Data: 2013-01-19 15:05:08

SCIA EDILIZIA: poteri di controllo del Comune (TAR 4/1/2013)

SCIA EDILIZIA: poteri di controllo del Comune (TAR 4/1/2013)
T.A.R. Lombardia Milano, Sezione II, 4 gennaio 2013 sent. 22

FATTO

Con un primo ricorso, notificato in data 16.05.2011 e depositato in data 20.05.2011, gli esponenti hanno impugnato l’ordinanza in epigrafe specificata, recante l’ordine di immediata sospensione dei lavori di installazione di una sbarra metallica su supporti metallici, in corso nell’area identificata catastalmente al Fg. 17 mapp. 108 del Comune resistente.
I motivi di ricorso fanno essenzialmente leva sul vizio di eccesso di potere e sulla violazione di legge, segnatamente dell’art. 42 l.r. Lombardia n.12/05.
Nello specifico, i ricorrenti si dolgono della determinazione assunta dal Comune con il provvedimento impugnato, attesa l’asserita conformità dei lavori da essi eseguiti con quelli oggetto della denuncia di inizio attività del 01.04.2010, prot. n.722/VI.
Si è costituito in giudizio il Comune di Romagnese con controricorso, controdeducendo alle censure avversarie.
Il Comune, in particolare, ha eccepito la sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare l’ordinanza di sospensione lavori n. 6/2011, atteso che la stessa avrebbe ormai cessato di avere efficacia, sia per decorrenza dei termini di cui all’art. 27, comma 3 d.P.R. n. 380/2001, sia per la successiva emanazione, in data 25.05.2011, dell’ordinanza di demolizione, impugnata con separato ricorso avanti questo T.A.R. e quindi annullata in s.g.
Con un secondo ricorso, notificato in data 22.05.2012 e depositato in data 28.05.2012, gli esponenti hanno impugnato il provvedimento, prot. n. 764, di “Revoca della denuncia di inizio attività in data 01.04.2010, prot. n.722/VI” emesso in data 08.05.2012 dal Comune di Romagnese, denunciandone l’illegittimità sotto più profili.
I motivi di ricorso fanno essenzialmente leva sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies legge n. 241/1990, nonché sull’eccesso di potere per difetto di motivazione e difetto dei presupposti per l’annullamento d’ufficio.
Nel costituirsi in giudizio, il Comune di Romagnese ha ribadito la contrarietà dei lavori realizzati con la normativa urbanistico-edilizia vigente, stante la mancanza delle denunce di inizio e di ultimazione dei lavori; la mancata indicazione dell’impresa affidataria dei lavori; il mancato deposito del D.U.R.C. obbligatorio per legge e, infine, l’inammissibilità di recinzioni all’interno dei cortili, ai sensi dell’art. 19, § 4 delle N.T.A del P.R.G.
Nella camera di consiglio del 14.06.2012, il Collegio, “…considerato che la domanda appare del tutto sfornita del prescritto periculum in mora, poiché l’impugnato decreto di annullamento della d.i.a. prot. 722/VI non è di per sé idoneo a produrre effetti lesivi immediati nella sfera giuridica dei ricorrenti”, ha respinto la formulata domanda cautelare.
Alla pubblica udienza del 06.12.2012, il Collegio, sentite le parti, ha trattenuto la causa per la decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare, deve essere disposta la riunione del ricorso n. 1344/2012 al ricorso n. 1502/2011, per evidenti ragioni di connessione soggettiva (stesse parti) e parzialmente oggettiva (trattandosi dell’impugnazione di atti inerenti la medesima vicenda edilizia, concernente l’installazione di una sbarra metallica apribile, avente un’altezza di circa cm. 90 ed una lunghezza di circa mt. 3,00, e il fissaggio al terreno di n. 5 paletti metallici, dei quali due a sostegno della sbarra metallica e tre a sostegno di una catena metallica, aventi un’altezza di circa cm.90).
2. Sempre in via preliminare, va affrontata l’eccezione di improcedibilità del ricorso R.G. n.1502/2011 per sopravvenuta carenza di interesse, sollevata dal Comune di Romagnese.
2.1. Ad avviso del Comune, i ricorrenti non avrebbero più alcun interesse ad impugnare l’ordinanza di sospensione lavori n.6/2011, atteso che l’ordinanza stessa avrebbe cessato di avere efficacia, sia per decorrenza dei termini di cui all’art. 27, comma 3 d.P.R. n.380/2001, sia per l’intervenuta emanazione, in data 25.05.2011, dell’ordinanza di demolizione, poi annullata in s.g.
