osservazioni l’Amministrazione provinciale non era tenuta a comunicare preventivamente alla Commissione europea l'intenzione di introdurre nel proprio ordinamento le disposizioni limitative di cui al più volte citato art. 13 bis, non rientrando esse nell'ambito di applicazione della Direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998.
Né, tanto meno, vi era tenuto il Comune di Campitello di Fassa, a tacere oltretutto del fatto che le amministrazioni comunali non rientrano nell’elenco delle autorità nazionali tenute all'obbligo di notificare i progetti di regole tecniche, ai sensi dell’art. 1, punto 11, della stessa Direttiva (cfr., Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C 23/3 del 27.1.2000).
14. Occorre ora esaminare i rilievi con cui si prospetta, per un verso, l’incostituzionalità della legge provinciale e, per altro verso, la sua inapplicabilità, o abrogazione implicita, ad opera del c.d. “decreto Balduzzi”, e cioè del D.L. 13.9.2012, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della L. 8.11.2012, n. 189.
15. Il Legislatore trentino è intervenuto nel 2011, con le già citate disposizioni dell’art. 13 bis, prendendo a riferimento l’analoga iniziativa legislativa della Provincia di Bolzano che, un anno prima, con la l.p. n. 13 del 22 novembre, modificando la l.p. 13.5.1992, n. 13 (art. 5 bis), in materia di pubblico spettacolo, e la l.p. 14.12.1988, n. 58 (art. 11, comma 1 bis), sugli esercizi pubblici, ha previsto che l’esercizio di sale da giochi o di attrazione, così come la messa a disposizione di giochi leciti, non possano essere autorizzati ove le sale e i giochi siano ubicati nelle vicinanze (“in un raggio di 300 metri”) di “istituti scolastici, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani, o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio assistenziale”.
La legge provinciale altoatesina consente, altresì, alla Giunta provinciale di individuare ulteriori “luoghi sensibili” nei quali le predette sale non possono essere ubicate, in considerazione dell’“impatto” che esse avrebbero “sul contesto urbano e sulla sicurezza urbana nonché dei problemi connessi con la viabilità, l’inquinamento acustico ed il disturbo della quiete pubblica”.
16. Il predetto richiamo non è fuor di luogo; infatti, la legge altoatesina è stata impugnata davanti alla Corte costituzionale dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ad avviso del quale le norme sopra riportate eccedevano la competenza legislativa provinciale ed invadevano quella statale in materia di ordine pubblico e sicurezza.
La Corte, con la pronuncia n. 300, pubblicata il 10.11.2011, ha però respinto il ricorso sul rilievo che la legge della Provincia autonoma di Bolzano non è riconducibile alla competenza dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza.
Al riguardo, la Corte ha innanzitutto ribadito che, in base alla sua consolidata giurisprudenza, la materia dell’“ordine pubblico e sicurezza” attiene alla “prevenzione dei reati ed al mantenimento … del complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunità nazionale”.
La Corte ha dunque fornito un’interpretazione restrittiva alla nozione di “ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale”, di cui all’art. 117, secondo comma, lett. h), della Costituzione, conforme peraltro a precedenti pronunce, ove era già stato affermato che questa materia riguarda gli ambiti del diritto alla sicurezza, comprensivo “dell’interesse generale alla pubblica incolumità delle persone” e della lotta alla criminalità, i quali presentano esigenze specifiche di unitarietà e di coordinamento su tutto il territorio (cfr., da ultimo, Corte Cost. 28.1.2010, n. 21). Diversamente opinando, a detta della stessa Corte, si registrerebbe un’indebita e incontrollata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico, che rischierebbe di mettere in crisi la stessa ripartizione costituzionale delle competenze legislative, con una preminente e fagocitante competenza statale potenzialmente estensibile a ogni tipo di attività.
