Data: 2013-03-08 14:14:55

IMPOSTA DI SOGGIORNO: legittima se riferita alle stelle dell'abergo

IMPOSTA DI SOGGIORNO: legittima se riferita alle stelle dell'abergo

Articolo di giornale:
http://www.giustizia-amministrativa.it/rassegna_web/130308/1tmea5.pdf

Sentenza Tar Toscana, sentenza n. 200 del 7 febbraio 2013

N. 00200/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00983/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 983 del 2012, proposto da:
Associazione Operatori Turistici di San Vincenzo e Val di Cornia, Agriturismo
Barbadoro, Agriturismo La Ronca, Albergo La Coccinella, Albergo Residence Villa
Lo Scoglietto, Cav Costa degli Etruschi di Jacoby's S.r.l., Cav Etruria Mare, Cav Le
Colombe, Hotel Kontiki, Hotel del Sole, Hotel Ciritorno, Hotel Villa Tramonto,
Hotel Aurora, Hotel il Mulinaccio, Hotel il Delfino, Hotel Stella Marina di
Federica S.r.l., Hotel Villa Marcella di Holiday Beach S.r.l., La Lanterna S.r.l.,
Residence Etruria di Costruzioni La Piana S.r.l., tutti rappresentati e difesi dall'avv.
Fabio Merusi, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in
Firenze, via Ricasoli 40;
contro
Comune di San Vincenzo, rappresentato e difeso dall'avv. Renzo Grassi, con
domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luca Capecchi in Firenze, via Bonifacio
Lupi 20;
per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia,
- della deliberazione del Consiglio Comunale n. 13 del 12.03.2012, recante
"Istituzione imposta di soggiorno e approvazione regolamento", cui è allegato,
quale sua parte integrante e sostanziale, il Regolamento per la disciplina
dell'imposta di soggiorno;
- della deliberazione di Giunta Comunale n. 51 del 28.03.2012, recante
"Approvazione tariffe imposta di soggiorno - anno 2012";
- per quanto occorrer possa, della nota del Comune di San Vincenzo, indirizzata
all'Associazione Operatori Turistici San Vincenzo - Val di Cornia, prot. n. 10021
del 27.04.2012, avente ad oggetto "Riconoscimento adempimenti tributari";
nonchè di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso,
ancorchè non conosciuto e con riserva di motivi aggiunti,
e per il risarcimento
di tutti i danni, subiti e subendi dai ricorrenti per effetto dell'illegittimità dei
provvedimenti impugnati e dell'illegittimità dei comportamenti tenuti
dall'Amministrazione intimata da accertarsi nel corso del giudizio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Vincenzo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2012 il dott. Pierpaolo
Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 31 maggio e depositato il 29 giugno 2012, l’Associazione
degli Operatori Turistici di San Vincenzo e della Val di Cornia, unitamente agli altri litisconsorti in epigrafe, proponeva impugnazione avverso la delibera n. 13 del 12
marzo 2012, mediante la quale il Comune di San Vincenzo, esercitando la facoltà
riconosciuta dall’art. 4 del D.Lgs. n. 23/2011 in materia di federalismo fiscale,
aveva introdotto nel proprio territorio l’imposta di soggiorno a decorrere dal 1
gennaio dello stesso anno, approvando il relativo regolamento. L’ammontare
dell’imposta per il 2012 era stato quindi determinato dalla Giunta, sulla scorta dei
criteri dettati dall’art. 5 del regolamento predetto, con la delibera n. 51 del 28
marzo 2012, cui pure l’impugnazione veniva estesa. I ricorrenti, premesso in fatto
di aver inutilmente avanzato nei confronti del Comune numerose proposte
finalizzate ad evitare l’applicazione dell’imposta almeno sino al 2013, e comunque
a migliorarne la disciplina in relazione a specifici aspetti di criticità, deducevano
l’illegittimità dei provvedimenti impugnati sulla scorta di dieci motivi in diritto, e
ne chiedevano l’annullamento previa sospensione dell’efficacia.