2.2. L’eccezione è fondata.
2.3. E' noto che il potere di sospensione, attribuito all'autorità comunale dall'art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001, è di tipo cautelare, in quanto destinato ad evitare che la prosecuzione dei lavori determini un aggravarsi del danno urbanistico.
Alla descritta natura interinale del potere consegue che il provvedimento emanato nel suo esercizio è efficace fino all'adozione dei provvedimenti definitivi.
In particolare, a seguito dello spirare del termine di 45 giorni, ove l'amministrazione non abbia emanato alcun provvedimento sanzionatorio definitivo, l'ordine in questione perde ogni efficacia, mentre, nell'ipotesi di emanazione del provvedimento sanzionatorio, è in virtù di quest'ultimo che viene a determinarsi la lesione della sfera giuridica del destinatario con conseguente "assorbimento" dell'ordine di sospensione dei lavori (cfr., da ultimo, TAR Lazio, sez. II, 28 novembre 2012, n. 9881; T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, Sent., 22 novembre 2012, n. 1261).
2.4. L’ordinanza di sospensione oggetto di gravame è del 25.03.2011 e ad essa ha fatto seguito, in data 25.05.2011, l’ordinanza di demolizione concernente le medesime opere.
Ne consegue che, l’ordine di sospensione risulta, allo stato, tamquam non esset, a nulla rilevando la circostanza che l’ordinanza di demolizione del 25.05.2011 sia stata poi annullata in s.g. (con sentenza del 29.06.2012), non potendosi a tale annullamento attribuire alcun effetto ripristinatorio dell’efficacia dell’ordinanza del 25.03.2011, che risulta, comunque, irrimediabilmente inefficace per il decorso del termine di cui all’art. 27, co. III cit.
2.5. Né può, poi, condividersi l’impostazione di parte ricorrente, laddove, all’odierna discussione in pubblica udienza ha insistito sull’interesse al ricorso, ancorandolo all’effetto conformativo di un’eventuale sentenza di accoglimento sulla successiva attività dell’amministrazione.
Non va dimenticato, infatti, che l’interesse legittimo oppositivo, qui fatto valere, presuppone il necessario collegamento con il provvedimento amministrativo di cui si chiede l’annullamento, sul presupposto che esso arrechi un pregiudizio attuale e immediato alla sfera giuridica del ricorrente.
Ne consegue che, ove tale provvedimento venga meno, non può permanere un interesse al conseguimento della pronuncia annullatoria, salva la previsione dell’art. 34, co. 3 c.p.a., non potendo assumere rilevanza il diverso interesse segnalato dai ricorrenti, consistente nella conformazione del successivo operato della p.a. L’effetto che scaturisce dalla pronuncia di annullamento e su cui deve appuntarsi l’interesse al ricorso è, essenzialmente, quello cassatorio; l’effetto conformativo rappresenta un effetto secondario della pronuncia che, come tale, non è di per sé sufficiente a supportare il prescritto interesse al ricorso.
2.6. Neppure, come accennato, si può qui fare leva sul disposto dell’art. 34, co. 3 cit., posto che gli istanti non hanno giustificato l’interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’ordinanza di sospensione facendo leva unicamente su finalità risarcitorie.
3. Per le precedenti considerazioni, il ricorso n. 1502/2011 deve essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.
4. Passando ad esaminare nel merito il ricorso n. 1344/2012, il Collegio osserva come i motivi di ricorso proposti si accentrino sulla violazione dell’art. 21 nonies della legge 241/1990 e sul vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione, specie in ordine ai presupposti essenziali dell’annullamento.
4.1. A mente degli esponenti, nello specifico, il Comune di Romagnese non avrebbe sufficientemente motivato l’interesse pubblico, attuale e concreto, all’annullamento della d.i.a., né avrebbe preso in considerazione l’interesse dei ricorrenti a vedere tutelata, mediante l’apposizione della sbarra de qua, l’area di loro rispettiva proprietà, dall’ingresso carraio e dalla sosta abusiva da parte di terzi estranei; d’altro canto, sempre secondo gli esponenti, i lavori eseguiti in forza della d.i.a. in questione sarebbero pienamente legittimi e conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie vigenti.