17. La Consulta ha poi precisato che occorre identificare la materia in cui si collocavano le norme sottoposte al suo giudizio, e che a tal fine avrebbe utilizzato il consueto argomento teleologico, ossia “tenendo conto della loro ratio, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi”, al fine di identificare correttamente e compiutamente l’interesse primario tutelato dalle norme assertivamente invasive di competenze normative altrui.
In tal senso, ha precisato che le disposizioni portate al suo esame sono “dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo”, con l’ulteriore finalità, anch’essa di carattere generale, di “evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica”.
Le caratteristiche individuate dalla Corte valgono a differenziare le disposizioni impugnate dal normale contesto normativo e dalla tradizionale ottica, prevalentemente penalistica, in cui ordinariamente viene considerata la materia del gioco, così “rendendo la normativa provinciale in esame non riconducibile alla competenza legislativa statale”.
A riprova di ciò - sempre secondo la Corte - sta il fatto che le disposizioni altoatesine hanno “riguardo a situazioni che non necessariamente implicano un concreto pericolo di commissione di fatti penalmente illeciti o di turbativa dell’ordine pubblico … preoccupandosi, piuttosto, delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi degli utenti”.
In definitiva, ove la disciplina provinciale non incida direttamente sull’individuazione e sull’installazione dei giochi leciti, ma solo sul fattore relativo alla prossimità a determinati luoghi che, per la loro particolare o prevalente frequentazione potrebbero, da un lato, spingere al gioco soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva ed attrattiva “dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni”, dall’altro, “influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate”, la potestà legislativa compete alla Provincia autonoma.
18. Le considerazioni della sentenza sono perfettamente trasponibili alla normativa provinciale trentina qui in esame, sia per l’identità di disciplina, di oggetto e di scopo con la legge di Bolzano sia perché emanato dopo la pronuncia della Corte.
La sentenza n. 300 del 2011 appare inoltre particolarmente significativa anche per un ulteriore ordine di ragioni.
Infatti, la pronuncia della Corte ha ben individuato la finalità principale delle norme provinciali sottoposte al suo vaglio nell’esigenza che siano introdotte misure di prevenzione e tutela sanitaria per le conseguenze sia individuali che collettive causate dalla diffusione dei giochi a pagamento. Questi, provocando in una parte più vulnerabile psichicamente della popolazione fenomeni di ludopatia, riconosciuta ormai ufficialmente nei livelli essenziali di assistenza (l.e.a.), come si dirà in prosieguo, rappresentano un’emergenza sociale gravissima, con conseguenze economiche e sociali devastanti anche per le ricadute sulle relazioni familiari e lavorative degli interessati.
Difatti, di fronte alle motivazioni sull’espansione del gioco lecito avanzate nel ricorso in via principale dal Governo, secondo il quale la legislazione dello Stato si sta orientando “non tanto verso l’enfatizzazione del disvalore morale del gioco d’azzardo” ma piuttosto incentivando la maggiore diffusione possibile del gioco controllato dallo Stato, anche attraverso l’ampliamento dell’offerta con nuove tipologie di giochi, con la sentenza in esame la Corte ha ritenuto che, accanto a un’indiscutibile strategia di “controllo” sulle attività e sull’esercizio dei giochi, riservata allo Stato, è contestualmente necessaria anche una strategia di “contenimento mirato” della diffusione di tali giochi e che, per queste ultime finalità, la disciplina nazionale non è né sufficiente né competente in via esclusiva.
Anche la dottrina ha messo in rilievo che una strategia di “contenimento” dell’offerta dei giochi richiede una capacità di intervento sulle esigenze locali e una conoscenza della struttura sociale ed economica del territorio, che solo gli enti territoriali possono avere. Trattasi dunque non solo dell’esercizio di competenze statutariamente attribuite ma anche dell’applicazione del principio della “sussidiarietà responsabile”, sul quale si è basata la riforma del Titolo V della Costituzione, in base al quale la disciplina volta ad arginare specifiche problematiche locali deve collocarsi al livello territoriale più efficiente rispetto alle diverse responsabilità istituzionali.
