Data: 2011-04-29 15:54:36

Addio programmazione numerica delle GRANDI STRUTTURE

Addio programmazione numerica delle GRANDI STRUTTURE

Cons. Stato Sez. V, 31 marzo 2011, n. 1975


N. 01975/2011REG.PROV.COLL.

N. 00713/2010 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 713 del 2010, proposto da:
Az S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Alfredo Gualtieri, Demetrio Verbaro, con domicilio eletto presso Bei Anna Studio Rosati in Roma, via Ovidio N. 10;
contro
Comune di Feroleto Antico, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Carnovale Scalzo, con domicilio eletto presso Giovanni Pasquale Mosca in Roma, corso D'Italia, 102;
Regione Calabria, rappresentata e difesa dall'avv. Mariano Calogero, con domicilio eletto presso Graziano Pungi' in Roma, via Ottaviano, 9;
Provincia di Catanzaro, Comune di Gizzeria, Comune di Lamezia Terme, Comune di Pianopoli, Comune di Maida, Comune di Serrastretta;
Espansione Europa Srl, Scaim Srl, rappresentate e difese dagli avv. Francesco Gambardella, Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso Franco Gaetano Scoca in Roma, via Giovanni Paisiello 55;
Centro Commerciale Due Mari Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Alfredo Gualtieri, Sandro Cretella, con domicilio eletto presso Giuseppe Cosco in Roma, via Anapo, 29;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Confcommercio di Crotone, rappresentata e difesa dall'avv. Mario Sanino, con domicilio eletto presso Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO :SEZIONE II n. 01488/2009, resa tra le parti, concernente AUTORIZZAZIONE COMMERCIALE PER APERTURA DI UNA GRANDE STRUTTURA DI VENDITA.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Feroleto Antico e di Regione Calabria e di Espansione Europa Srl e di Scaim Srl e di Centro Commerciale Due Mari Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2011 il Cons. Roberto Chieppa e uditi per le parti gli avvocati Verbaro, per sè e per delega dell' avv. Gualtieri, Pungì, su delega dell' avv. Calogero, Scoca e Sanino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. La AZ s.p.a. è titolare dell’autorizzazione commerciale n. 1 per la realizzazione di una grande struttura di vendita, appartenente alla tipologia G/B (non alimentare), rilasciata, in data 20 giugno 2003, dal Comune di Gizzeria per l’area sovra comunale n. 10 di Lamezia Terme (in relazione alla quale è stato riconosciuto in sede giurisdizionale il diritto ad ottenere la proroga del termine per l’attivazione).
AZ s.p.a. ha impugnato davanti al Tar Calabria la nota del Comune di Feroleto Antico del 15 aprile 2008, con la quale, in sede di conferenza di servizi, si è espresso un complessivo parere favorevole in relazione alla richiesta di autorizzazione commerciale presentata da Espansione Europa s.r.l. e Scaim s.r.l. per l’apertura di una grande struttura di vendita; la determinazione n. 78 del 9 giugno 2008 e la deliberazione del consiglio comunale del predetto Comune n. 22 del 21 giugno 2008, con le quali è stata approvata la variante urbanistica dell’area trasformandola da agricola a zona D5, nonché altri atti connessi.
Con sentenza n. 1488/09 il Tar Calabria ha dichiarato irricevibile il ricorso principale nella parte in cui si è stata impugnata la deliberazione del consiglio comunale n. 22 del 21 giugno 2008 e la determinazione n. 78 del 9 giugno 2008; ha accolto il ricorso incidentale, proposto dalla controinteressata Espansione Europa e per l’effetto ha annullato la deliberazione del consiglio regionale della Calabria n. 409 del 18 gennaio 2000, nella parte in cui, all’art. 5, pone, per l’area di Lamezia Terme, limitazioni predeterminate al numero delle grandi strutture di vendita che possono essere autorizzate in contrasto con l’art. 3 del decreto-legge n. 223 del 2006; ha conseguentemente dichiarato inammissibile il ricorso principale.
AZ s.p.a. ha proposto ricorso in appello avverso la suddetta sentenza per i motivi che verranno di seguito esaminati.