4.2. Sul punto, la difesa del Comune rileva l’infondatezza dei suesposti motivi, sottolineando la mancanza, nella d.i.a. di cui si tratta, della dichiarazione di inizio e di ultimazione lavori, di cui all’art. 42, comma 6 della l.r. Lombardia n.12/05; la mancanza della comunicazione della ditta affidataria dei lavori, ai sensi degli artt. 23, comma 2 d.P.R. n.380/2001 e 42, comma 1 l.r. Lombardia 12/05; il mancato deposito del D.U.R.C.; nonché, la sua contrarietà alle previsioni di cui agli artt. 19 e 20 delle N.T.A. al vigente P.R.G. del Comune di Romagnese, in forza delle quali, nel centro storico, sarebbero consentite solo le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, recupero e risanamento conservativo, mentre non sarebbero ammesse (ex art. 19, comma 3, § 4) le recinzioni all’interno dei cortili in nessuna zona.
5. A giudizio del Collegio, il ricorso merita accoglimento.
5.1. Preliminarmente, va chiarito come il provvedimento impugnato, formalmente denominato “revoca” da parte della p.a., sottenda in realtà un annullamento, come reso evidente, tra l’altro, dall’indicazione, contenuta nelle premesse dell’atto, dei motivi di “illegittimità” che avrebbero indotto l’amministrazione all’atto di riesame di cui si tratta.
5.2. Deve, a questo punto, essere posto l’accento sulla ricorrenza in concreto dei presupposti giustificativi del predetto potere di riesame, ex artt. 19, co. 3 e 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n.241.
5.3. Come noto, il potere di riesame in materia edilizia condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dall’art. 21 nonies citato, con particolare riguardo alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del termine ragionevole e, soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (cfr., Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 29 luglio 2011, n.15).
Di conseguenza, mentre non è contestabile che l’amministrazione conservi poteri di controllo, di inibizione e sanzionatori per il caso di difetto dei presupposti per la d.i.a., tuttavia è indubbio che tali poteri vanno esercitati nelle forme dell’autotutela, ossia previo avviso dell’avvio del procedimento e previa valutazione comparativa dell’interesse pubblico e di quello privato.
5.4. Tutto questo, a ben vedere, è mancato nel caso di specie, in quanto il provvedimento di revoca si è limitato a dare atto che la d.i.a. è illegittima e che, pertanto, deve essere annullata in via di autotutela, poiché non sussistono ragioni di interesse pubblico alla conservazione delle opere edificate, sia per la loro scarsa entità, che per il brevissimo tempo trascorso dalla loro realizzazione.
In sostanza, con una sorta di inversione logica, l’amministrazione, anziché indicare in positivo le ragioni di interesse pubblico a sostegno dell’autotutela, ha escluso l’esistenza di un interesse pubblico a favore del mantenimento delle opere, esaurendo in ciò solo la valutazione discrezionale ad essa spettante.
Sennonché, è evidente il vizio logico che inficia siffatto modus operandi, poiché, affermare che l’amministrazione non ha interesse a mantenere le opere oggetto della d.i.a., non significa affatto che mediante la loro demolizione, conseguente all’annullamento del titolo sottostante, l’amministrazione persegue un interesse pubblico, attuale e prevalente sulle posizioni giuridiche private costituitesi e consolidatesi medio tempore.
Al contrario, proprio il disinteresse manifestato dall’amministrazione per il ripristino dello status quo ante, dà conto della insussistenza di uno dei presupposti per l’esercizio del potere di auto-annullamento, non potendo esso volgere al mero ripristino della legalità violata (cfr., da ultimo, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, Sent., 06-11-2012, n. 4412; T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, Sent., 05-11-2012, n. 451; nonché: Cons. St., sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4770; id. 3 agosto 2010, n. 5112; sez. V, 7 aprile 2010, n. 1946).
L’esercizio del potere di autotutela richiede, quindi, un quid pluris, in ragione della discrezionalità che lo caratterizza, sicché esso non può obliterare l’interesse del soggetto destinatario dei suoi effetti.