19. Da ciò una prima conclusione.
Essendo l’art. 13 bis in esame dichiaratamente finalizzato a “tutelare determinate categorie di persone maggiormente vulnerabili e prevenire la dipendenza dal gioco” (comma 1) nonché ad assicurare “la qualità del contesto urbano e della sicurezza urbana e dei problemi connessi con la viabilità, l'inquinamento acustico e il disturbo della quiete pubblica” (comma 2), esso è riconducibile a plurime competenze legislative provinciali.
Più precisamente:
- quella concorrente in materia di tutela sanitaria e socio-assistenziale;
- quella primaria in materia di urbanistica, seppur, nella specie, di natura non pianificatoria;
- quella residuale ed esclusiva sugli esercizi pubblici, da considerarsi infatti ricompresa nella più ampia competenza residuale della Provincia (in forza del combinato disposto dell’art. 117, quarto comma, Cost. e dell’art. 10 della legge cost. 18.10.2001, n. 3).
20. Oltre a ciò, e rispondendo alle censure di parte ricorrente, la disciplina legislativa della Provincia di Trento in esame non è né irragionevole né sproporzionata in relazione alla gravità del fenomeno sociale della ludopatia, in crescente e preoccupante aumento.
Infatti, in base ai dati forniti dal Ministero della Salute in occasione della presentazione dell’ultima “Relazione sullo stato sanitario del Paese - 2011”, i soggetti affetti da gioco d’azzardo problematico sono circa 700.000, di cui circa 300.000 a livello patologico. Di questi, nel 2011 e limitatamente alle Regioni e Province autonome che avevano trasmesso i dati, “sono risultati in trattamento per gioco d’azzardo patologico 4.687 soggetti, di cui l’82% maschi” (cfr., www.rssp.salute.gov.it). Di riflesso, nella citata Relazione il Ministro ha chiesto “maggiore concertazione e coordinamento degli obiettivi fra Istituzioni centrali, regionali e locali coinvolte per affrontare alcune problematiche emergenti, quali il contrasto al gioco d’azzardo patologico”.
Quanto ai dati locali, dalla Relazione 2012 sul fenomeno delle dipendenze in Provincia di Trento, emerge che presso il Servizio Tossicodipendenze è stato registrato un trend di crescita degli utenti in trattamento per problematiche derivanti dal gioco d’azzardo: dai primi 4 casi di soggetti in trattamento nel 2007 si è passati ai 37 casi trattati nel primo semestre 2011. La maggior parte dei soggetti ha richiesto il trattamento per problematiche connesse al gioco delle slot machine (il 79,7%), mentre le lotterie (lotto e gratta e vinci) interessano il 10% dei pazienti e i giochi on-line circa il 5% (cfr., www.trentinosalute.net).
21. Le caratteristiche e le finalità della nuova disciplina legislativa provinciale trentina sono dunque esclusivamente preventive, non casuali o indifferenziate, ma ben mirate, in quanto rivolte a contenere l’anzidetto grave fenomeno sociale solo in determinate zone del territorio, in ragione della loro contiguità con luoghi frequentati da soggetti ritenuti, del tutto ragionevolmente, vulnerabili.
22. Con riferimento, poi, alla dedotta contrarietà dell’art. 13 bis al parametro di cui all'art. 41 Cost., il Collegio osserva che la libertà di iniziativa economica privata non è assoluta, restando affidato al Legislatore il compito di determinare i programmi e i controlli opportuni affinché essa possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali, tra cui non può non annoverarsi la tutela collettiva ed individuale della salute (cfr., C. cost. 7.7.2006, n. 279; 10.12.1987, n. 479; nonché questo Tribunale 14.1.2012, n. 18).
Nemmeno può essere condiviso il riferimento al parametro di cui all’art. 97 Cost., per la non imparzialità della limitazione introdotta che non incide sulle altre numerose offerte di gioco (lotterie, gratta e vinci, superenalotto, …).