Espansione Europa s.r.l. e Scaim s.r.l. si sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso e hanno proposto ricorso in appello incidentale, deducendo il difetto di interesse di AZ a causa della mancata attivazione dell’autorizzazione e l’illegittimità della stessa autorizzazione rilasciata ad AZ.
Appello incidentale è stato proposto anche dal Centro commerciale 2 Mari s.r.l., con richiesta di annullamento degli atti impugnati in primo grado da AZ.
Il Comune di Feroleto Antico si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso in appello principale; anche la Regione Calabria si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione delle domande proposte nei propri confronti.
La Confcommercio di Crotone è intervenuta ad adiuvandum dell’appellante AZ, chiedendo l’accoglimento del suo ricorso.
Con ordinanza n. 858/2010 questa Sezione ha respinto la richiesta di sospensione dell’efficacia dell’impugnata sentenza.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
2. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla contestazione da parte di AZ s.p.a. della autorizzazione commerciale rilasciata a Espansione Europa s.r.l. e Scaim s.r.l. per l’apertura di una grande struttura di vendita nel Comune di Feroleto Antico.
AZ è titolare di autorizzazione per analoga struttura di vendita e ha invocato il proprio interesse a contrastare l’apertura di un esercizio concorrente, autorizzato in violazione dei limiti al numero delle grandi strutture di vendita, fissati dalla Regione Calabria per l’area di Lamezia Terme.
Il giudice di primo grado, oltre a ritenere tardivo il ricorso proposto avverso gli atti inerenti la variante urbanistica, ha accolto il ricorso incidentale della controinteressata, ritenendo illegittimi i predetti limiti fissati dalla Regione e, venuto meno il parametro su cui era fondata la parte principale del ricorso AZ, ha dichiarato inammissibile l’impugnativa.
3. In via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum proposto dalla Confcommercio di Crotone, sia perché la città di Crotone rientra in una diversa area territoriale rispetto all’intervento in questione, sia soprattutto perché la Confcommercio non è legittimata a intervenire in una controversia che vede contrapposti due operatori economici, entrambi iscritti alla Confcommercio (anche se presso altra sede).
4. Sempre in via preliminare, si rileva che permane l’interesse alla decisione del ricorso in appello in quanto: a) la proroga della autorizzazione rilasciata alla AZ è stata riconosciuta in sede giurisdizionale con pronuncia del Tar, confermata all’odierna udienza da questa Sezione; b) ogni questione inerente l’effettiva attivazione dell’autorizzazione o eventuali ulteriori proroghe esula dall’oggetto del presente giudizio e, comunque, le relative eccezioni proposte dalle parti appellate non sono supportate da idonea documentazione probatoria; c) l’omessa impugnazione dell’autorizzazione n. 1/08 non costituisce elemento preclusivo all’esame del ricorso che riguarda gli atti presupposti, la cui eventuale illegittimità travolgerebbe l’atto meramente consequenziale; d) il nuovo regolamento regionale n. 1/2010 non conferma il contingentamento delle autorizzazioni in questione, come chiarito oltre.
5. L’appello incidentale proposto dal Centro commerciale 2 Mari s.r.l. va anche dichiarato inammissibile, tenuto conto che il Centro 2 Mari è un soggetto co-interessato rispetto all’originario ricorso di primo grado e non può, quindi, contestare gli atti impugnati, intervenendo nel presente giudizio e proponendo appello incidentale, potendo al più proporre autonoma impugnativa, come in realtà fatto in altra controversia, anche decisa all’odierna udienza.
6. Si può, quindi, passare ad esaminare il ricorso in appello principale, procedendo all’esame delle censure seguendo un ordine logico.
La questione principale attiene senza dubbio alla legittimità del contingentamento delle autorizzazioni, stabilito con la delibera regionale n. 409/2000, la cui violazione da parte dei provvedimenti impugnati è dedotta dall’appellante.
AZ sostiene che la delibera regionale non è illegittima, non essendovi alcun contrasto con il d.l. n. 223/06, essendo la finalità del contingentamento del tutto estranea ad un presunto riequilibrio tra domanda e offerta.