Costituitosi in giudizio il Comune di San Vincenzo, che resisteva al gravame, nella
camera di consiglio dell’11 luglio 2012, su istanza delle parti, la trattazione
dell’istanza cautelare veniva riunita al merito. La causa veniva pertanto discussa e
trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 19 dicembre 2012, preceduta
dal deposito di documenti e memoria difensiva ad opera dei soli ricorrenti.
DIRITTO
La controversia ha per oggetto principale la deliberazione consiliare n. 13 del 12
marzo 2012, con cui il Comune di San Vincenzo ha istituito nel proprio territorio
l’imposta di soggiorno introdotta dall’art. 4 del D.Lgs. n. 23/2011 (“Disposizioni
in materia di federalismo fiscale municipale”), ed approvato il relativo
regolamento. I ricorrenti, tutti operatori del turismo insieme alla locale
associazione di categoria, fondano il proprio interesse ad agire sul duplice rilievo
dell’idoneità del prelievo fiscale così introdotto a influenzare i flussi turistici,
ingenerando effetti riflessi sull’economia delle imprese di settore, e dell’aggravio di adempimenti stabiliti a loro carico dalla disciplina regolamentare del tributo. Essi
danno peraltro conto della precedente pronuncia negativa di questo tribunale
sull’impugnazione presentata avverso la delibera istitutiva del medesimo tributo nel
territorio di Firenze (T.A.R. Toscana, sez. I, 24 novembre 2011, n. 1808), ma
evidenziano la diversità dei contesti territoriali e mercati turistici di riferimento,
nonché l’autonomia delle scelte di volta in volta operate da ciascuna
amministrazione comunale, oltre alla non sovrapponibilità della causa petendi nei
due giudizi.
Con il primo motivo di gravame, si sostiene che gli atti istitutivi dell’imposta di
soggiorno nel Comune di San Vincenzo presenterebbero problemi di rispetto del
principio di concorrenza. L’introduzione del prelievo nel territorio di un Comune
costiero, contiguo ad altri Comuni i quali non abbiano istituito il tributo,
costituirebbe infatti circostanza potenzialmente idonea a deviare il flusso turistico e
la domanda dei servizi ricettivi verso i territori limitrofi. Ne discende che,
volendosi e dovendosi interpretare la disposizione di cui all’art. 4 D.Lgs. n.
23/2011 in senso conforme alla Costituzione e al diritto europeo, l’istituzione
dell’imposta avrebbe dovuto essere preceduta da forme di concertazione con i
Comuni confinanti onde evitare di assumere iniziative capaci di alterare la
competitività delle imprese locali e, in tal modo, garantire il rispetto dei principi
fondamentali del mercato unico europeo. La necessità di evitare violazioni della par
condicio concorrenziale fra le imprese sul territorio sarebbe, del resto, chiaramente
espressa in atti ufficiali della Regione Toscana e dell’Associazione dei Comuni
Toscani, in particolare nel protocollo d’intesa sottoscritto all’indomani dell’entrata
in vigore del citato D.Lgs. n. 23/2011, ove sarebbe sottolineata l’esigenza di
procedere all’armonizzazione e al coordinamento nell’applicazione delle norme in
tema di imposta di soggiorno. I ricorrenti puntualizzano ulteriormente come il
caso in esame non possa venire assimilato a quello, già deciso dal T.A.R., della città di Firenze, al cui interno non si porrebbe un problema di concorrenza fra gli
operatori, trattandosi di un territorio che forma di per sé mercato autonomo e
rilevante, rispetto al quale l’introduzione dell’imposta non inciderebbe né sui flussi
turistici, né sulla domanda di servizi ricettivi; discorso che non potrebbe farsi per
San Vincenzo, destinataria di flussi turistici il cui mercato di riferimento sarebbe
costituito dall’intera fascia meridionale del litorale toscano, con la conseguenza che
l’aumento dei costi di soggiorno in una sola delle località ubicate all’interno
dell’area determinerebbe lo spostamento della domanda turistica e di servizi verso
le località vicine. A sostegno della tesi, è peraltro richiamata –a contrario – la
giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui un provvedimento fiscale che
ostacoli la libera circolazione dei servizi, rendendo più onerosi quelli resi da
soggetti non ubicati sul territorio interessato rispetto a quelli resi da soggetti
residenti, potrebbe costituire una misura vietata dal Trattato.