5.5. Nel caso di specie, per contro, tale interesse è stato disatteso, come reso evidente dalla circostanza che l’amministrazione (come riportato nelle premesse della cd. revoca), non ha ritenuto di dover comunicare al destinatario neppure l’avvio del procedimento di autotutela, in ragione della sua (indimostrata) superfluità (cfr., sulla applicabilità della comunicazione in esame anche all’attività vincolata della p.a., le diffuse osservazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 17-09-2012, n. 4925, che, ripercorrendo le linee interpretative in materia di comunicazione di avvio, dà la prevalenza a quelle che condividono canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, non formalistico, della comunicazione in esame, alla luce del combinato disposto degli artt. 7 e 21 ocities legge n. 241/1990; in tal senso, la sentenza sottolinea come l'omissione della cit. comunicazione non vizia il procedimento quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione. Per tale via, la sentenza stessa si riporta alla decisione della sez. IV del Consiglio di Stato del 30 settembre 2002, n. 5003, di cui è utile riportare un breve stralcio, ove afferma che: “la comunicazione di avvio del procedimento dovrebbe diventare superflua quando: l'adozione del provvedimento finale è doverosa (oltre che vincolata) per l'amministrazione; i presupposti fattuali dell'atto risultano assolutamente incontestati dalle parti; il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili; l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici”.)
5.6. Ebbene, applicando tali coordinate ermeneutiche, che il Collegio condivide, in quanto rispettose delle garanzie procedimentali avulse da meccanicistiche applicazioni di natura essenzialmente formalistica, al caso di specie, non può dirsi che la partecipazione procedimentale apparisse qui superflua, posto che i presupposti della cd. revoca non risultano affatto incontestati tra le parti.
Non è chiaro, infatti, il presunto contrasto dei lavori realizzati con la normativa urbanistico-edilizia vigente e, segnatamente, da un lato, con le prescrizioni di cui all’art. 42, commi 1 e 6 l.r. Lombardia n.12/05 e, dall’altro, con le prescrizioni di cui all’art. 19, § 4 delle N.T.A. al vigente P.R.G. del Comune di Romagnese.
5.6.1. Sotto il primo aspetto, va chiarito come la mancanza della dichiarazione di inizio e fine lavori oggetto della d.i.a. possa condurre, non già, all’annullamento del titolo ma, semmai, ad una decadenza dal medesimo.
Come chiaramente si desume dagli artt. 15, co. 2 (a proposito dell’efficacia temporale del permesso di costruire, che espressamente menziona la decadenza in caso di mancata esecuzione dei lavori nei termini ivi indicati), e 23, co. 2 d.P.R. n. 380/2001, le vicende temporali de quibus incidono ex nunc sull’efficacia del titolo edilizio e giammai concretano una causa di invalidità del medesimo.
Analogamente deve dirsi quanto alla mancata indicazione (“a corredo” della dia, ai sensi della disposizione da ultimo cit.) dell’impresa cui si intendono affidare i lavori, tanto più che, nella fattispecie concreta, i lavori sembrerebbero eseguiti in proprio dagli stessi ricorrenti.
5.6.2. Quanto, infine, al presunto contrasto con la normativa di livello comunale, la motivazione del Comune risulta, sul punto, oltremodo carente, non soltanto perché non spiega le ragioni per cui “in ipotesi” (cfr. pg. 1 della “revoca” impugnata) e, quindi, in astratto e non in concreto, la conformazione dell’area ove risulta installata la sbarra in questione la rende “assimilabile” ad un cortile, ma, soprattutto, perché non dà conto del ragionamento seguito per identificare la ridetta sbarra (posta ad impedimento del passaggio carraio) ad una “recinzione”.
5.6.3. Al riguardo, non va neppure trascurata la circostanza che non risulta fornita alcuna dimostrazione della riconducibilità dell’area de qua fra quelle parificate al “centro storico” e disciplinate dall’art. 19, co. 3, § 4 delle N.T.A.; tale riconducibilità, infatti, è esclusa da parte ricorrente e affermata da parte dell’amministrazione senza produrre, all’uopo, alcuna integrazione documentale a sostegno della propria tesi.
6. Per le suesposte considerazioni, il ricorso n. 1344/2012 R.G., in epigrafe specificato, deve essere accolto e, per l’effetto, va annullato il provvedimento con esso impugnato.
7. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico del Comune di Romagnese e a favore dei ricorrenti, nella misura specificata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sui ricorsi come in epigrafe proposti, così statuisce:
- riunisce il ricorso n. 1344/2012 al ricorso n. 1502/2011;
- dichiara improcedibile il ricorso n. 1502/2011;
- accoglie il ricorso n. 1344/212 e, per l’effetto, annulla il provvedimento con esso impugnato.
Pone le spese di lite a carico del Comune di Romagnese e a favore dei ricorrenti, liquidandole in complessivi euro 2.5000,00, oltre I.V.A. e C.P.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Concetta Plantamura, Primo Referendario, Estensore
Silvia Cattaneo, Primo Referendario

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