La censura è priva di fondamento.
Si ricorda che la Regione Calabria, con la deliberazione n. 409 del 2000, nel suddividere il territorio regionale in diciassette aree sovra comunali, ha previsto che per l’area n. 10, appartenente al distretto di Lamezia Terme, si potessero consentire unicamente, “come parametri massimi”, una grande struttura di vendita di tipo mista (G/A) ed una grande struttura di vendita alimentare (G/B). L’applicazione della delibera condurrebbe a ritenere illegittima l’autorizzazione qui in contestazione, essendo stata già, per la predetta zona e per il medesimo settore, rilasciata l’autorizzazione alla ricorrente nel 2003.
Il Tar ha fondato la sua decisione sulla (sopravvenuta rispetto alla delibera regionale) entrata in vigore del decreto-legge n. 223 del 2006, il cui art. 3 ha stabilito, tra l’altro, che - al fine di «di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale» - le attività commerciali, come individuate dal d.lgs. n. 114 del 1998, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: (….) il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio; (…) il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale».
Come correttamente affermato dal Tar, la delibera regionale si pone in contrasto con il d.l. n. 223/06, avendo chiaramente perseguito proprio la finalità di contingentare le autorizzazioni ripartendo le quote di mercato.
Il d.l. n. 223/06 ha introdotto un principio generale a tutela della concorrenza, che garantisce la piena libertà di iniziativa economica e contrasta l’introduzione di limiti e contingentamenti dei titoli abilitativi necessari per l’esercizio di determinate attività commerciali, tra cui rientra quella in questione.
Come già affermato dalla Sezione con la decisione n. 2808/2009, tendenzialmente i criteri limitativi di ordine quantitativo in tema di apertura di nuovi esercizi commerciali si pongono in contrasto con la lettura che dell'art. 3 della legge n. 248 del 2006 ha offerto la Corte costituzionale con la sent. n. 430 del 2007, nel solco di una giurisprudenza più volte confermata (n. 80 del 2006, n. 242 del 2005).
Limitazioni all'apertura di nuovi esercizi commerciali sono astrattamente possibili purché non si fondino su quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite, ossia, in altri termini, sull'apprezzamento autoritativo dell'adeguatezza dell'offerta alla presunta entità della domanda. I principi del Trattato e del nostro ordinamento costituzionale impongono che i poteri pubblici non interferiscano sul libero gioco della concorrenza, astenendosi dallo stabilire inderogabilmente il numero massimo degli esercenti da autorizzare in una determinata area.
Peraltro, un contingentamento delle autorizzazioni implica di per sé un contrasto con l’art. 3 del d.l. n. 223/06, essendo onere dell’amministrazione, o in questo caso dell’appellante, dimostrare che il limite sia stato posto per ragioni e finalità compatibili con il citato d.l..
Tale dimostrazione manca del tutto nel caso di specie ed anzi nella relazione alla deliberazione n. 409/2000 si fa espresso riferimento ad una suddivisione del territorio in aree “configurabili ciascuna come unico bacino di utenza” a conferma del fatto che il mercato è stato segmentato con finalità anticoncorrenziali al fine di predeterminare con atto dirigistico l’equilibrio tra domanda e offerta, che invece dovrebbe essere lasciato al libero gioco della concorrenza e con il concreto effetto di impedire l’ingresso nel mercato di nuovi operatori (effetto che si verificherebbe, dando applicazione nel caso di specie alla delibera regionale).
L’accertamento del contrasto tra la delibera n. 409/2000 e il d.l. n. 223/06 determina l’inapplicabilità dei limiti fissati dalle regioni e la conseguente legittimità dell’autorizzazione rilasciata in favore della società controinteressata.
Non è devoluta a questo giudice di appello la questione di come determinare tale inapplicabilità: il Tar ha annullato la delibera n. 409/2000 per una sorta di illegittimità sopravvenuta derivante dall’entrata in vigore dell’art. 3 del d.l. n. 223/06.