Invero, diversa e più pericolosa - per la possibilità che ne derivi lo sviluppo della ludopatia - è l’attrattiva che esercitano, sui potenziali giocatori, gli apparecchi da gioco di cui trattasi, rispetto ad altre forme di gioco più tradizionali, per le quali la conoscenza dell’esito della giocata è differito ad un momento successivo; cosicché, per tali forme, temporalmente diluite, non si innesca con uguale misura il fenomeno della perdita di controllo sul gioco, cui segue il tentativo di recuperare immediatamente le perdite investendo somme via via più elevate.
Essendo diverse le modalità di gioco, i relativi meccanismi psicologici e i pericoli sottesi allo sviluppo di eventuale ludopatia, la norma provinciale non incorre, perciò, nel sospetto di violazione dell’invocato principio di imparzialità.
In ogni caso, rientra nella ragionevole discrezionalità del Legislatore disporre una maggior tutela delle fasce deboli della popolazione per uno piuttosto che per un altro sistema di gioco con vincita in denaro. Comunque, l’eventuale sospetto di incostituzionalità nei termini invocati dalla ricorrente non condurrebbe necessariamente ad una sentenza soppressiva della norma, ben potendosi ipotizzare anche una pronuncia additiva della Corte, estesa in pejus anche alle altre forme, più tradizionali, di gioco.
Consegue a ciò la manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale della normativa provinciale di Trento, con riferimento agli artt. 3, 41 e 97 Cost., sollevata con il decimo motivo di ricorso.
23. Dalla rilevata idoneità del sostegno normativo alla delibera impugnata, costituito dalla legge provinciale, deriva l’infondatezza anche di tutte le censure rivolte direttamente contro la deliberazione impugnata per profili diversi dalla violazione della Costituzione, precisamente quelle di:
a) violazione del D.L. n. 138/2011 e della L. n. 180/2011, per violazione del principio di libertà di impresa e per l’impatto della deliberazione impugnata sull’attività commerciale della ricorrente (primo e secondo motivo);
b) violazione della riserva di legge statale nell’assunto che la materia rientri nella “pubblica sicurezza”, asseritamente di competenza statale esclusiva (quarto motivo);
c) violazione del procedimento urbanistico, trattandosi come detto di norma direttamente incidente su materia sanitaria, rispetto alla quale nulla ha a che vedere l’attività di pianificazione del territorio (sesto motivo);
d) illegittima dilatazione del contesto normativo in cui la norma è inserita, dedicato all’attività alberghiera e di somministrazione di alimenti e bevande, trattandosi di previsione inserita con novella (nono motivo).
24. Queste prime conclusioni valgono anche a differenziare nettamente, sia in punto di fatto che in diritto, la presente questione da quelle di cui si era occupata la Corte costituzionale con le sentenze 26.2.2010, n. 72, e 22.6.2006, n. 237. Infatti, con la prima di esse, che riguardava un conflitto di attribuzione promosso dalla Provincia di Bolzano, la Corte ha dichiarato che spetta al Questore stabilire con proprio decreto la tabella dei giochi proibiti ai sensi dell’art. 110 del R.D. 18.6.1931, n. 773, da esporre nei pubblici esercizi, nonché disciplinare l’installazione e l’uso degli apparecchi da gioco. La seconda ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di norme di legge della Provincia di Trento che affidavano ad un regolamento la determinazione del numero massimo di apparecchi installabili presso gli esercizi pubblici, le sale giochi, i circoli privati e i punti di raccolta di altri giochi autorizzati.
25. Tornando al quadro normativo di riferimento, occorre ora esaminare la sopravvenuta disciplina statale (c.d. “decreto Balduzzi”) e la sua eventuale incidenza su quella provinciale.