Con il secondo motivo, è dedotta la violazione dell’art. 23 Cost. nei confronti delle
disposizioni del regolamento impugnato che individuano nel gestore della struttura
ricettiva il “responsabile degli adempimenti tributari”, cui è affidata la totalità degli
adempimenti in questione, ivi compreso quello del pagamento del tributo,
dovendosi pertanto parlare di vero e proprio nuovo soggetto passivo del tributo in
assenza di adeguata copertura di legge. Il coinvolgimento del gestore non sarebbe
dunque limitato ad adempimenti formali, ma si estenderebbe all’obbligazione
tributaria, come confermato dall’art. 8 del regolamento, che indica appunto il
gestore o il soggetto passivo come soggetti cui notificare, indifferentemente, gli
avvisi di accertamento per il recupero dell’imposta nel caso di dichiarazioni o
versamenti omessi, incompleti o infedeli. La piena soggettività passiva del gestore
sarebbe altresì confermata dall’art. 12 del regolamento, che, disciplinando la
compensazione fra Comune e gestore per l’ipotesi di versamenti d’imposta eccedenti il dovuto, implicherebbe la qualità di coobbligato in proprio in capo al
gestore medesimo in violazione dell’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011.
Con il terzo ed il quarto motivo, le medesime disposizioni regolamentari
attributive di oneri formali e sostanziali in capo al gestore sono censurate in
relazione al mancato rispetto del principio di capacità contributiva sancito dall’art.
53 Cost.. Al gestore non sarebbe, infatti, consentito di recuperare presso il
contribuente effettivo quanto da lui versato a titolo di coobbligato al pagamento
dell’imposta, con conseguente violazione della riserva di legge contenuta nel
precetto costituzionale invocato. Per altro verso, la violazione denunciata si
apprezzerebbe anche con riguardo alla determinazione della misura dell’imposta,
come stabilita dal regolamento. Il criterio di commisurazione adottato dal Comune
– ragguagliato non al corrispettivo giornaliero richiesto dalla struttura ricettiva per
il pernottamento, ma alla tipologia e classificazione turistica della struttura stessa
(numero delle “stelle”) – divergerebbe da quello indicato dal legislatore, finendo
oltretutto per recidere il collegamento fra il prelievo e l’unico elemento realmente
espressivo di capacità contributiva, vale a dire il prezzo pagato per il soggiorno.
Con l’ulteriore conseguenza di esporre gli operatori alle lamentele dei clienti, i quali
si dovessero trovare a corrispondere il medesimo ammontare di imposta pur a
fronte di prezzi di pernottamento differenti (magari perché frutto dell’applicazione
di sconti o promozioni).
Con il quinto motivo, si lamenta che l’eccessiva vaghezza e indeterminatezza delle
disposizioni regolamentari impugnate non garantirebbe in termini di effettività
l’esenzione dall’imposta di soggiorno dei soggetti alloggiati presso le strutture
ricettive non per ragioni turistiche, ma di lavoro (i c.d. “trasfertisti”), con le
connesse difficoltà applicative – e il rischio di sanzioni – a carico del gestore.
Con il sesto motivo, premesso che il D.Lgs. n. 23/2011 non contiene alcuna
previsione in ordine alle sanzioni applicabili ai soggetti passivi dell’imposta per l’ipotesi della violazione degli obblighi tributari alla stessa collegati, i ricorrenti
criticano il regime sanzionatorio approntato dall’art. 9 del regolamento del
Comune di San Vincenzo, perché violativo del principio di legalità e della riserva di
legge enunciati dall’art. 3 del D.Lgs. n. 427/1997. Detto regime sanzionatorio
sarebbe, inoltre, ingiustamente sperequato in danno dei gestori delle strutture
ricettive ed irragionevole, in quanto sottoporrebbe i gestori al medesimo
trattamento previsto per gli utenti-contribuenti nel caso di omesso versamento,
salvo prevedere per i soli utenti il beneficio dell’abbattimento della sanzione alla
misura di un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. Neppure si
comprenderebbe poi per quale ragione al gestore debba applicarsi la sanzione da
150,00 a 500,00 euro nel caso di omessa o infedele dichiarazione, senza possibilità
di riduzione per il caso di ravvedimento operoso, al contrario di quanto previsto
dal legislatore tributario in materia sia di imposte sui redditi, sia di I.V.A..