In assenza di una specifica censura non deve, quindi, essere affrontato il problema della sorte di un provvedimento amministrativo, legittimo alla data della sua adozione, ma contrastante con sopravvenute disposizioni normative.
E’, comunque, certo che l’esito del ricorso (conferma della legittimità dell’impugnato provvedimento di autorizzazione) non sarebbe mutato anche ipotizzando tesi diverse, quali quelle della sopravvenuta inefficacia di un atto, quale la delibera del 2000, ad efficacia prolungata, emanato sulla base di un fondamento normativo, poi mutato o della disapplicazione qualora si riconoscesse natura regolamentare alla delibera regionale (natura, peraltro, che sembrerebbe confermata dal sopravvenuto regolamento n. 1/2020, che disciplina la stessa materia).
Con riguardo all’appena citato regolamento n. 1/2010, va evidenziato come lo stesso si limiti a stabilire l’inefficacia delle norme e dei regolamenti regionali in contrasto con la direttiva comunitaria 2006/123/CE (c.d. direttiva servizi) e con il regolamento stesso, rimettendo dunque all’interprete l’individuazione dei contrasti, che va confermata nel senso sopra indicato in quanto i principi di tutela della concorrenza di cui al d.l. n. 223/06 sono stati attuati anche dalla direttiva servizi (v., in particolare, l’art. 14 della direttiva e l’art. 18 del regolamento regionale, che prevale sull’art. 6, che comporta solo l’obbligo di modifica di norme comunque inefficaci).
7. Risolto nei termini anzidetti il nucleo principale del giudizio (con conferma dell’impugnata sentenza), si possono agevolmente esaminare le altre censure proposte dall’appellante.
Sono inammissibili quelle censure dirette a riproporre presunti motivi di illegittimità degli atti impugnati, connessi direttamente o indirettamente con la questione del contingentamento: oltre al vizio della violazione della delibera n. 409/00, anche i motivi della ubicazione dell’esercizio commerciale ad una distanza minima da quello oggetto dell’autorizzazione rilasciata alla ricorrente, della caratteristica di zona “satura” dell’area in questione e dello sviamento di potere per non aver tenuto conto della precedente autorizzazione.
8. L’appellante sostiene, inoltre, che l’inapplicabilità del limite di autorizzazioni non poteva condurre all’inammissibilità del ricorso principale, residuando alcune censure autonome rispetto alla questione del contingentamento.
Tali censure, pur essendo in effetti ammissibili, sono prive di fondamento.
La AZ non era in primo luogo parte necessaria del procedimento conclusosi con l’autorizzazione impugnata, in quanto la sua posizione di controinteresse che la ha legittimata all’impugnazione non comporta che l’avvio del procedimento dovesse essere a lei comunicato, nè che dovesse partecipare alla conferenza di servizi, non producendo il provvedimento finale effetti diretti sulla ricorrente, nè essendo normativamente previsto un suo intervento nel procedimento (art. 7, comma 1, l. n. 241/90).
Con riguardo alla dedotta assenza del parere della regione Calabria, è sufficiente rilevare come la Regione abbia partecipato alla conferenza dei servizi e non abbia espresso in tale sede alcuna posizione ostativa alla conclusione del procedimento (tale dovendo essere interpretata la posizione espressa in sede di conferenza).
Infine, la conclusione della conferenza di servizi non si pone in contraddizione e contrasto con le caratteristiche urbanistiche dell’area in questione, essendo nella sostanza l’esito della conferenza stato subordinato al completamento (poi avvenuto) della procedura di variante urbanistica.
9. Deve anche essere confermata l’impugnata sentenza nella parte in cui ha dichiarato irricevibile il ricorso avverso gli atti della variante urbanistica.
Infatti, come rilevato correttamente dal Tar, ai sensi dell’art. 124 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, non essendo la ricorrente contemplata nei provvedimenti impugnati, la stessa avrebbe dovuto rispettare il termine decorrente dalla data della pubblicazione della deliberazione comunale, mentre ha notificato il suo ricorso tardivamente in data 30 marzo 2009.
Di conseguenza, non possono essere esaminate le censure, qui riproposte, attinenti alla variante urbanistica.