Com’è noto, con il D.L. 13.9.2012, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della L. 8.11.2012, n. 189, al dichiarato specifico scopo di garantire livelli essenziali di assistenza per le persone affette anche da dipendenza da gioco con vincita di denaro, lo Stato ha:
- con l’art. 5, disposto l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (l.e.a.) disciplinati dal D.Lgs. 30.12.1992, n. 502, estendendoli alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette da ludopatia, come definita dalla stessa norma;
- con l’art. 7, rubricato “misure di prevenzione per contrastare la ludopatia”, disciplinato le forme pubblicitarie riguardanti il gioco con vincite in denaro (commi da 4 a 7), introdotto divieti e controlli per contrastare il gioco minorile (commi 8 e 9), nonché affidato all'Agenzia delle dogane e dei monopoli la pianificazione di “forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco” che risultano territorialmente prossimi a “istituti di istruzione primaria e secondaria, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi”.
Tralasciando il fatto che l’ultima disposizione citata, apparentemente la più incisiva, è però destinata a trovare attuazione solo in futuro (poiché la sua operatività è stata ancorata alle concessioni di raccolta del gioco bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto), è comunque significativo che anche lo Stato abbia prefigurato una strategia di “ricollocazione” (valevole quindi anche per gli esercizi già esistenti) degli apparecchi da gioco rispetto a ben determinati luoghi direttamente considerati “sensibili”.
26. Le recenti disposizioni statali in esame si collocano, all’evidenza, nella materia della tutela della salute, riservata alla legislazione concorrente dello Stato.
Infatti, applicando i già ricordati insegnamenti della Corte costituzionale, è evidente che, dalla combinata lettura di quanto affermato nell’epigrafe e disposto negli artt. 5 e 7, anche il Legislatore nazionale ha inteso introdurre alcuni strumenti (sia diretti che tramite i rapporti di concessione) per garantire e promuovere un più alto livello di tutela della salute con specifico riferimento alla ludopatia.
27. Vale allora rammentare, relativamente alle materie di potestà legislativa concorrente, che lo Statuto d’autonomia trentino, letto in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, stabilisce che la Provincia esercita la competenza concorrente con il solo limite del “rispetto dei principi fondamentali” stabiliti dalle leggi dello Stato, come indicato all'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Questa, a sua volta, sottolinea quindi il carattere generale della potestà legislativa concorrente, limitando l’intervento legislativo statale alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina.
Ebbene, uno dei principi fondamentali del sopravvenuto decreto Balduzzi è sicuramente l’esigenza - sia pure valutata con un diverso grado di urgenza - che tra i locali ove sono installati gli apparecchi da gioco e determinati luoghi di aggregazione e/o permanenza di fasce vulnerabili della popolazione debba intercorrere una distanza minima, idonea ad arginare i richiami e le suggestioni consistenti nell’illusoria possibilità di facile ed immediato arricchimento.
Questo principio era già previsto dalla legge trentina che, come confermato anche dalla ricordata pronuncia della Corte costituzionale n. 300/2011, incide direttamente su aspetti di prevenzione socio-sanitaria, quali sono le distanze, che possono dissuadere dal gioco i soggetti più vulnerabili.
28. Da quanto esposto consegue dunque che:
- le due discipline in esame, quella sopravvenuta statale in materia concorrente e quella precedente provinciale di natura, solo in parte, concorrente (per la parte sanitaria) ma anche esclusiva (per l’urbanistica e gli esercizi pubblici), coesistono nell’ordinamento e operano, nel rispetto dei principi fondamentali della disciplina, su di un piano paritario: la prima si rivolge ai concessionari e prevede forme di ricollocazione dei giochi esistenti; la seconda non interviene sull’esistente ma solo limitando nuove installazioni in determinate zone del territorio;
- sotto altro profilo, l’intervento statale è coerente con la disciplina provinciale che aveva già introdotto uno strumento con analoghe finalità e tecniche di contrasto.