Con il settimo motivo, i ricorrenti affermano quindi che il regolamento impugnato
violerebbe l’art. 52 D.Lgs. n. 446/1997, come richiamato dall’art. 4 D.Lgs. n.
23/2011, facendo decorrere l’applicazione dell’imposta di soggiorno con effetto
dal 1 gennaio dell’anno in corso anziché dal 1 gennaio dell’anno successivo e,
pertanto, disattendendo il canone di irretroattività; né in contrario varrebbe il
riferimento – contenuto nella delibera n. 13/2012 – all’art. 1 co. 169 della legge n.
296/2006, che, con decorrenza dall’inizio dell’anno in corso, facoltizza la modifica
delle aliquote relative ai tributi locali esistenti, ma non anche l’istituzione di tributi
nuovi.
Con l’ottavo motivo, viene sottolineata dai ricorrenti la gravosità del complesso di
adempimenti fatti gravare dal regolamento sui gestori delle strutture ricettive, i
quali verrebbero a trovarsi nella posizione di incaricati di pubbliche funzioni senza
averne l’investitura e senza disporre dei poteri all’uopo occorrenti, a partire dal
potere di controllo nei confronti dei soggetti esenti, fino a quello di esigere il pagamento dell’imposta. Inoltre al gestore, inteso come “agente per la
riscossione”, non solo non sarebbe riconosciuto alcun compenso per l’attività
svolta in favore del Comune, ma resterebbero addossate tutte le spese legate
all’esazione e al versamento del tributo.
Con il nono motivo, è denunciata la genericità del regolamento rispetto alla
destinazione del gettito dell’imposta, paventando i ricorrenti che questo venga
destinato a finalità non connesse alla valorizzazione dei servizi e degli impianti
turistici, in spregio del vincolo di scopo stabilito dalla legge; e infine, con il decimo
motivo, si lamenta l’elusione del principio concertativo enunciato dall’art. 4 D.Lgs.
n. 23/2011, giacché l’istituzione dell’imposta non sarebbe stata preceduta
dall’effettivo coinvolgimento degli operatori del settore e dei loro enti
rappresentativi, ma unicamente da due incontri formali, senza che il Comune abbia
mai preso in seria considerazione alcuna delle numerose proposte avanzate dagli
albergatori.
Le censure saranno trattate congiuntamente, nella misura in cui la quasi totalità di
esse implica la soluzione di questioni già affrontate dalla più volte citata sentenza n.
1808 del 24 novembre 2011, con soluzioni dalle quali il collegio non intende
discostarsi e che verranno ove necessario ripercorse.
A norma dell’art. 4 co. 1 del D.Lgs. n. 23/2011, l’imposta di soggiorno può essere
fatta gravare, dai Comuni a ciò facoltizzati, “a carico di coloro che alloggiano nelle
strutture ricettive situate sul proprio territorio”. La previsione è sostanzialmente
riprodotta dall’art. 4 del regolamento impugnato, che individua i soggetti passivi
dell’imposta solo ed esclusivamente in “coloro che pernottano nelle strutture
ricettive” elencate dal precedente art. 2 co. 2 e non risultino iscritti nell’anagrafe
della popolazione del Comune di San Vincenzo, con il che deve escludersi la
prospettata violazione della riserva di legge posta dagli artt. 23 e 53 Cost.. In
particolare, nessuna obbligazione di matrice tributaria – e nessun obbligo di pagamento dell’imposta, come del resto riconosciuto dal Comune nelle proprie
difese – può farsi derivare in capo ai gestori delle strutture ricettive dall’art. 7 del
regolamento, che addossa bensì ai gestori la responsabilità di una serie di
adempimenti strumentali alla riscossione del tributo, ivi compresa l’informazione ai
propri ospiti circa l’applicazione dell’imposta, fermo restando che l’obbligo di
versamento è chiaramente riferito dalla disposizione alle somme “riscosse dai
soggetti passivi” (comma 4) e che, nell’ipotesi di mancato pagamento da parte di
costoro, al gestore residua unicamente l’obbligo di indicare nella dichiarazione
mensile le generalità complete dei “soggetti passivi morosi” onde consentire al
Comune il recupero del dovuto e l’applicazione delle relative sanzioni (comma 7).