10. L’infondatezza dell’appello principale determina l’improcedibilità del ricorso in appello incidentale proposto da Espansione Europa e Scaim, avente chiara natura subordinata.
11. In conclusione, il ricorso in appello principale deve essere respinto e vanno dichiarati inammissibile l’interveto ad adiuvandum della Confcommercio di Crotone, inammissibile l’appello incidentale de Centro 2 Mari e improcedibile l’appello incidentale di Espansione Europa e Scaim.
Le parti soccombenti sono quindi l’appellante AZ, il Centro 2 Mari e la Confcommercio di Crotone, che devono essere condannate alla rifusione delle spese di lite nei confronti del comune e delle controinteressate, mentre ricorrono i presupposti per compensare le spese con la regione, non avendo quest’ultima impugnato la sentenza del Tar.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe proposto da AZ s.p.a.; dichiara inammissibile l’intervento ad adiuvandum proposto dalla Confcommercio di Crotone; dichiara inammissibile il ricorso in appello incidentale proposto da Centro Commerciale 2 Mari s.r.l. e dichiara improcedibile il ricorso in appello incidentale proposto da Espansione Europa s.r.l. e da Scaim s.r.l..
Condanna in solido AZ s.p.a., Centro Commerciale 2 Mari s.r.l. e Confcommercio di Crotone alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, liquidate nella somma di Euro 8.000,00 in favore di Espansione Europa s.r.l. e di Scaim s.r.l. e di Euro 5.000,00 in favore del comune di Feroleto Antico, compensando le spese con la regione Calabria.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Roberto Chieppa, Consigliere, Estensore
Adolfo Metro, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 31/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

riferimento id:1019

Data: 2011-04-29 15:56:55

Re: Addio programmazione numerica delle GRANDI STRUTTURE


Cons. Stato Sez. V, 31 marzo 2011, n. 1973


N. 01973/2011REG.PROV.COLL.

N. 01115/2010 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1115 del 2010, proposto da:
Societa' Europa 2000 Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Gambardella e, Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso Franco Gaetano Scoca in Roma, via G.Paisiello, 55;
contro
Comune di Lamezia Terme, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Zupo, con domicilio eletto presso Giuseppe Zupo in Roma, via G. Gesmundo 4; Regione Calabria, Provincia di Catanzaro;
nei confronti di
Az S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Alfredo Gualtieri, Demetro Verbaro, con domicilio eletto presso Bei Anna (Studio Rosati in Roma, via Ovidio N. 10);
Centro Commerciale Due Mari S.r.l., in persona del legale rappresentate pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Alfredo Gualtieri e Demetrio Verbaro, con domicilio eletto presso Segreteria di questa Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO :SEZIONE II n. 01045/2009, resa tra le parti, concernente DINIEGO AUTORIZZAZIONE PER REALIZZAZIONE GRANDE STRUTTURA DI VENDITA

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Lamezia Terme e di Az S.p.A. e di Centro Commerciale Due Mari S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2011 il Cons. Francesco Caringella e uditi per le parti gli avvocati Scoca, Robiony, su delega dell' avv. Zupo, e Verbaro, per sè e per delega dell' avv. Gualtieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno respinto il diniego opposto dal Comune di Lamezia Terme, con provvedimento n. 0097231 del 18.12.2008, all’istanza presentata da Europa 2000 srl, in data 6 febbraio 2008, per il rilascio dell’autorizzazione unica all’apertura di una grande struttura di vendita al dettaglio di Tipo G2/A.
Il Tribunale ha escluso l’invocabilità, in subiecta materia, dell’istituto del silenzio assenso dedotta dal ricorrente ed ha ritenuto legittimo il diniego adottato dal Comune in forza dell’intervenuta abrogazione, per effetto dell’art. 30 della legge regionale 15/2008, dell’art. 29 della legge regionale n. 1/2006, disposizione posta a fondamento dell’istanza presentata dalla società.
L’appellante contesta gli argomenti posti a fondamento del decisum appellato.
Resiste l’amministrazione intimata.
Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie l’ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.
All’udienza del 22 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta la decisione.
2.E’ fondato ed assorbente il motivo di ricorso con cui si contrasta il capo della sentenza che, prendendo le mosse dalla considerazione che l’istanza era stata proposta ai sensi dell’abrogato art. 29, comma 2, della legge regionale n. 1/2006, ha concluso per la legittimità del diniego senza darsi carico della legittimità delle presupposte delibere del Consiglio Regionale n. 409/2000 e n. 57/2001 e, più in generale, senza pervenire ad un’interpretazione della disciplina regionale alla luce delle mutate coordinate normative nazionali e comunitarie oltre che dei principi costituzionali.
Osserva, infatti, la Sezione che l’avvenuta abrogazione del citato art. 29 della legge regionale n. 1/2006, che prevede un regime speciale al fine di favorire ed incentivare la riqualificazione di aree urbane degradate o aree con attività dimesse e da riconvertire, lungi dall’ingenerare un vuoto normativo, ha implicato al riespansione del più restrittivo regime ordinario di cui alla legge regionale n. 17/1999 ed ai successivi atti applicativi (deliberazione del Consiglio Regionale n. 409/2000 e successive modificazioni ed integrazioni) che hanno determinato la saturazione dell’area interessata di Lamezia Terme e la conseguente reiezione dell’istanza in parola.
In definitiva, l’istanza dell’interessato finalizzata al conseguimento del bene della vita dato dal conseguimento dell’autorizzazione all’apertura del centro commerciale non può essere formalisticamente legata alla normativa vigente al momento della presentazione dell’istanza ma deve essere riconsiderata e valutata alla luce del quadro normativo operante in forza del venir meno del regime legislativo speciale di cui si è detto.
La questione principale attiene, in definitiva, alla legittimità, alla luce dei parametri normativi nazionali e comunitari, del contingentamento delle autorizzazioni, stabilito con la delibera regionale n. 409/2000.
Si ricorda che la Regione Calabria, con la deliberazione n. 409 del 2000, nel suddividere il territorio regionale in diciassette aree sovra comunali, ha previsto che per l’area n. 10, appartenente al distretto di Lamezia Terme, si potessero consentire unicamente, “come parametri massimi”, una grande struttura di vendita di tipo mista (G/A) ed una grande struttura di vendita alimentare (G/B). L’applicazione della delibera condurrebbe a ritenere illegittima l’autorizzazione qui in contestazione, essendo stata già, per la predetta zona e per il medesimo settore, rilasciata l’autorizzazione alla ricorrente nel 2003.
Si deve però tenere conto della successiva entrata in vigore del decreto-legge n. 223 del 2006, il cui art. 3 ha stabilito, tra l’altro, che - al fine di «di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale» - le attività commerciali, come individuate dal d.lgs. n. 114 del 1998, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: (….) il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio; (…) il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale».
La delibera regionale si pone in contrasto con il d.l. n. 223/06, avendo chiaramente perseguito proprio la finalità di contingentare le autorizzazioni ripartendo le quote di mercato.
Il d.l. n. 223/06, in osssequio ai principi comunitari in materia, ha introdotto un principio generale a tutela della concorrenza, che garantisce la piena libertà di iniziativa economica e contrasta l’introduzione di limiti e contingentamenti dei titoli abilitativi necessari per l’esercizio di determinate attività commerciali, tra cui rientra quella in questione.
Come già affermato dalla Sezione con la decisione n. 2808/2009, tendenzialmente i criteri limitativi di ordine quantitativo in tema di apertura di nuovi esercizi commerciali si pongono in contrasto con la lettura che dell'art. 3 della legge n. 248 del 2006 ha offerto la Corte costituzionale con la sent. n. 430 del 2007, nel solco di una giurisprudenza più volte confermata (n. 80 del 2006, n. 242 del 2005).