Ne deriva che le argomentazioni di parte ricorrente sulla necessità di disapplicare ovvero di considerare abrogata implicitamente la normativa provinciale a seguito dell’avvento di quella statale, sono infondate, trattandosi di norme non tra loro inconciliabili ma, all’opposto, ispirate allo stesso principio di tutela sanitaria di una determinata patologia compulsiva.
29. Passando all’esame - nell’ordine logico - degli altri motivi di ricorso, occorre ora scrutinare le censure di difetto di istruttoria e di motivazione, dirette contro la deliberazione comunale impugnata.
Col terzo motivo, infatti, si sostiene che le esigenze di protezione della popolazione non sono state né accertate con adeguata istruttoria, né estrinsecate con sufficiente motivazione, e comunque la ludopatia sarebbe collegata al gioco d’azzardo illecito e non pure al gioco lecito.
Anzitutto, il Collegio rileva che è palesemente erroneo sostenere che solo il gioco d’azzardo illecito provochi fenomeni patologici di dipendenza. Stante l’erroneità di tale impostazione, altrettanto erroneo è l’argomento di parte ricorrente circa il già avvenuto bilanciamento di interessi effettuato dal Legislatore statale il quale, ammettendo i “giochi leciti”, avrebbe valutato (escludendola) la loro pericolosità, ammettendo invece la loro compatibilità con gli interessi della popolazione, anche di quella più a rischio.
Lo stesso argomento, poi, è smentito - a tacere di ogni altra considerazione di ragionevolezza - dal citato decreto Balduzzi, con cui il Legislatore statale si è fatto carico (peraltro inseguendo il fenomeno e non prevenendolo) di approntare alcuni rimedi contro il diffondersi di tale forma di patologia psicologica e l’ha riconosciuta come tale, inserendola nei l.e.a. del servizio sanitario nazionale.
È, piuttosto, vero il contrario di quanto asserisce la ricorrente, poiché proprio la dipendenza da gioco lecito (attività con un altissimo grado di incertezza e fortemente attrattiva in ragione del miraggio di facile guadagno immediato, da cui la natura compulsiva della patologia) è un fenomeno che ha assunto - come detto sopra - dimensioni socialmente rilevanti per la capillarità e la pubblicità anche mediatica di esso, inconcepibile per il gioco illecito.
Su questo punto, il Collegio ritiene pertanto di non poter condividere quanto asserito nella sentenza del T.A.R. Umbria n. 121, del 20.4.2012, ove si afferma che la ludopatia è collegata al gioco d’azzardo illecito. Se si dovesse condividere tale singolare sillogismo, infatti, si potrebbe anche sostenere, con uguale ratio, che le dipendenze da alcol o da fumo colpiscono solo i consumatori di alcolici o di sigarette acquistati di contrabbando.
Inoltre, ritiene il Collegio che la motivazione espressa nel provvedimento, pur sintetica, sia sufficiente ed adeguata. “L’Amministrazione comunale – viene detto –conscia delle problematiche indotte dalla proliferazione del gioco d’azzardo avvenuta in tempi recenti, intende, per quanto possibili, adottare delle misure di contenimento del fenomeno, individuando…le zone più sensibili dell’abitato ove sono maggiormente presenti categorie di popolazione più vulnerabili, al fine di prevenire la dipendenza da gioco e le relative conseguenze di carattere socio-economico e sanitario”.
Attesa l’esigenza di prevenzione del fenomeno in rapida crescita, di cui è innegabile l’esistenza (si è riferito sopra dei dati allarmanti sulla diffusione di questa patologia) e che è direttamente proporzionale alla presenza ed al numero degli apparecchi esistenti sul territorio, non è dato comprendere quale particolare istruttoria avrebbe dovuto svolgere l’Amministrazione.
In realtà, è proprio la pretesa di parte ricorrente a poter ampliare e sviluppare la raccolta del gioco e ad installare nuovi apparecchi - secondo quanto addotto anche a supporto dell’istanza cautelare - che conferma l’attrazione che essi esercitano sulla popolazione, con l’effetto consequenziale ed inevitabile di creare, in una parte della popolazione stessa, la dipendenza.