La non corrispondenza fra gestori delle strutture ricettive e soggetti passivi
dell’imposta è confermata dall’art. 8 co. 3 del regolamento, che, indicando i gestori
quali possibili destinatari degli avvisi aventi ad oggetto la rettifica delle
dichiarazioni incomplete o infedeli o dei mancati o ritardati versamenti, ovvero
l’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o versamenti, lascia
chiaramente intendere come la notifica dell’avviso al gestore non possa che fare
seguito all’inosservanza degli obblighi strumentali posti a suo carico, con implicito
rinvio all’art. 7 e, dunque, alla mancata presentazione della dichiarazione mensile,
alla presentazione di dichiarazioni incomplete o infedeli, o al ritardato, parziale o
mancato versamento delle somme riscosse dai soggetti passivi dell’imposta, a loro
volta unici responsabili per il mancato, parziale o ritardato pagamento delle somme
dovute. Analogamente deve essere letto l’art. 12 del regolamento, in tema di
rimborsi, che laddove disciplina la facoltà del gestore di recuperare mediante
compensazione i versamenti di imposta eccedenti il “dovuto” (comma 1), non può
che essere letto nel senso di far coincidere il “dovuto” al Comune con il “riscosso”
dai clienti. Ciò posto, è per altro verso da escludere che gli adempimenti strumentali posti dal
regolamento a carico dei gestori assumano la connotazione di gravosità che i
ricorrenti lamentano, trattandosi, nei fatti, di poche operazioni aggiuntive e
complementari a quelle cui i gestori medesimi sono ordinariamente tenuti nello
svolgimento della propria attività, e che consistono sostanzialmente nell’obbligo di
effettuare la dichiarazione mensile dei dati e delle informazioni relativi al numero
degli ospiti, alla durata del periodo di permanenza presso la struttura,
all’ammontare dell’imposta dovuta e di quella effettivamente riscossa; nonché
nell’obbligo di versamento del riscosso, che può essere adempiuto non solo nelle
forme tradizionali (bollettino postale, bonifico bancario, versamento alla tesoreria
comunale), ma anche, per maggiore comodità, mediante l’utilizzo degli strumenti
telematici apprestati allo scopo (pagamento online sul sito web del Comune). Né la
titolarità dei detti adempimenti di carattere formale comporta in capo ai gestori
alcuna attribuzione di pubbliche funzioni e poteri, e questo in relazione sia alla
riscossione coattiva del tributo, di esclusiva competenza del Comune a seguito
degli accertamenti conseguenti all’esame delle dichiarazioni inviate dai gestori, cui
compete il solo onere di fornire le generalità complete dei soggetti rimasti morosi e
allegare le copie dei documenti fiscali di pagamento rilasciati a costoro; sia al
controllo sulla spettanza delle esenzioni dall’imposta, parimenti di competenza del
Comune sulla base delle dichiarazioni sostitutive rilasciate dai clienti ai gestori, ai
sensi dell’art. 6 co. 2 del regolamento, disposizione che fa altresì giustizia del
dubbio manifestato dai ricorrenti in ordine al perimetro dell’esenzione stabilita in
favore dei c.d. “trasfertisti”: anche ammesso che possa parlarsi di indeterminatezza
di una previsione, la quale, al contrario, vuol piuttosto essere omnicomprensiva di
qualsivoglia soggiorno “per motivi di lavoro”, senza esclusioni legate alla natura o
alla tipologia di attività lavorativa, in ogni caso essa non si riverbera sui gestori,
unicamente tenuti ad informare i clienti e a riceverne la dichiarazione sostitutiva (la cui valutazione di idoneità ai fini dell’esenzione competerà, come detto,
all’amministrazione), ovvero a trasmettere al Comune il nominativo e i dati
anagrafici dei clienti, i quali abbiano inteso sottrarsi al pagamento dell’imposta
accampando motivi di lavoro non documentati.