Limitazioni all'apertura di nuovi esercizi commerciali sono astrattamente possibili purché non si fondino su quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite, ossia, in altri termini, sull'apprezzamento autoritativo dell'adeguatezza dell'offerta alla presunta entità della domanda. I principi del Trattato e del nostro ordinamento costituzionale impongono che i poteri pubblici non interferiscano sul libero gioco della concorrenza, astenendosi dallo stabilire inderogabilmente il numero massimo degli esercenti da autorizzare in una determinata area.
Peraltro, un contingentamento delle autorizzazioni implica di per sé un contrasto con l’art. 3 del d.l. n. 223/06, essendo onere dell’amministrazione, o in questo caso dell’appellante, dimostrare che il limite sia stato posto per ragioni e finalità compatibili con il citato d.l..
Tale dimostrazione manca del tutto nel caso di specie ed anzi nella relazione alla deliberazione n. 409/2000 si fa espresso riferimento ad una suddivisione del territorio in aree “configurabili ciascuna come unico bacino di utenza” a conferma del fatto che il mercato è stato segmentato con finalità anticoncorrenziali al fine di predeterminare con atto dirigistico l’equilibrio tra domanda e offerta, che invece dovrebbe essere lasciato al libero gioco della concorrenza e con il concreto effetto di impedire l’ingresso nel mercato di nuovi operatori (effetto che si verificherebbe, dando applicazione nel caso di specie alla delibera regionale).
L’accertamento del contrasto tra la delibera n. 409/2000 e il d.l. n. 223/06 determina l’inapplicabilità dei limiti fissati dalle regioni e la conseguente legittimità dell’autorizzazione rilasciata in favore della società controinteressata.
Si è, quindi, in presenza di un atto legittimo alla data della sua adozione, ma contrastante con sopravvenute disposizioni normative.
Posto, tuttavia, che l’invalidità di un atto costituisce una condizione patologica originaria da vagliare in ragione della normativa ratione temporis vigente, è più corretto ritenere che un atto ad efficacia prolungata che si ponga in contrasto con la normativa sopravenuta in un torno di tempo posteriore alla sua emanazione, piuttosto che essere affetto da un’illegittimità sopravvenuta, sia caratterizzato da una condizione di inefficacia sopravvenuta che impedisce allo stesso di produrre effetti ormai contrastanti con la legge e, ove si tratti di atto regolamentare, sia suscettibile di disapplicazione.
Nel caso di specie, l’atto deve ritenersi di natura regolamentare, tenuto conto dei caratteri di astrattezza e innovatività delle sue previsioni i cui destinatari non sono individuabili né a priori, né a posteriori (peraltro, la natura regolamentare è confermata dal sopravvenuto regolamento n. 1/2010, che disciplina la stessa materia).
Con riguardo all’appena citato regolamento n. 1/2010, va evidenziato come lo stesso si limiti a stabilire l’inefficacia delle norme e dei regolamenti regionali in contrasto con la direttiva comunitaria 2006/123/CE (c.d. direttiva servizi) e con il regolamento stesso, rimettendo dunque all’interprete l’individuazione dei contrasti, che va confermata nel senso sopra indicato in quanto i principi di tutela della concorrenza di cui al d.l. n. 223/06 sono stati attuati anche dalla direttiva servizi (v., in particolare, l’art. 14 della direttiva e l’art. 18 del regolamento regionale, che prevale sull’art. 6, che comporta solo l’obbligo di modifica di norme comunque inefficaci).
Deve, quindi ritenersi inapplicabile il limite di autorizzazioni fissato dalla delibera regionale n. 409/2000, e successive modifiche.
3. Deve quindi concludersi , in accoglimento del ricorso originario, per l’illegittimità del diniego opposto in funzione di un contingentamento divenuto inefficace alla luce delle considerazioni prima esposte che impediva il rilascio di ulteriori autorizzazioni nell’ormai satura area Lamezia 10.
In accoglimento dell’appello deve, pertanto, disporsi l’annullamento del diniego con salvezza degli ulteriori provvedimenti amministrativi.
Sussistono, tuttavia, motivi che giustificano per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
accoglie l 'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento impugnato in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere, Estensore
Carlo Saltelli, Consigliere
Roberto Chieppa, Consigliere
Adolfo Metro, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 31/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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