Anche questa censura va perciò disattesa.
30. Va quindi esaminata la censura (dedotta col settimo motivo di ricorso) di violazione del principio di irretroattività, in quanto attraverso il monitoraggio degli apparecchi da gioco esistenti nel Comune “al fine della loro progressiva rimozione”, si andrebbe ad incidere - secondo la ricorrente - su situazioni pregresse e consolidate e non si consentirebbe la sostituzione degli apparecchi esistenti con altri nuovi.
La censura è infondata, in quanto la stessa deliberazione è chiara (n. 4 del dispositivo) nell’esentare dal divieto “gli apparecchi da gioco già collocati negli esercizi pubblici alla data della presente deliberazione”, così come è previsto dalla stessa legge provinciale, e queste disposizioni vanno logicamente interpretate nel senso che è fatto salvo il numero degli apparecchi già presenti, con la necessaria conseguenza che è consentita l’eventuale sostituzione dei medesimi con altri apparecchi, tecnologicamente più avanzati, purché della medesima categoria (di cui, rispettivamente, alle lett. a) e b) del comma 6 dell’art. 110 del R.D. 18.6.1931, n. 773).
31. Infine, nell’ordine logico vanno esaminate le censure, dedotte con il quarto ed il quinto motivo di ricorso, tra loro connessi, con cui si sostiene che nel territorio comunale non rimarrebbe alcuna zona utile che non sia entro la fascia di rispetto di 300 metri dai siti “sensibili” elencati nella deliberazione impugnata, cosicché la limitazione si tradurrebbe in un vero e proprio divieto assoluto e generalizzato ad installare questi apparecchi.
Tale conseguenza deriverebbe dal fatto che il Comune di Campitello di Fassa ha indicato numerosi siti che esulano da quelli enumerati dalla legge provinciale, né ha spiegato perché quelli ulteriori, non ricompresi nell’elencazione della legge, siano da considerarsi “sensibili”. Inoltre, non sarebbe stato individuato, in concreto, l’impatto “sulla sicurezza urbana, la viabilità, l’inquinamento acustico ed il disturbo della quiete pubblica”, come previsto dall’art. 13bis della legge provinciale.
Queste censure sono in parte fondate.
Invero, oltre ai siti enumerati dall’art. 13bis della legge provinciale (la cui individuazione, come detto, risponde a criteri di evidente ragionevolezza: istituti scolastici, centri giovanili e strutture residenziali o semiresidenziali sanitarie, scolastiche o socio assistenziali) il Comune di Campitello di Fassa ne ha aggiunti altri, con i relativi indirizzi, e precisamente: 1) ambulatori medici; 2) parco giochi; 3) area sportiva; 4) luoghi di culto e canonica.
Inoltre, la deliberazione reca una clausola estensiva, al n. 2 del dispositivo, secondo cui “gli indirizzi dell’elenco …sono a carattere esemplificativo, ma non esaustivo dei luoghi sensibili e pertanto… si intende che il divieto è da intendere riferito alla tipologia delle localizzazioni enumerate…”.
Ora, pur se l’elencazione contenuta nell’art. 13bis della legge provinciale ha indubbiamente carattere esemplificativo e aperto, quindi non tassativo o chiuso (come già detto, lo si desume inequivocabilmente dalla locuzione “in particolare” che precede l’enumerazione legislativa dei siti “sensibili” e ne consente l’ampliamento, per analogia), tuttavia, l’introduzione di ulteriori categorie di luoghi “sensibili” avrebbe dovuto rispettare, in ogni caso, la ratio della norma.