Quanto al profilo di gravame afferente alla divergenza fra il criterio di
commisurazione dell’imposta in proporzione al prezzo del pernottamento, stabilito
dal legislatore, e quello della classificazione delle strutture in “stelle”, “chiavi” e
“spighe”, adottato dall’art. 5 co. 2 del regolamento impugnato, osserva il collegio
come il sistema prescelto dal Comune di San Vincenzo non possa considerarsi
illegittimo e contrario al principio di capacità contributiva, ben potendosi ribadire
anche in questo contenzioso che <<la classificazione delle strutture ricettive in
“stelle”, “chiavi” e “spighe”, alla quale l’imposta si correla, certamente evidenzia,
anche per comune esperienza, caratteristiche qualitative via via crescenti delle
strutture medesime cui è collegato un aumento del prezzo richiesto ai clienti, così
che indirettamente l’imposta viene a porsi in rapporto di proporzionalità con il
prezzo. D’altra parte il sistema prescelto risulta di particolare semplicità applicativa,
in ciò favorendo anche gli operatori economici del settore, che vedrebbero
aggravati gli oneri operativi sugli stessi gravanti in ipotesi di una commisurazione
dell’imposta direttamente parametrata ai singoli prezzi operati ai diversi clienti>>:
così la sentenza n. 1808/2011, dalla quale può essere mutuata, in prospettiva
futura, l’ulteriore considerazione circa la perfettibilità del sistema alla luce dei rilievi
di ordine tecnico mossi dagli albergatori (l’art. 4 co. 3 del D.Lgs. n. 23/2011
riconosce infatti la facoltà di ridurre l’imposta “per particolari fattispecie o per
determinati periodo di tempo”), con specifico riguardo alle criticità lamentate dai
ricorrenti per il caso, ad esempio, della eventuale vendita di “pacchetti” turistici a
prezzo scontato (fattispecie che, beninteso, esula dall’ordinaria gestione delle
strutture ricettive e, pertanto, non è di per sé sintomatica dei vizi denunciati). Neppure possono essere condivise le doglianze articolate dai ricorrenti in merito
alla decorrenza dell’imposta dal 1 gennaio dell’anno in corso (2012), anziché dal 1
gennaio dell’anno successivo (2013), in pretesa violazione dell’art. 52 co. 2 del
D.Lgs. n. 446/1997. Sul punto valga nuovamente quanto già statuito dal tribunale
nella sentenza n. 1808/2011, con riguardo al fatto che l’art. 4 co. 3 del D.Lgs. n.
23/2011, nel prevedere che l’emanazione dei regolamenti comunali in materia di
imposta di soggiorno avvenga “ai sensi” dell’art. 52 D.Lgs. n. 446/1997,
<<implica non già un richiamo a specifici profili disciplinari, peraltro dubbi già
nella norma richiamata, ma significa porre le fondamenta sostanziali, e i limiti, del
potere regolamentare rispetto a quello legislativo>>; d’altro canto, <<nell’art. 4
del d.lgs. n. 23 del 2011, che pure si occupa di scansioni temporali (termine per
l’emanazione del regolamento statale – adozione di regolamenti comunali in
conformità a quello statale – emanazione del regolamento comunale dopo
l’infruttuoso spirare del termine per l’emanazione del regolamento statale), non vi è
una indicazione precisa sulla decorrenza degli effetti degli emanati regolamenti
comunali. […] e soprattutto, la stessa previsione richiamata - cioè la statuizione
della seconda parte del primo periodo del comma 2 dell’art. 52 del d.lgs. n. 446 del
1997, secondo cui i regolamenti degli enti locali in materia tributaria “non hanno
effetto prima del 1° gennaio dell’anno successivo” – è di assai dubbia perdurante
vigenza, risultando invero superata da previsioni legislative successive che hanno
diversamente normato, con riferimento a singole imposte, ma anche in termini
generali, il profilo della efficacia dei regolamenti comunali de quibus. Debbono a
tal fine citarsi le norme di cui agli art. 53, comma 16, della legge 23 dicembre 2000,
n. 388, art. 27, comma 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 e art. 1, comma 169,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 che espressamente prevedono che i
“regolamenti sulle entrate” degli enti locali “hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno
di riferimento”, cioè possono addirittura avere efficacia retroattiva, venendo a produrre effetti dal primo gennaio dell’anno di loro adozione. Tutto ciò dimostra
la sussistenza di una dato normativo di partenza (decorrenza degli effetti dei
regolamenti comunali in materia di entrate) tutt’altro che netto e preciso nel senso
invece preteso dai ricorrenti>>.
Ancora, la chiara formulazione dell’art. 3 del regolamento, che destina il gettito
dell’imposta “a finanziare direttamente o indirettamente gli interventi, previsti nel
bilancio del Comune di San Vincenzo, per il turismo, la manutenzione, la fruizione
e il recupero dei beni culturali ed ambientali, è perfettamente rispondente al
vincolo di scopo cui l’applicazione dell’imposta di soggiorno è chiamata ad
assolvere; e la presenza di un’elencazione non esaustiva dei servizi pubblici locali
finanziabili attraverso l’imposta non è dato dal quale possa presumersi che la
norma abbia inteso per implicito autorizzare anche destinazioni di spesa non
pertinenti, essendo semmai vero il contrario (potranno perciò reputarsi
ammissibili, ancorché non ricomprese nell’elenco, solo destinazioni di spesa
coerenti con quelle enunciate, le quali – per inciso – non si esauriscono nel
sostegno alle imprese del settore turistico, come i ricorrenti sembrano pretendere).
L’asserita violazione del principio concertativo, cui l’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011 è
ispirato, è dal canto suo smentita dalle stesse affermazioni dei ricorrenti, i quali
riconoscono come l’approvazione del regolamento sia stata preceduta da almeno
un incontro con la locale associazione degli operatori turistici, risultandone così
rispettata la previsione di legge che impone di “sentire” le associazioni
maggiormente rappresentative dei titolari delle strutture ricettive, mentre, com’è
noto, la natura normativa dell’atto porta ad escludere che l’amministrazione sia
tenuta ad esporre puntualmente le ragioni che l’hanno indotta a disattendere le
proposte degli esercenti.
Venendo ai motivi di gravame estranei alla materia decisa dalla sentenza n.
1808/2011, in forza dei principi invalsi in tema di attualità dell’interesse a ricorrere deve, preliminarmente, essere affermata l’inammissibilità delle censure indirizzate
nei confronti del regime sanzionatorio disciplinato dall’art. 9 del regolamento, la
cui lesività è – allo stato – soltanto ipotetica (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8
aprile 2011, n. 2184). Resta dunque da esaminare il primo motivo di ricorso,
mediante il quale sono fatti valere – riassumendo – la violazione dei principi di
libera concorrenza, di libera circolazione dei servizi, di non discriminazione, di
ragionevolezza, nonché l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di
motivazione, per errore sui presupposti, per disparità di trattamento nei quali
l’amministrazione resistente sarebbe incorsa.