Si deve trattare, in altri termini, di luoghi di aggregazione frequentati, se non esclusivamente, almeno prevalentemente dalle fasce deboli ed influenzabili della popolazione: giovani, anziani e persone svantaggiate o malate, tutti potenzialmente non in grado, per immaturità, solitudine condizioni personali e/o sociali in genere, di gestire prudentemente e con temperanza l’accesso a tale pericolosa ed insidiosa forma di intrattenimento.
Tra i luoghi considerati “sensibili” a questi effetti, ritiene il Collegio che l’inclusione della palestra, dell’oratorio, del parco giochi e dell’area sportiva sia giustificata, trattandosi di luoghi di frequentazione ed aggregazione prevalente giovanile. Non altrettanto può dirsi per gli ambulatori medici, per i luoghi di culto e la canonica, la cui frequentazione è propria di categorie indifferenziate di persone (le chiese, in particolare, sono luoghi dedicati alla preghiera, sia collettiva che personale, e quindi sono aperti e frequentati dall’indifferenziata, anagraficamente e socialmente, comunità dei fedeli) e per l’edificio “Ex scuole elementari”, di cui non è chiara la destinazione attuale.
Né, con riferimento a detti luoghi, emerge che sia stata esperita un’istruttoria per verificare e dimostrare che gli stessi, eventualmente, rientrino in aree circoscritte ai sensi di quanto disposto dal comma 2 dell’art. 13bis.
Dunque, per queste limitate fattispecie, la censura di difetto d’istruttoria e di motivazione è fondata.
32. Nemmeno è coerente con la norma provinciale l’estensione, genericamente operata dal n. 2 del dispositivo, ad ulteriori luoghi “sensibili”, non specificamente indicati, essendo onere dei Comuni, che intendano avvalersi dei poteri conferiti dalla legge provinciale, di indicare con chiarezza e specificamente i luoghi “sensibili”. Altrimenti l’Amministrazione finirebbe per introdurre non una limitazione, ma un divieto indiscriminato che non avrebbe più copertura legislativa e confliggerebbe, allora sì, con l’art. 41 Cost.. Senza poi ulteriormente considerare l’incertezza di una tale previsione e la conseguente lesione del principio di lealtà ed affidamento.
33. Anche il n. 3 del dispositivo, dove si dichiara che “l’indicazione dei luoghi di cui al precedente comma 1 è effettuata anche ai sensi e per gli effetti del comma 2 dell’art. 13bis” incorre nella dedotta censura di difetto di istruttoria e di motivazione. La norma provinciale, infatti, esige che la limitazione o il divieto di collocazione degli apparecchi da gioco in “aree circoscritte” deve essere giustificata dal loro impatto negativo “sulla qualità del contesto urbano e sulla sicurezza urbana, nonché dei problemi connessi con la viabilità, l’inquinamento acustico e il disturbo della quiete pubblica”. Nella specie l’Amministrazione comunale, non avendo esplicitato quale sia il predetto impatto e le ragioni che lo determinano, ha in sostanza posto in essere una sovrapposizione delle norme contenute nell’art. 13bis che, invece, hanno oggetto, funzione e modalità applicative diverse: prevenzione socio sanitaria ed individuazione preventiva di luoghi “sensibili”, il comma 1, tutela del contesto urbano relativamente a decoro, sicurezza, viabilità e quiete pubblica in zone da motivatamente ed adeguatamente individuare, il comma 2.
Le censure appena viste, riferite ai punti n. 2 e n. 3 del dispositivo, sono dunque fondate.
34. Conclusivamente, per le ragioni che precedono il ricorso va parzialmente accolto, negli anzidetti termini.
35. Le spese del giudizio vanno compensate tra le parti, attesa la parziale reciproca soccombenza nei confronti del Comune di campitello di Fassa e per la novità della questione giuridica nei confronti della Provincia di Trento.
P.Q.M.
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi indicati in motivazione. Per l’effetto, annulla i numeri 2 e 3 del dispositivo della deliberazione impugnata, mentre, relativamente al n. 1, annulla le lettere c, f, e g.
Spese compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.