Anche tale motivo è infondato. Innanzitutto, si consideri che la disciplina
nazionale dell’imposta di soggiorno – prevista dalle legislazioni di diversi Paesi
dell’Unione e non oggetto di armonizzazione in sede europea – è estranea al
campo di applicazione dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea (ex art. 81 T.C.E.), avente per oggetto la nullità degli accordi tra imprese,
delle decisioni di associazioni di imprese e di tutte le pratiche concordate che
possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o
per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno
del mercato interno. Sul diverso piano dell’interferenza con la libera prestazione
dei servizi all’interno dell’Unione, che, a mente dell’art. 56 T.F.U.E. (ex art. 49
T.C.E.) non tollera restrizioni nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti
in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione, è vero
che la nozione di libera prestazione dei servizi non comprende la sola ipotesi
“attiva” del prestatore che si sposta verso il destinatario dei servizi, ma “altresì la
libertà dei destinatari di servizi, segnatamente dei turisti, di recarsi in un altro Stato
membro nel quale è stabilito il prestatore per fruire ivi di detti servizi” (Corte di
Giustizia, Grande sezione, 17 novembre 2009, in causa C-169/08, citata dai
ricorrenti). La medesima giurisprudenza ha peraltro dichiarato l’incompatibilità comunitaria dell’imposta regionale sarda sugli scali turistici di aeromobili o di unità
navali da diporto sul presupposto che l’applicazione di tale normativa tributaria –
gravante sugli esercenti degli aeromobili e delle unità da diporto aventi il domicilio
fiscale fuori dal territorio regionale – comportasse, per tutti i soggetti passivi
dell'imposta aventi il domicilio fiscale fuori dal territorio regionale sardo e stabiliti
in altri Stati membri, una maggiore onerosità dei servizi in questione rispetto a
quelli forniti agli esercenti stabiliti su tale territorio e, di conseguenza, realizzasse
una discriminazione diretta in danno degli esercenti non stabiliti; di contro,
l’imposta di soggiorno di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011 non dà luogo a situazioni
discriminatorie fra prestatori di servizi stabiliti e prestatori non stabiliti all’interno
del territorio comunale ove l’imposta stessa venga istituita, e neppure tra fruitori
dei servizi, sui quali in ultima analisi l’imposta grava, giacché tutti i turisti vi sono
indifferentemente sottoposti a prescindere dalla loro provenienza, e per importi
che non possono reputarsi sproporzionati (il che vale altresì a escludere pregiudizi
alla libera circolazione delle persone, prospettiva peraltro estranea agli odierni
ricorrenti).
Se, pertanto, l’effetto dell’imposta di soggiorno è quello di determinare un
aumento generalizzato del costo dei servizi alberghieri prestati nel territorio
interessato, senza tuttavia che ciò implichi un trattamento deteriore dei soggetti –
prestatori e fruitori di servizi – non stabiliti, nessuna violazione del diritto europeo
è configurabile nei termini dedotti. Del pari, in chiave di compatibilità
costituzionale della disciplina dell’imposta stessa, non sono configurabili violazioni
del principio di uguaglianza, né profili di manifesta irragionevolezza, avuto
riguardo, da un lato, alla ratio della disciplina in questione, che è quella di far
partecipare i soggetti non residenti nel territorio comunale, interessato
dall’applicazione dell’imposta in virtù di una vocazione turistica non generica, ma
specificamente accertata in via amministrativa (il tributo non è infatti applicabile in tutti i Comuni, ma solo in quelli iscritti nell’elenco regionale delle città d’arte o
turistiche), ai costi pubblici determinati dalla fruizione turistica del patrimonio
culturale e ambientale, anche in funzione di una migliore sostenibilità dei flussi
turistici (cfr. Corte Cost. 15 aprile 2008, n. 102, sull’imposta di soggiorno sarda); e
dall’altro, ancora una volta, alla misura dell’imposta, che non colpisce i turisti in
maniera sproporzionata e che, nel caso concreto, il Comune di San Vincenzo ha
stabilito di applicare nell’importo massimo di due euro per notte, ben inferiore ai
cinque euro indicati come limite dal legislatore.
In forza di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso non può trovare
accoglimento. Le spese di lite seguono la soccombenza dei ricorrenti, e sono
liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando, respinge il ricorso e condanna i ricorrenti alla
rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre agli
accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Paolo Buonvino, Presidente
Carlo Testori, Consigliere
Pierpaolo Grauso, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

riferimento id:11226

Data: 2016-05-02 08:25:19

Re:IMPOSTA DI SOGGIORNO: legittima se riferita alle stelle dell'abergo

Imposta di soggiorno sulle case vacanza affittate da privati: l’istituzione ex novo è in contrasto con la legge di stabilità 2016

[color=red][b]Corte dei Conti Piemonte, Sez. contr., Delib., 23 marzo 2016, n. 24[/b][/color]

http://buff.ly/1W1wJ6L

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